Direttamente il ministro Giuliano Poletti, con una sua nota, dopo due precedenti comunicati del governo (l’ultimo dice: «Se ci saranno razionalizzazioni saranno per evitare sprechi e duplicazioni e riguarderanno le prestazioni future, non quelle in essere») prova - senza troppo successo - a spegnere la polemica sul taglio delle pensioni di reversibilità. Dice Poletti: «La polemica è totalmente infondata. Evidentemente c'è chi cerca facile visibilità e si diletta ad inventare un problema che non c’è per poi poter dire di averlo risolto».
La stoccata è qui, tra gli altri, a Cesare Damiano, evidentemente, deputato del Pd e presidente della commissione Lavoro della Camera. È lì infatti - e nella commissione Affari sociali - che deve arrivare la delega del governo sul piano per la lotta alla povertà. Il testo ancora non è stato consegnato ufficialmente ai deputati, ma è proprio Damiano ad aver lanciato l'allarme e ad insistere: «Conosco il testo», dice all’Espresso, «e rimango preoccupato». Il governo userebbe infatti l’eufemismo della «razionalizzazione» per trovare nel sistema previdenziale le risorse per finanziare gli interventi assistenziali immaginati a gennaio: «Ma le pensioni non possono essere sempre la mucca da mungere, una volta per il debito pubblico, una volta per dei pur importanti interventi contro la povertà».
Ma perché Damiano rimane preoccupato nonostante la dichiarazione di Poletti? Perché il ministro nel tentativo di smentita dice che «la proposta di legge delega del Governo lascia esplicitamente intatti tutti i trattamenti in essere». Però quelli in essere, dunque. E gli altri? Poletti, che non parla di tagli, preferisce dirla così: «Tutto quello che la delega si propone è il superamento di sovrapposizioni e situazioni anomale». «Sono smentite che confermano le nostre preoccupazioni», dice allora Damiano: «Per smentire veramente basta togliere dal testo, all’articolo 1 comma 1 lettera b, il riferimento al sistema pensionistico. Di cui si può parlare, se si vuole, ma con un intervento apposito e non inserendolo sempre dentro altri provvedimenti».
Ecco allora che non sembrano così «polemiche prive di senso», come le definisce invece tutto il Pd renziano, come la deputata Anna Ascani, quelle subito cavalcate dalle opposizioni, da Forza Italia a Sinistra Italiana, passando per il Movimento 5 stelle. È il deputato Alessio Villarosa, rilanciato da Grillo, che se la prende con il meccanismo dell’Isee che dovrebbe con l’avvenuta razionalizzazione determinare il valore o la sospensione dell’assegno: «Basta che una donna vedova viva ancora con suo figlio che magari ha un piccolo reddito da lavoro per far saltare la pensione», dice il deputato, «o che due donne condividano una casa per rendere meno grama la loro vecchiaia, o che una donna dopo la morte del marito inizi una nuova convivenza: in tutti questi casi, se l'altro ha un minimo di reddito, ecco che la pensione di reversibilità salta, lasciando la donna senza reddito, a dipendere dalle persone con cui vive».
L’assegno di reversibilità, è bene ricordare, già è comunque modulato sugli altri redditi percepiti, con tagli che vanno dal 25 per cento, sopra i 1400 euro, fino al 50 per cento per chi supera i 2300 euro. Il governo, però - spostando l'attenzione sull'Isee che include altri paramentri, come la casa - muove su una posizione storica di Renzi, che prima di diventare segretario e quindi premier, durante le primarie, tirò in ballo sua nonna, per indicare la possibile riforma: «Mia nonna» disse a Servizio Pubblico, «oggi, dopo 41 anni continua ancora a prendere la reversibilità. È già bisnonna. È giusto che continui a prendere la stessa cifra che prendeva allora, quando aveva sei figli a carico? È giusto? Secondo me questo è un meccanismo sul quale possiamo intervenire in qualche modo». E salvo stralci dell’ultimo minuto, l’idea si conferma così sul tavolo e si annuncia vivo il dibattito in commissione, che - quando lo avrà - può emendare il testo.