«Ma quale regalo a Renzi, arriviamo al ballottaggio», dicono i forzisti ora contentissimi di aver scelto Marchini. Fino a ieri però l'ex capo della Protezione Civile era l’unico candidato possibile. E infatti diceva ovunque “vado avanti”, incurante dell'imminente figuraccia 

Aveva sempre detto che lui si sarebbe occupato di Roma e che alla politica avrebbero pensato «i leader». Aveva cioè sempre detto, Guido Bertolaso, che avrebbe fatto ciò che gli avrebbe chiesto di fare Silvio Berlusconi, che infatti, così come gli aveva comandato di candidarsi, ora gli ha chiesto di passare il testimone a Alfio Marchini. I forzisti sono convinti che così Berlusconi ottenga due risultati: si gioca veramente la partita del ballottaggio e manda un segnale alla coppia Salvini-Meloni.

Il segnale lo recapita senza giri di parole Renato Brunetta: «La scelta di puntare su Marchini, allargando il perimetro del centrodestra, spiazza i disegni egemonici di Meloni e Salvini». Insomma, i due non si pensassero che il centrodestra del futuro, se mai esisterà, possa esser a guida leghista. Respinge ogni teoria di assist a Renzi, Berlusconi, ed è anzi sull’obiettivo del ballottaggio che, dopo lo sgarbo, si appella alla responsabilità di Meloni: «Mi piacerebbe», dice a Maurizio Belpietro, «che fosse lei a tornare con noi. Non dimentichi che Marchini è stato il candidato più votato alle consultazioni leghiste a Roma. Mi auguro che ci ripensi e renda ancora più forte quella che di fatto è l'unica coalizione che può farcela».
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È convinto Berlusconi di aver fatto la mossa giusta, quindi. E certo non si cura della figura fatta da Bertolaso. Che negli ultimi mesi, accusando ovviamente i giornali di scrivere «fantasie», e forte del sostegno di molti volti di Forza Italia (Polverini su tutti: «Andiamo avanti con Bertolaso», diceva ancora il 22 aprile, «abbiamo una dignità da difendere»), andava in giro ripetendo che mai si sarebbe ritirato.

Il 21 febbraio, ad esempio, a Rainwes24 diceva: «Per quello che mi riguarda ormai sono in corsa e non ho mai pensato di ritirarmi». Mai, proprio mai: «Non sono abituato a ritirarmi», aggiungeva fiero. Il 4 marzo, a un convegno di Forza Italia, ha addirittura preso in prestito il giocattolo di Salvini: «Sto continuando e sto andando avanti come una ruspa», assicurava. Nel giorno delle “gazebarie”, il 13 marzo, puntava sul consenso popolare, evocando sempre la ruspa leghista: «Non ho motivo di dovermi fermare, sono i romani che mi spingono, e se i romani mi spingono vado avanti come una ruspa, fino alla fine».

Per Bertolaso era anche una questione di tempo: Marchini è candidato dal 2013, è vero, ma «io sono sceso in campo da due mesi», era l’argomento usato all’inaugurazione del comitato elettorale, il 23 marzo. Passano altri dieci giorni, si scrivono altri retroscena sull’imminente ritiro ma lui conferma: «Io sono convinto, deciso e determinato ad andare avanti». Anzi. È parlando con Sky che Bertolaso ha perfino un moto di indipendenza: «Io vi dirò di più», dice, «che se anche Forza Italia dovesse decidere di sfilarsi io vado avanti lo stesso».
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Quelle dei giornalisti sono dunque «voci evidentemente orchestrate ad arte». La certezza si basa sul rapporto personale con Silvio: «Stamattina ho sentito il presidente del consiglio, l’ex presidente del consiglio scusate il lapsus», diceva ai cronisti mentre col trolley attraversava la Laurentina, «e non ho percepito nel suo tono di voce neanche la minima incrinatura».

La figuraccia di Bertolaso assume tratti comici se si pensa ai tantissimi manifesti ancora appesi in città. Ci vorranno giorni per sostituirli con la faccia del nuovo candidato, Marchini. E la beffa è che il 6 aprile proprio ai manifesti guardava Bertolaso per dire che lui non si sarebbe ritirato: «Se voi andate in giro per strada dovrebbero esserci già i miei manifesti di Bertolaso sindaco, mi pare difficile tornare indietro».

È quando i vertici a palazzo Grazioli si fanno più lunghi e frequenti che negare diventa difficile. Ma il nostro, resistentissimo, continua: «Mi chiedete per l’ennesima volta se io intendo ritirarmi, per l’ennesima volta come ho fatto in queste settimane di pettegolezzi, di ipotesi, di voci, di chiacchiericci, ripeto che io vado avanti». Il giorno dopo, il 22 aprile, sempre sotto palazzo Grazioli, azzarda: «Il problema è che non mi mollano», dice, «non è che non mollo io, sono gli altri che non mi vogliono mollare». Non prima di altri cinque giorni, almeno.

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