Pubblicità

Statue velate, dietro lo scaricabarile le beghe di Palazzo

A tre giorni dal 'caso Rohani' ancora non si sa chi abbia deciso di coprire la Venere Capitolina. Ma quel che è certo è che non si è trattato di un blitz: la visita era programmata da novembre. E dietro alla vicenda c'è una guerra tra funzionari

L’unica cosa certa è la figuraccia internazionale: per il resto è avvolta nel mistero la scelta di coprire le statue dei Musei Capitolini in occasione della visita del presidente iraniano Hassan Rohani. A tre giorni dall’evento, ancora non si sa chi abbia deciso. A parte la capa del Cerimoniale, Ilva Sapora, che non se ne può tecnicamente chiamare fuori, tutti i possibili protagonisti se ne lavano le mani (premier, ministri, uffici stampa). Siamo alla fase tra lo scaricabarile e l’inquisizione: a Palazzo Chigi, il segretario generale Paolo Aquilanti ha aperto una inchiesta interna, al Campidoglio il commissario Tronca ha chiesto una relazione al sovrintendente dei beni culturali di Roma Claudio Parisi Presicce.
 
Ma prima di calarsi nel merito della faccenda, vale la pena di ricordare un dettaglio sin qui sfuggito alle ricostruzioni, che parlano di una decisione lampo, un “blitz” per coprire le statue condotto “a poche ore dall’evento”. Si è infatti che la visita del presidente iraniano non era soltanto decisa da tempo, come sempre accade in questi casi. Di più: è stata persino rimandata di due mesi. Era infatti inizialmente prevista per il 14 novembre, fu cancellata all’ultimo momento a causa della strage del Bataclan a Parigi. E il programma ufficiale, allora, era leggermente diverso: prevedeva non il semplice passaggio del presidente iraniano per alcune sale dei musei, fino a raggiungere la Sala dell’Esedra. Si parlava, addirittura,  di “visita ai Musei Capitolini”. Ora, se il semplice passaggio di Rohani ha determinato l’inscatolamento di dieci statue desnude, non si osa pensare a cosa sarebbe stato se il presidente iraniano avesse dovuto visitare l’intero Museo: roba, si immagina, da far impallidire Christo, l’artista che impacchetta i monumenti.
 
Ora: quel programma non è poi stato svolto, ma il dettaglio fa da sé vacillare l’ipotesi di un “blitz”. L’improvvisazione è infatti già piuttosto estranea a eventi del genere: figurarsi se si sono avuti due mesi extra. Tanto più, perché i pannelli lignei che hanno rivestito le statue non sono scatoloni pre-montati da Ikea: servono artigiani che prendano le misure e li costruiscano a regola d’arte, insomma serve tempo, oltreché qualcuno che paghi.
 [[ge:rep-locali:espresso:285177928]]
Tutto ciò aiuta a introdurre il tema, la domanda che in queste ore rimane inevasa: chi ha deciso l’impacchettamento delle statue? Renzi, Franceschini e Gentiloni se ne dicono del tutto estranei. “Un scelta incomprensibile”, aggiungono i ministri della Cultura e degli Esteri. Ma anche la Sovrintendenza ai beni culturali di Roma declina ogni responsabilità: “Chiedete a Palazzo Chigi”, fa sapere nel pomeriggio di ieri (prima che Tronca chiedesse una relazione). D’altra parte fonti di maggioranza, così come di conseguenza le prime ricostruzioni giornalistiche, fanno capire che responsabilità e sospetti ricadono sull’ufficio del cerimoniale di Palazzo Chigi, guidato da Ilva Sapora.
 
Il che introduce un altro elemento di incongruità. Ilva Sapora, abruzzese, da oltre 15 anni a Palazzo Chigi e peraltro vicina alla pensione, è infatti unanimemente riconosciuta come persona “precisa”, “eccellente”, di “grandi capacità” e “fiuto politico”. Non a caso, promossa da Enrico Letta alla guida dell’ufficio del Cerimoniale, era riuscita a conquistare in pieno anche la stima di Renzi, rivestendo varie funzioni soprattutto nel primo periodo, quando la segreteria del premier era ancora sguarnita. “Gli stirava pure le camicie”, sintetizzano le voci interne a Palazzo Chigi, a chiarire il grado di fiducia. E certo, l’errore umano è sempre possibile: così come è possibile che, come riferiscono adesso taluni renziani, la sintonia si sia incrinata negli ultimi tempi. Ma l’incongruità del dato va tenuta presente: possibile che, visto il rapporto tra i due, nulla sapesse del velamento Renzi (o almeno i suoi collaboratori)? Già a ottobre, proprio il premier si era infuriato assai per le polemiche conseguenti il velamento della statua di Jeff Koons a Palazzo Vecchio, in occasione della visita del principe ereditario di Abu Dabi: il che raddoppia il dubbio.
 
Insomma, è ben difficile che un capo di cerimoniale prenda una decisione del genere da solo. A dirlo non è soltanto il buon senso: lo conferma all’Espresso anche chi, volendo comprensibilmente restare anonimo, ha ricoperto per anni una carica analoga. Guardare la vicenda da questo punto di vista, più squisitamente tecnico, consente di chiarire alcune cose. Anzitutto, come si è detto che è “possibile, anche se davvero poco plausibile” che una decisione del genere sia presa in solitudine. “E’ una questione di rapporti, dipende dalla forza del legame con chi ricopre la carica istituzionale, come anche dall’atteggiamento del cerimoniale, che può essere ‘servente’ o ‘interventista’”, viene spiegato. Parimenti “è poco plausibile” che nulla ne sapesse “il padrone di casa”, vale a dire il Campidoglio. Ma c’è anche un altro attore, in partita: quando si tratta di visite di carattere internazionale, infatti entra in gioco anche il settore esteri di Palazzo Chigi. Il consigliere diplomatico diventa il terzo interlocutore, oltre a premier e cerimoniale di Stato. Aveva dunque un ruolo l’ambasciatore Armando Varricchio, consigliere diplomatico di Palazzo Chigi. Almeno in teoria, perché dal suo ufficio rispondono al Corriere di “non entrarci nulla” con questa storia delle statue.
 
Varricchio, del resto, a quanto è dato ricostruire non avrebbe buoni rapporti con la Sapora. Entrambi, poi, si trovano per la seconda volta in poco tempo sulle pagine dei giornali. Cosa piuttosto insolita, visti i ruoli delicati che ricoprono. E’ solo di un paio di settimane fa, la rivelazione del pasticcio dei Rolex in Arabia Saudita, con la delegazione italiana che si litiga gli orologi regalati dai sauditi, nella notte di Ryad. Il “Fatto”, che ha raccontato la vicenda, riferiva del “cerimoniale che conferisce i doni”, peraltro in barba alla direttiva Monti, e di Varricchio che “inorridisce di fronte” alla rissa “una scena da mercato di provincia per il chiasso che interrompe il sonno dei sauditi”. Anche in quel caso la Sapora ci faceva insomma una figuraccia: ma in questo delle statue, che si tratti di un vaso di coccio tra vasi di ferro risulta – se non altro come ipotesi – parecchio più evidente.

L'edicola

La pace al ribasso può segnare la fine dell'Europa

Esclusa dai negoziati, per contare deve essere davvero un’Unione di Stati con una sola voce

Pubblicità