È, questo, il governo della disintermediazione. Il presidente del Consiglio teorizza e pratica la fine dei corpi intermedi – partiti, sindacati, media – preferendo il rapporto uno-a-uno, quasi un sembiante di democrazia diretta, con l’e-lettorato. L’altro giorno, non avendo tempo per fare un #matteorisponde, scambio via Twitter con i cittadini di domande e risposte, ha preferito usare la creatura di Jack Dorsey in modo unidirezionale. E ha scritto cinque tweet sui fatti più importanti degli ultimi giorni, quasi un’intervista a se stesso, con Renzi che si faceva una domanda e si dava una risposta. Insomma, una conferenza stampa senza domande, o, meglio, un comunicato stampa spezzettato in 140 caratteri. L’effetto è stato duplice: ha fornito pubblicamente notizie ai suoi follower e ha indicato ai giornali l’agenda politica del premier. Chi potrebbe mai, fra i giornalisti, sottrarsi, in quest’epoca di sound bite, frasi forti per i titoli di giornale e retroscena, alla pubblicazione di questi tweet? Anche questo, peraltro, rientra in una strategia comunicativa molto usata da Renzi negli ultimi anni. Ogni suo discorso ha come effetto quello di esercitare pressione nei confronti dell’opinione pubblica, affinché, a sua volta, l’opinione pubblica eserciti pressione sui gruppi dirigenti. Anche quelli dei giornali, beninteso.
La vicenda della disintermediazione renziana parte da lontano, da quando si candidò sindaco di Firenze. Renzi alle primarie fiorentine si propose come un disintermediario fra il Palazzo e l’elettorato. L’insoddisfazione nei confronti di una classe dirigente politica, quella fiorentina, considerata fallimentare da una buona parte dei cittadini, gli consegnò la vittoria. Uno schema che è stato applicato nelle primarie successive. La disintermediazione non l’ha inventata Renzi, già Obama nel 2008 fu un disintermediario a colpi soprattutto di Facebook, i suoi nemici non erano “quelli di Roma”, ma “quelli di Washington”, ma poco cambia, la questione non è geografica, qui il significato è politico. Nel 2011, Obama annunciò la sua candidatura per il secondo mandato presidenziale con un video sul suo sito e sulla sua pagina di Facebook e con email e sms ai suoi sostenitori.
La disintermediazione renziana, tuttavia, comporta dei problemi che vanno analizzati. I tweet così utilizzati – “cinque tweet al volo sulle cinque news più discusse in settimana” – diventano comunicazione verticistica, e il limite fra comunicazione, propaganda e informazione sparisce. Chi ha più bisogno di interpretazione delle notizie, quando c’è il cinguettio a reti unificate?
Per il Renzi social che vuole schivare i salotti e i professionisti della tartina, però, i paradossi non mancano. Ha detto no al Meeting di Rimini, e quelli ci sono rimasti male, ha detto no al Forum Ambrosetti di Cernobbio, e quelli ci sono rimasti male, anche perché il premier ha spiegato, perfidamente, che “non ne azzeccano una”. Il messaggio pubblico è il solito: loro sono quelli del Palazzo, io no.
La comunicazione di Renzi ha costantemente bisogno di nuovi nemici – dai dirigenti di partito ai capi del governo ai rappresentanti economico-finanziari dell’establishment – per potersi presentare come disintermediario. Se venisse meno l’avversario, non resterebbe che disintermediare se stessi. Ma nonostante questi “no” e queste assenze programmate, Renzi è ovunque. È a Porta a Porta, regno dell’intermediazione e della politica pop fra risotti e tortellini, è nei videomessaggi per presentare la riforma della scuola. Non stupirebbe se tra un po’ riprendesse il ciclo di apparizioni televisive nei talk show appena ricominciati. La disintermediazione però può rivelarsi un’arma a doppio taglio. Perché c’è uno scarto fra l’annuncite via slide e l’effettiva realizzazione delle promesse. E i dati economici, nel frattempo, non migliorano. L’Ocse dice che l’Italia nel 2014 finirà in recessione e prevede un aumento del Pil, Prodotto interno lordo, dello 0,1 per cento. I tweet, insomma, stanno a zero.
@davidallegranti