Con il referendum sulla Costituzione nasce il partito di Maria Elena Boschi

Comitati in tutta Italia. Una piattaforma informatica per i fondi. Scuole di formazione per i dirigenti. Adesioni trasversali. Così Matteo Renzi prepara il voto sulla nuova Carta. E la ministra fa le prove della sua leadership

Maria Elena Boschi
Il primo a partire a livello nazionale ha già depositato nello studio di un notaio romano l'atto di costituzione con il nome e con il gruppo dei promotori: comitato "Si vota Sì". Sui territori, da Nord a Sud, da Cuneo a Catanzaro, si stanno moltiplicando le iniziative, per il momento sotterranee. E presto nascerà un sito, una piattaforma virtuale che permetterà a chiunque di iscriversi, di fondare il suo comitato e di contribuire alla raccolta fondi: un po' partito all'americana un po' 5 Stelle.

È l'Azione parallela di Matteo Renzi che si muove al riparo dalle campagne elettorali di questi giorni, per il referendum sulle trivellazioni del 17 aprile e per le amministrative nelle grandi città. Per uscire allo scoperto si aspetta l'ora X, prevista per la fine del mese. Tra poche settimane le Camere daranno il definitivo via libera al testo di riforma della Costituzione che elimina il Cnel, chiude l'attuale sistema bicamerale per l'approvazione delle leggi e il voto di fiducia al governo e trasforma il Senato da camera politica con 315 membri, così com'è ora, a assemblea di cento senatori in rappresentanza di regioni e comuni. Un istante dopo partirà la lunga campagna per il referendum di autunno in cui gli italiani saranno chiamati a confermare o bocciare la riforma della Costituzione. L'appuntamento su cui Renzi si gioca tutto. E come lui il ministro che sogna di intestarsi il passaggio alla Seconda Costituzione repubblicana: Maria Elena Boschi.

È l'unico voto del 2016 che davvero interessa al premier. L'unico appuntamento cerchiato in rosso nell'agenda. Il sogno di un plebiscito modello De Gaulle che consegnerebbe l'ex sindaco di Firenze alla storia, con la riscrittura della seconda parte della Costituzione. E, al tempo stesso, l'occasione per costruire finalmente il suo partito, fuori dal Pd, oltre il Pd, da lanciare nella successiva sfida elettorale per il voto politico.

Per questo il premier-segretario ostenta indifferenza per gli appuntamenti più vicini che invece ossessionano i suoi compagni di partito: il referendum sulle trivellazioni che si svolgerà tra due settimane e le elezioni di Roma, Milano, Napoli, Torino e tanti altri comuni importanti. La sua attenzione è tutta proiettata sul dopo, sullo scontro finale sul referendum costituzionale. Per cui si stanno preparando organizzazione, comunicazione, risorse. E una leader indiscussa, molto più di una semplice testimonial. Maria Elena Boschi. È lei che in queste settimane sta girando l'Italia per costruire la rete a favore del referendum. È lei che sta scegliendo uomini e parole d'ordine. È lei che metterà il volto sulla futura campagna elettorale. A lei faranno riferimento i comitati del Sì. Anzi, i comitati Boschi.

Quasi l'embrione di una corrente, o ancor di più, un partito nel partito. Arrivato nel momento più difficile sul piano personale e politico, con la famiglia funestata da un grave lutto, la morte della nonna del ministro, la mamma di sua madre, e dall'inchiesta a carico del padre Pier Luigi, ex vice-presidente della Banca Etruria, indagato per bancarotta fraudolenta, costretto dal commissario liquidatore dell'istituto a partecipare alla restituzione di 300 milioni di euro entro la fine del mese in solido con gli altri amministratori contestati per «condotte illecite e mala gestio». E poi: conflitto di interessi, ostacolo alla vigilanza, premi aziendali non dovuti, operazioni poco trasparenti. E, infine, c'è il misterioso incontro di papà Boschi con il faccendiere in odore di P2 Flavio Carboni su cui anche Pier Luigi Bersani e la minoranza del Pd invocano un chiarimento. Una vicenda per cui il ministro è sotto tiro da mesi. Ha già dovuto affrontare un voto della Camera su una mozione di sfiducia individuale a metà dicembre, quando le ipotesi di reato erano ancora oggetto di ricostruzione giornalistica e non di indagini giudiziarie, ora è in arrivo una nuova mozione di sfiducia del Movimento 5 Stelle contro l'intero governo, ma poco cambia.
bersani

Perché il governo Renzi e la Boschi sono la stessa cosa. È stata lei stessa a dire nell'aula di Montecitorio: «Se pensate di indebolire il governo attaccando me lasciate perdere». Ma è vero anche il contrario. Di questo governo la Boschi è insieme il gioiello in vetrina e il tallone d'Achille, il punto di debolezza. Un anno fa, di questi tempi, nei sondaggi di gradimento risultava il ministro più apprezzato dopo il premier Renzi. Oggi le stesse rilevazioni la danno in picchiata, superata in popolarità da quasi tutti i colleghi. E sulla stampa cominciano a circolare attacchi da parte del Pd impensabili nei confronti della "Mari", finora giudicata intoccabile. Vuole farsi una sua corrente. Sta costruendo un circuito di fedelissimi tra i deputati di prima nomina, li incontra la sera a cena nei ristoranti del centro di Roma. Sta accrescendo il suo potere nei ministeri. Si è montata la testa, si atteggia a madre della Patria...

