Era il vice di Renzi a Firenze, poi è stato la sua ombra a Roma e adesso è il sindaco che ne ha preso il posto in Toscana. E ora prova a distinguere la sua immagine da quella del capo. E a lanciare la sua idea di Pd

Renziano senza essere un renzino. Rapido - ché la velocità fa parte del canone, del manuale delle giovani marmotte del renzismo - senza cercare soluzioni raffazzonate. Critico dei corpi intermedi, come i partiti, senza esserne un asfaltatore. È dura essere un viceré. Specie se il re è Matteo Renzi e tu sei Dario Nardella, sei stato il suo vice a Palazzo Vecchio e ne hai raccolto lo scettro dopo primarie alla camomilla, tutt’altra storia rispetto a cinque anni fa, quando volavano stracci e l’incertezza era l’unica cosa certa. Tuttavia, mentre Renzi e i renzini si contaminano a vicenda fra camicie bianche e D’Acquasparta ai piedi, Nardella prova a diversificare il prodotto.

Era a Roma a fare il deputato, si trovava a suo agio nella trasversalità dei rapporti - dai caffè con Renato Brunetta sulla legge elettorale e alle cene con Salvo Nastasi al dialogo con le minoranze Pd, più o meno giovani e più o meno turche - e aveva cominciato da subito ad andare in tv con una certa regolarità, persino quando i controllori del traffico del premier avevano stabilito che erano altri quelli addetti al tubo catodico, come quella Simona Bonafè, oggi promossa in Europa per essere rimossa da Roma. Perché si sa, in tutte le famiglie ci sono figli e figliastri e Nardella spesso sembra ricoprire entrambi i ruoli.

Per togliersi la patina del paracadutato, ha vinto le elezioni amministrative al primo turno, arrivando quasi al sessanta per cento, facendo dunque meglio del predecessore più illustre, che aveva avuto bisogno di un altro turno contro l’ex portiere Giovanni Galli. Non che, va detto, pure gli avversari delle “secondarie” fossero formidabili. I primi mesi da sindaco sono stati un po’ accidentati, fra la decisione di sospendere la finale del Calcio Storico causa disordini e la tragedia alle Cascine, con la morte di una bambina e della zia per colpa della caduta di un albero. A Renzi, no, queste cose non capitavano, perché il presidente del Consiglio è jovanottianamente un ragazzo fortunato, di quelli con la “c” maiuscola; uno che perde le primarie contro Pier Luigi Bersani e dopo tre mesi è già di nuovo in corsa, con le macerie apparecchiate per farlo camminare, pardon, correre, meglio.

Dario Nardella e Matteo Renzi


Epperò, Nardella sostiene si possono ottenere risultati e popolarità anche con un passo diverso. A Roma e a Firenze. Per questo ha iniziato a curare i suoi interventi pubblici, a migliorare la comunicazione e l’ars oratoria, in tv continua ad andare, rilascia interviste ai grandi quotidiani e ogni volta introduce una correzione, come Enid Lambert nel romanzo di Jonathan Franzen, “Le correzioni”. Alle amministrative, aveva scelto come slogan “Firenze più di prima”, come a segnare un punto di discontinuità con l’inquilino precedente, che in città c’era meno, cominciando dalle presenze in Consiglio comunale. Qualche giorno fa, parlando con il “Corriere della Sera”, il sindaco di Firenze ha affrontato, quasi buttandolo lì per caso, uno dei temi tabù di Renzi, leader che è abituato a fare tutto da solo: la classe dirigente. «Matteo ha detto che quest’estate si concentrerà proprio sul rafforzamento della squadra, dal punto di vista sia tecnico sia politico. Le riforme ambiziose che Renzi vuole portare in fondo hanno bisogno di persone competenti e credibili. Oltre al leader, la cui bravura non è in discussione, molto dipenderà dal suo entourage. Sarà un passaggio decisivo», ha spiegato Nardella.

