La data del voto non c'è, ma siamo già a quattordici pronti a correre per il Campidoglio. E ce ne è per tutti i gusti: da Fassina a Storace, da Mustillo a Di Stefano. Un Sanremo della politica: non ci si va per vincere, si va per partecipare. Come si faceva negli anni Ottanta, col proporzionale puro

Non c’è in giro un manifesto, un programma, l’annuncio di una convention: in compenso, però, candidati a pioggia, per il comune di Roma. A regnare, politicamente, è il caos: ma i nomi, in fondo sono l’unica cosa che non manca. Tutti in corsa, stile talent show: perché poi gestire le macerie del post mafia Capitale è un altro discorso. Meglio non pensarci. Meglio candidarsi. Per il momento siamo a quattordici, ma il numero è fatalmente destinato a salire. E ce ne è già per tutti i gusti. Roba da far impallidire per ordinarietà la candidatura da primarie di Roberto Giachetti per il Pd.

Vuoi l’ultra cattolico? C’è Mario Adinolfi, per il popolo della Famiglia  o Pdf. Vuoi i comunisti? C’è il ventiseienne Alessandro Mustillo del Partito comunista di Marco Rizzo. Vuoi l’indipendente di centro? Hai Alfio Marchini col suo cuore rosso e l’appoggio di Ndc e fittiani. Vuoi stare fuori dai partiti? Hai ben due paladini dei consumatori, Carlo Rienzi del Codacons, e Michel Emi Maritato di Assotutela. Vuoi l’estrema destra? C’è Simone Di Stefano di CasaPound, ma anche Alfredo Iorio per l’Msi. Sei a destra, ma sei stufo di Berlusconi? Hai Giorgia Meloni e il suo “atto d’amore”, ma anche l’ex governatore del Lazio Francesco Storace. Sei di sinistra, ma non renziano? Hai (forse) Stefano Fassina, ex Pd e ora Si . O magari Ignazio Marino, che non è ancora sceso in campo ma pare scalpiti assai e intanto diffonde un audio messaggio per il lancio romano del suo libro, il 31 marzo, dall’incipit: “Sono Ignazio, Ignazio Marino”.
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E insomma benvenuti alle elezioni di Roma 2016: non si sa ancora che giorno e che mese si voterà, ma già si nota una spaventosa somiglianza con il 1989, l’ultima volta che si votò col proporzionale e senza l’elezione diretta del sindaco. Scordarsi il bipolarismo, il maggioritario, i blocchi contrapposti, scordarsi la seconda Repubblica in blocco. Siamo negli anni Ottanta. Ciascun partito un candidato: allora come oggi, o quasi. Nell’89 per la Dc di Sbardella c’era il “signor nessuno” Enrico Garaci, per l’Msi c’era Teodoro Bontempo che aveva fatto della sparizione dei lavavetri la sua mission: “Ai semafori vogliamo essere lasciati in pace”, era lo slogan. Adesso per i Cinque stelle c’è Virginia Raggi e per Fi c’è Guido Bertolaso, la cui mission è il decoro: “Qui ci vuole l'idraulico, l'elettricista, l'architetto, il paesaggista, lo spazzino, il vigile urbano”, volava alto nel comizio all’Eur.

A ogni epoca il suo quid, il suo terreno di conquista, e oggi, sarà colpa del centrodestra che si squaglia, o della battaglia per chi conta di più in vista delle elezioni politiche con l’Italicum, ma insomma l’aria è potentemente mediatica, da Sanremo della politica. Non ci si va tanto per vincere, quanto per partecipare. O almeno per dire che si potrebbe. “Ci sto pensando seriamente, a candidarmi”, ha detto l’ex leghista Flavio Tosi. Dice: ma fa il sindaco di Verona. Ma appunto, risponde lui: “A Roma c’è bisogno di qualcuno che sappia fare il sindaco, e c’è qualcuno che ritiene che io lo sappia fare”. Qui o là che differenza c’è?

La prova di quali istinti stia scatenando la contesa romana, è la discesa in campo nientemeno che di Antonio Razzi, quello che considera il dittatore nord-coreano Kim Jong “un democratico”: “Basta con questo squallido teatrino”, ha proclamato l’altro giorno il senatore di Fi, già Idv, Noi sud, e Pdl. Punta, Razzi, a un bacino elettorale che di certo per Bertolaso è inarrivabile, dopo il terremoto dell’Aquila: gli abruzzesi. “Saranno c… bisognerà fare i conti con i 450 mila abruzzesi residenti a Roma, e con i miei conterranei non si scherza”.

Finita qui? Ma per nulla: se nel 2013 alla fine si arrivò a 22 candidati, si capisce che adesso si farà di più. Anche perché, a dispetto dei sondaggi tra i cittadini,  e le primarie,  e le gazebarie e le comunarie  moltiplicatesi come mai fino ad ora, alla fine le candidature maturano per logiche vaghe, quando non francamente oscure. A suon di “in molti me lo chiedono” o “i sondaggi dicono che”. Insomma si fiuta l’aria, si butta là l’ipotesi, si procede a tentoni. Come se le elezioni non si celebrassero entro l’estate, ma tra un anno o due: tempo ce n’è ancora un sacco.

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