«L'esperienza del mio governo finisce qua...». A mezzanotte e mezzo Matteo Renzi se ne va, nella sala dei Galeoni, ringrazia la moglie Agnese e i figli, abbozza un sorriso, «la sola poltrona che salta è la mia», si ferma travolto dalla commozione, «non sono un robot», infine sospira: «Per me riprende il cammino» . Una citazione da scout, come quella che utilizzò per annunciare che sarebbe andato a Palazzo Chigi, mille giorni fa. Una citazione di Robert Frost: «Avevo di fronte a me due strade e io presi la meno comoda».
Renzi se ne va, travolto da un'ondata di piena. Il Sì appariva in rimonta negli ultimi giorni, si attendeva una sconfitta, ma non in queste dimensioni: una disfatta. Il 40 per cento delle elezioni europee, il trionfo renziano del 2014, si capovolge nel suo opposto: il sì resta inchiodato al 40, come una maledetta beffa, il no sfiora il 60, venti punti di differenza. Un baratro che si spalanca in tutte le regioni, tranne il Trentino Alto Adige: il 61 per cento dei no in Veneto, il 57 in Lombardia, il 72 in Sardegna, il 69 in Campania. Il no va al 70 nella Napoli di Luigi De Magistris e nella Bari di Michele Emiliano, vince ad Agropoli, la città salernitana eletta a simbolo di clientela da Vincenzo De Luca.
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Sono i numeri di una crepa che si è allargata in Italia come nel resto d'Europa tra il paese e le sue leadership politiche, economiche, il mitico establishment. Ma in Italia c'era la variante di Renzi. Un giovane outsider che aveva scalato il potere nel vuoto, promettendo di rottamare la vecchia politica e le antiche abitudini, ma anche di far crescere una nuova classe dirigente. Raggiunto il primo obiettivo, limitato ai capicorrente del suo partito, il premier si è trasformato rapidamente nella guida di un nuovo gruppo di comando. Impermeabile, chiusa, «esclusiva, escludente, solitaria», l'ha dipinto Romano Prodi nel comunicato con cui pure annunciava il suo voto a favore della Riforma.
Il paese si è via via allontanato. Non si è sentito ascoltato, nella narrazione renziana tutta vincente, è rimasto insensibile agli annunci, alle promesse, perfino alle realizzazioni del governo. E alla sfida fine del mondo sul referendum che avrebbe dovuto nei piani di Renzi tagliare le poltrone dei politici ha replicato con una rivolta. In quel Sì e in quel No, gabbie troppo strette per contenere e racchiudere la ricchezza e la complessità dei mali e delle potenzialità italiane, alla fine è rimasto prigioniero il premier che si era autocondannato a correre sempre e che ha portato il suo disegno e la sua premiership nel burrone.
Con lui c'è il suo partito, il Pd, azzerato da una campagna elettorale one-man-show e ora di nuovo dilaniato dalle divisioni. La maggioranza di Renzi non esiste, né sui territori né nel Paese e forse neppure in Parlamento. La minoranza Pd nella società italiana è ininfluente. Il partito ridotto a comitato elettorale dell'americano Jim Messina, il guru che ha fatto perdere tutti i suoi clienti, ha perso ogni contatto con la realtà.
Eppure tocca al Pd e a Renzi indicare una strada. Perché nell'azzardo politico del referendum c'è un Senato che rivive ma è privo di legge elettorale. Una Camera con l'Italicum, fino a quando durerà. E un governo da mettere in piedi, se non si vuole portare il Paese allo sfascio. Perché questo è il risultato delle scommesse renziane, e non si può dare la colpa ai cittadini che hanno votato no: non c'è legge per eleggere il Senato, forse non ci sarà neppure quella per la Camera, non c'è un governo. La tempesta perfetta che si temeva è arrivata.
Renzi ha perso, ma non ha vinto l'Accozzaglia che già da stanotte litiga. La corsa tra i capi della destra a occupare i primi minuti televisivi per mettere la firma sulla vittoria è il prologo di quello che sta per succedere tra Matteo Salvini e Silvio Berlusconi e dentro Forza Italia. I big del Movimento 5 Stelle si presentano come tories inglesi a chiedere le elezioni subito.
L'ondata ora sale verso il Quirinale, dove c'è il galantuomo Sergio Mattarella. Tocca a lui, l'invisibile Custode del Colle, intervenire. Per costruire sulle macerie di stanotte. Doveva essere nei piani di Renzi il giorno di nascita della Terza Repubblica, con un referendum di stampo gollista. È invece arrivato l'Anno Zero.