Non c’è in giro un manifesto, un programma, l’annuncio di una convention: in compenso, però, candidati a pioggia, per il comune di Roma. A regnare, politicamente, è il caos: ma i nomi, in fondo sono l’unica cosa che non manca. Tutti in corsa, stile talent show: perché poi gestire le macerie del post mafia Capitale è un altro discorso. Meglio non pensarci. Meglio candidarsi. Per il momento siamo a quattordici, ma il numero è fatalmente destinato a salire. E ce ne è già per tutti i gusti. Roba da far impallidire per ordinarietà la candidatura da primarie di Roberto Giachetti per il Pd.
Vuoi l’ultra cattolico? C’è Mario Adinolfi, per il popolo della Famiglia o Pdf. Vuoi i comunisti? C’è il ventiseienne Alessandro Mustillo del Partito comunista di Marco Rizzo. Vuoi l’indipendente di centro? Hai Alfio Marchini col suo cuore rosso e l’appoggio di Ndc e fittiani. Vuoi stare fuori dai partiti? Hai ben due paladini dei consumatori, Carlo Rienzi del Codacons, e Michel Emi Maritato di Assotutela. Vuoi l’estrema destra? C’è Simone Di Stefano di CasaPound, ma anche Alfredo Iorio per l’Msi. Sei a destra, ma sei stufo di Berlusconi? Hai Giorgia Meloni e il suo “atto d’amore”, ma anche l’ex governatore del Lazio Francesco Storace. Sei di sinistra, ma non renziano? Hai (forse) Stefano Fassina, ex Pd e ora Si . O magari Ignazio Marino, che non è ancora sceso in campo ma pare scalpiti assai e intanto diffonde un audio messaggio per il lancio romano del suo libro, il 31 marzo, dall’incipit: “Sono Ignazio, Ignazio Marino”.
[[ge:rep-locali:espresso:285187455]]
E insomma benvenuti alle elezioni di Roma 2016: non si sa ancora che giorno e che mese si voterà, ma già si nota una spaventosa somiglianza con il 1989, l’ultima volta che si votò col proporzionale e senza l’elezione diretta del sindaco. Scordarsi il bipolarismo, il maggioritario, i blocchi contrapposti, scordarsi la seconda Repubblica in blocco. Siamo negli anni Ottanta. Ciascun partito un candidato: allora come oggi, o quasi. Nell’89 per la Dc di Sbardella c’era il “signor nessuno” Enrico Garaci, per l’Msi c’era Teodoro Bontempo che aveva fatto della sparizione dei lavavetri la sua mission: “Ai semafori vogliamo essere lasciati in pace”, era lo slogan. Adesso per i Cinque stelle c’è Virginia Raggi e per Fi c’è Guido Bertolaso, la cui mission è il decoro: “Qui ci vuole l'idraulico, l'elettricista, l'architetto, il paesaggista, lo spazzino, il vigile urbano”, volava alto nel comizio all’Eur.
A ogni epoca il suo quid, il suo terreno di conquista, e oggi, sarà colpa del centrodestra che si squaglia, o della battaglia per chi conta di più in vista delle elezioni politiche con l’Italicum, ma insomma l’aria è potentemente mediatica, da Sanremo della politica. Non ci si va tanto per vincere, quanto per partecipare. O almeno per dire che si potrebbe. “Ci sto pensando seriamente, a candidarmi”, ha detto l’ex leghista Flavio Tosi. Dice: ma fa il sindaco di Verona. Ma appunto, risponde lui: “A Roma c’è bisogno di qualcuno che sappia fare il sindaco, e c’è qualcuno che ritiene che io lo sappia fare”. Qui o là che differenza c’è?
La prova di quali istinti stia scatenando la contesa romana, è la discesa in campo nientemeno che di Antonio Razzi, quello che considera il dittatore nord-coreano Kim Jong “un democratico”: “Basta con questo squallido teatrino”, ha proclamato l’altro giorno il senatore di Fi, già Idv, Noi sud, e Pdl. Punta, Razzi, a un bacino elettorale che di certo per Bertolaso è inarrivabile, dopo il terremoto dell’Aquila: gli abruzzesi. “Saranno c… bisognerà fare i conti con i 450 mila abruzzesi residenti a Roma, e con i miei conterranei non si scherza”.
Finita qui? Ma per nulla: se nel 2013 alla fine si arrivò a 22 candidati, si capisce che adesso si farà di più. Anche perché, a dispetto dei sondaggi tra i cittadini, e le primarie, e le gazebarie e le comunarie moltiplicatesi come mai fino ad ora, alla fine le candidature maturano per logiche vaghe, quando non francamente oscure. A suon di “in molti me lo chiedono” o “i sondaggi dicono che”. Insomma si fiuta l’aria, si butta là l’ipotesi, si procede a tentoni. Come se le elezioni non si celebrassero entro l’estate, ma tra un anno o due: tempo ce n’è ancora un sacco.