Il senatore Francesco Verducci, ad esempio, si dice «sconcertato per l'uso politico della commissione Antimafia. La presidente Bindi con un suo atto manda al macero la credibilità stessa della commissione, piegandola per beghe interne». La collega Camilla Fabbri è invece «sgomenta». Ma sono anche i big, ad entrare nel quadrato. «Come noto non ho mai avuto un buon rapporto con De Luca» dice il presidente del partito Matteo Orfini, «ciononostante, quello che sta accadendo in queste ore è davvero incredibile. Siamo in uno stato di diritto in cui le sentenze le emette la magistratura e in cui la candidabilità o meno di qualcuno la decide la legge. L'iniziativa della presidente della commissione Antimafia è incredibile, istituzionalmente, giuridicamente, ma anche culturalmente, perché ci riporta indietro di secoli, quando i processi si facevano nelle piazze aizzando la folla».
Più esplicito è il sottosegretario agli Affari europei Sandro Gozi: «Cara Bindi», twitta, «la ripicca non fa il martire #politicasenzarancore».
Cara @rosy_bindi la ripicca non fa il martire #politicasenzarancore
— Sandro Gozi (@sandrogozi) 29 Maggio 2015
Di ripicca, anzi di vendetta, parla pure il deputato Ernesto Carbone, renziano. «Bindi sta violando la Costituzione, allucinante che si pieghi la commissione antimafia a vendette interne di corrente partitica», scrive anche lui su twitter. «Non mi abbasso a rispondere a Carbone» è però la replica di Rosy Bindi, da palazzo San Macuto, sede distaccata della Camera: «Il mandato per questo lavoro l'ho ricevuto dall'ufficio di presidenza della commissione, e sono abituata ad assumermi le mie responsabilità».[[ge:rep-locali:espresso:285571398]]
Rosy Bindi rivendica di aver solo applicato il codice di autoregolamentazione per le candidatura approvato dalla Commissione, il 23 settembre 2014. All’unanimità. E poi: «Abbiamo fatto un lavoro lungo e scrupoloso, e i nostri dati sono più attendibili delle liste di proscrizione comunque apparse sui giornali». «I nostri criteri» ha spiegato Bindi, «sono più rigidi di quelli della legge Severino, perché rimandano alle sentenze di primo grado, ma inevitabilmente hanno una portata minore, e sia chiaro che questa lista non ha il potere di una legge, è solo un servizio fatto ai cittadini perché conoscano la qualità dei candidati che si apprestano a votare.
La lista non è assolutamente vincolante». Nessun processo, dunque, ma un servizio agli elettori. Ma non la pensa così, l’alfaniano Fabrizio Cicchitto: «Raramente alla vigilia di elezioni», dice, in linea con i democratici, «si è vista un'operazione di destabilizzazione come quella posta in essere dall'onorevole Bindi». Anche il capogruppo al Senato del Pd, Luigi Zanda, dice che «denunciare i candidati impresentabili alle elezioni regionali è cosa necessaria e giusta», ma che la tempistica è «pura barbarie politica». Sono in pochi, nel Pd, a difendere il lavoro di Rosy Bindi. Giuseppe Civati (che dice, «difendere De Luca e attaccare la Bindi è proprio il segno della trasformazione del Pd in un'altra cosa»), Pier Luigi Bersani («L'Antimafia sta applicando un codice che abbiamo approvato tutti in Parlamento») e Stefano Fassina: «Gli insulti alla presidente della commissione Antimafia che ha fatto solo il suo lavoro», dice il deputato, «sono inaccettabili». «Ad esser insopportabile», ha detto Nichi Vendola, «è lo spettacolo dei traghettatori, dei riciclati, dei trasformisti che passano disinvoltamente da uno schieramento all'altro. Avventurismo è stato candidare De Luca».
E poi c’è l’abbraccio di Elvira Savino, deputata di Forza Italia: «Quando Rosy Bindi attaccava il presidente Berlusconi, il Pd la considerava una santa e la acclamava. Oggi, invece, la considerano il diavolo. Al di là della questione di merito, presentabili e impresentabili, l'aggressione che dai piani alti del Nazareno hanno scatenato verso di lei è davvero indecente».
La Com Antimafia fa il suo lavoro. Dal Pd inaccettabili insulti alla Pres @rosy_bindi Si inventano motivi ignobili x coprire la realtà
— Stefano Fassina (@StefanoFassina) 29 Maggio 2015