Con le vittorie di Roma e Torino, il M5S diventa partito di massa, radicato nelle periferie, mentre il partito dell'uomo solo al comando salva Milano con Beppe Sala, ma esce ridimensionato. L'assedio a Palazzo Chigi comincia da qui
Seggio n.931 Morena, Raggi 79,1 Giachetti 20,8. Seggio numero 1166 Raggi 80,6 Giachetti 19,3... Nella notte quando arrivano i seggi della periferia di Roma la vittoria di Virginia Raggi assume le proporzioni della valanga, un'ondata che travolge le fragili barriere del Pd, in un clamoroso rovesciamento delle parti. Il Movimento 5 Stelle nato sulla Rete e intorno al blog di Beppe Grillo diventa partito di massa, radicato nelle borgate e nelle cinture intorno al raccordo anulare, mentre il Pd erede del glorioso Pci e di un pezzo di Democrazia cristiana svanisce, evapora, si trasforma in un partito virtuale, un partito che non c'è. Negli stessi minuti, a Torino, l'addio alla lunga stagione di governo del centrosinistra modello Castellani-Chiamparino-Fassino è segnato dal discorso di investitura del neo-sindaco di M5S Chiara Appendino: parole di ringraziamento per il sindaco uscente, la città che è un patrimonio da tutelare e da restituire a chi verrà dopo... Il volto moderato di una rivoluzione.
[[ge:rep-locali:espresso:285210994]]L'Onda di Roma e di Torino ha il volto di due donne, due ragazze cresciute negli anni Ottanta-Novanta, nel vuoto della politica. Ha le caratteristiche dei grandi sconvolgimenti che partono nella politica italiana delle città. Il 1975, con le giunte rosse e l'avanzata del Pci di Enrico Berlinguer. Il 1993, la prima elezione diretta dei sindaci che spazzò via dalle grandi città il pentapartito egemone, prima del voto nazionale. E il 2011 dei sindaci arancioni che segnò la fine del berlusconismo a Milano e a Napoli.
Oggi resistono gli eredi di quelle stagioni: Luigi De Magistris a Napoli, Beppe Sala a Milano che nelle ultime settimane è apparso e forse ha vinto come l'erede di Giuliano Pisapia più che come esponente del partito della Nazione di Renzi, a Cagliari Massimo Zedda che neppure è del Pd, sembra piuttosto antico Ulivo. A Bologna resiste il sindaco Merola, ma è il nome sbagliato, espressione della sinistra appenninica, chiusa nei suoi recinti geografici e ideologici, quella che Renzi si proponeva di spazzare via.
[[ge:rep-locali:espresso:285210993]]La discontinuità va da un'altra parte. A Torino ha il volto della Appendino. A Roma la prima donna sindaco da Romolo e Remo, nella stanza che fu dei sindaci democristiani con i loro soprannomi fantastici, Salvatore Rebecchini, Amerigo Petrucci (il Gattone), Clelio Darida (la Volpe argentata), Nicola Signorello (Pennacchione), fa venire le vertigini pensare che da domani in quelle stanze ci sarà una ragazza sconosciuta che in pochi mesi ha conquistato percentuali che stagionati professionisti della politica non hanno mai visto neppure con il binocolo. La terza discontinuità: esattamente quaranta anni fa, il 21 giugno 1976, il Pci conquisto il Campidoglio dopo l'eterna stagione dei sindaci Dc.
La seconda nel 1993, quando a Roma nacquero i due schieramenti che avrebbero dominato la politica nazionale per venti anni. Il centrodestra, con la dichiarazione di voto di Silvio Berlusconi per Gianfranco Fini. E il centrosinistra modello Roma, di Francesco Rutelli e di Walter Veltroni, da cui anni dopo germogliò il Pd. Ora tocca alla Raggi. Da Roma parte una sfida nazionale che ha caratteristiche opposte a quelle renziane. L'uomo solo al comando di Palazzo Chigi dovrà confrontarsi con una giovane donna che non comanda in solitudine ma che rappresenta un popolo, quello che l'ha spinta alla guida di Roma sulle macerie di mafia capitale e delle dimissioni di Ignazio Marino.
[[ge:rep-locali:espresso:285210995]]Il Pd di Renzi esce ridimensionato. Ricacciato nei suoi vizi d'origine. L'arroganza di capi e capetti, vecchi e giovani. L'assenza di classe dirigente. Il voltafaccia dell'antico radicamento sociale che non viene ricompensato dall'arrivo di nuovi ceti sociali e di nuovi elettori: vedi la chiusura di campagna elettorale del Pd romano, al ponte della Musica del Flaminio, come simbolo di un partito dell'Auditorium, lontano dalle periferie e dai mali e dalla vita quotidiana dei cittadini. L'incertezza ideologica. L'improvvisa debolezza del leader. La vulnerabilità di Renzi alla vigilia del referendum su cui si gioca tutto.
Non è un'alternativa il centrodestra, che perde con il volto moderato di Parisi e con quello estremista della Lega di Matteo Salvini a Bologna. Anche perché l'elettorato del centrodestra vota con relativa facilità i candidati di M5S, mentre lo stesso non avviene a parti invertite. E l'Onda del Movimento rompe gli argini anche a Carbonia e nei comuni attorno alla Capitale: Genzano, Nettuno, Marino, Anguillara. E in 19 comuni su 20 dove era al ballottaggio.
[[ge:rep-locali:espresso:285210992]]«Di solito non leggo i manifesti: camminando per le strade mi si abbuiano come dentro un tunnel. E non avrei visto questo del Partito comunista, se un amico non me lo avesse indicato: "Decidi/lotta/governa/col Pci/diventa comunista". I due verbi - lottare, governare - sono graficamente separati ma aspirano, evidentemente, alla fusione, all'unione, all'univocità. Nascerà il verbo lottagovernare? Dopo la non sfiducia, il lottagovernare. Siamo ai neonevrologismi», scrisse Leonardo Sciascia dopo le vittorie del Pci nelle città negli anni Settanta. Un esperimento carico di speranze che non bastò a spingere il partito di Berlinguer alla conquista del governo nazionale. Tocca ora al Movimento 5 Stelle dimostrare di saper governare. Oggi le città, domani Roma. L'assedio a Palazzo Chigi comincia da qui.