Un modo elegante per dire che quelli che ci sono ora, “giglio magico” compreso, non bastano e che Renzi deve migliorare la qualità dei propri compagni di viaggio. Non si governa il Paese con la geopolitica toscana. E nel frattempo, infatti, Renzi ha cominciato ad attrezzare Palazzo Chigi con una sorta di delivery unit che sembra richiamarsi a quella dei tempi di Tony Blair e del professor Michael Barber. Non pare essere casuale, d’altronde, il ritorno nelle grazie del presidente del Consiglio di Giuliano da Empoli, in passato tra i più brillanti consiglieri di Renzi. «Accanto a una classe politica nuova occorre una nuova classe di dirigenti: a Palazzo Chigi, nei ministeri, nelle organizzazioni di rappresentanza sociale ed economica, nel privato», dice Nardella.

Ritratti
Il modello per gli italiani? L'Homo Renzianus
4/8/2014


A Firenze, purtroppo, Nardella questo non potrà farlo. Le risorse sono limitate e Renzi si sta portando a Roma gli uomini e le donne migliori di Palazzo Vecchio. Per il sindaco però è l’occasione per affrontare i problemi con strumenti diversi. Magari meno veloci sulla comunicazione ma più pregnanti nella sostanza. «Matteo è stato quello della pedonalizzazione di piazza del Duomo dalla sera alla mattina, quello della rapidità sulla comunicazione, io mi prendo più tempo per cambiare il volto della città», dice Nardella ai suoi.

Un ragionamento che poi allarga quando dalla dimensione locale passa al resto, all’analisi del modello dei partiti e della società. «Essere veloci nelle risposte non significa essere superficiali, dobbiamo combinare velocità, dinamismo con profondità e radicamento. Parlo da sindaco di Firenze: 500 anni fa lo dicevano i Medici, che scelsero come simbolo la tartaruga con la vela. Festina lente: veloci, rapidi nell’interpretare le situazioni che vengono dalla società, rispondere a queste, ma riflessivi e capaci di fare analisi profonde e strutturate, così come riflessivo è il movimento della tartaruga che vede il mondo con occhi molto più diversi di quelli con cui lo guarderebbe la lepre». Sembra quasi l’invito che Walter Veltroni rivolse a Renzi l’anno scorso, prima di diventare segretario del Pd e premier: «Penso che abbia l’ispirazione giusta, però deve coltivare la profondità».

Nardella, quindi, introduce correzioni. Gli capita però di essere smentito dai suoi, o finanche da Lui, come quando disse, durante il governo di Enrico Letta, che il ministro dell’Economia doveva essere un politico e non un tecnico, chiedendo, di fatto, le dimissioni di Fabrizio Saccomanni (dal Pd arrivò subito una smentita); o come quando chiese di togliere la parola “partito” dal Pd e lasciare soltanto i “Democratici” come denominazione (la smentita in quel caso la dette Renzi in persona). Un’impostazione che il sindaco conferma ancora oggi. «La democrazia immediata non sta in piedi, contesto però che i partiti di per sé siano un elemento qualitativo di qualunque modello democratico», dice Nardella. «I primi grandi casi di corruzione diffusa nel nostro Paese hanno coinciso con una iperpoliticizzazione della società, dove i partiti sono stati presenze pervasive, per cui se se avevi la tessera di partito potevi giovare di vantaggi nella società e nel mondo del lavoro».

Correzione dopo correzione, Nardella prova dunque a liberarsi dal fardello della clonazione. Per esempio, su Renzi salvatore della patria ci va cauto, pur riconoscendogli grandi meriti, ci mancherebbe, mica vuol fare l’anti-Renzi.«Se non ci fosse stato Matteo oggi avremmo una situazione molto seria, molto difficile per la sinistra. Ma questo significa che l’arrivo di Renzi sia la risposta a tutti problemi della sinistra italiana e della politica europea? Questo no». Renziano, appunto, per non morire renzino.

@davidallegranti

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