Argomenti che circolano tra gli amici, i renziani che hanno condiviso con lei la scalata di Matteo, più velenosi degli avversari dichiarati. «Sciocchezze», la difendono gli amici. «Le cene ci sono, ma per dare la possibilità a Maria Elena di avere un contatto diretto con i deputati che vogliono incontrarla. All'ultima, per esempio, c'erano i marchigiani Alessia Morani e Piergiorgio Carrescia che certo boschiani non sono».

I boschiani, quelli veri, aspettano l'inizio ufficiale della campagna referendaria come il momento del riscatto, la fine della stagione più nera. E in alcune regioni l'organizzazione della rete è già in fase avanzata. In Emilia, ad esempio, il giovane deputato Marco Di Maio ha spinto le federazioni provinciali a organizzare un ciclo di incontri sul referendum costituzionale destinati ai dirigenti locali del Pd. A concludere i seminari, a Bologna, è stata chiamata la Boschi. In Toscana il segretario regionale Dario Parrini, esperto di sistemi elettorali e deputato renzianissimo, ha diviso la regione in tre zone e ha chiamato tre costituzionalisti a istruire ognuno centocinquanta amministratori che diventeranno gli animatori dei comitati del Sì: Stefano Ceccanti, Carlo Fusaro e Massimo Rubechi, che è il consigliere giuridico della Boschi e ha seguito passo passo il cammino di approvazione della riforma in Parlamento.

Formazione quadri e militanti, come si faceva un tempo nel Pci. Ma siamo nelle ex regioni rosse dove è rimasto un residuo della vecchia scuola. Nel resto d'Italia, invece, la nascita dei comitati del Sì è affidata allo spontaneismo. Il primo comitato nazionale, "Si vota Sì", si è costituito a Roma, si è fornito di una pagina fb, tra i promotori ci sono Ceccanti, i senatori Andrea Marcucci e Mauro Del Barba, la deputata Flavia Nardelli e la professoressa Maria Medici, impegnata nel centro studi Crippeg dell'Università europea che si occupa di ricerche di psicologia politica e geo-politica.

Madrina dell'iniziativa è, naturalmente, Maria Elena Boschi. A livello locale i comitati del Sì sono già presenti a Torino, Bergamo, Cosenza, Cuneo, Mantova, Parma, in Sardegna. A metterli su sono renziani della prima ora, i frequentatori della Leopolda che non hanno trovato posto nelle strutture del Pd. Ma anche intellettuali, professori e professoroni come il rettore di Ca' Foscari a Venezia Michele Bugliesi, primo firmatario di un appello di veneti per il sì. E gli esponenti degli altri partiti che hanno votato in Parlamento a favore della riforma: Ncd, Scelta civica, l'alleato impresentabile Denis Verdini. A Roma, ad esempio, è attiva da qualche settimana la "rete dei Sì" animata da Massimo De Meo, ex candidato alle elezioni politiche di Scelta civica. A Padova, alla prima uscita pubblica del comitato, c'era il vice-ministro Enrico Zanetti.
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Una trasversalità tipica di tutte le campagne referendarie, speculare del resto a quella dei comitati del No che stanno spuntando in tutta Italia, in cui potrebbero trovarsi uno accanto all'altro i pasdaran berlusconiani e i nomi più illustri dell'anti-berlusconismo. Ma nelle intenzioni di Renzi e della Boschi i comitati del Sì non solo devono portare gli elettori alle urne e spingere il Sì ben oltre il cinquanta per cento dei votanti ma hanno il compito di rappresentare la leva di una nuova classe dirigente sul territorio che il premier non ha ancora trovato. L'alternativa al Pd litigioso visto nella scelta dei candidati alle amministrative o sul quesito sulle trivelle.

Per far emergere la carica dei neo-renziani c'è chi sogna che i cento fiori fioriscano, la nascita di tanti comitati, ciascuno con la sua autonomia. E chi, invece, consiglia di farli confluire tutti in un unico comitato nazionale del Sì, autorevolmente composto, con la presidenza da affidare, magari, all'ex capo dello Stato Giorgio Napolitano, tenace sostenitore della riforma (nel 2006 un altro ex presidente, Oscar Luigi Scalfaro, guidò il comitato del No che stravinse il referendum contro la riforma di Silvio Berlusconi e Umberto Bossi).
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Nessun dubbio, però, che vittoria o sconfitta saranno intestati a Renzi e alla Boschi, alla sua prima prova da leader. È stata lei, del resto, a indicare la tappa successiva: «Dopo il referendum potrà essere considerata l'elezione diretta del presidente della Repubblica». Modello Francia, con un presidente eletto e un premier che l'affianca. Fatto su misura per Matteo e per Maria Elena.

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