Marco Miccoli è il segretario romano del Partito democratico dei tempi di Bersani. È deputato, e negli ultimi due anni ha rappresentato l’opposizione interna a Matteo Orfini, presidente del Pd ma soprattutto commissario del partito capitolino, mente, con Renzi, della cacciata di Ignazio Marino, delle dimissioni dal notaio. «Non è una bella giornata. Hai una domanda di riserva?» risponde Miccoli al «come va?» di rito. Poi però si può togliere la soddisfazione, magra, di dire: «Io, con altri compagni, l’avevo detto che cacciare Marino non era una buona idea». Che è un po’ il contrario, però, di quello che dice Roberto Giachetti, intervistato dal Corriere nella notte della disfatta. Giachetti pensa che il Pd sia stato invece punito non per aver cacciato Marino, ma per averlo fatto eleggere. Questione di punti di vista, forse. «Dopo i cinque tremendi anni di Gianni Alemanno, quando hanno dato fiducia a noi, li abbiamo ripagati con Ignazio Marino», dice il candidato sindaco: «I romani erano e sono furibondi. La Raggi ha rappresentato la vendetta perfetta».
Miccoli, mi pare che l’analisi del voto condivisa sia ancora in alto mare, diciamo.
«Preferisco non commentare le parole di Giachetti. Concediamogli l’onore delle armi, perché non dev’esser facile parlare dopo una notte così».
Ora lei dice "alcuni di noi avevano detto che cacciare Marino non era una buona idea”, però i consiglieri del Partito democratico sono andati tutti dal notaio, tutti hanno firmato le dimissioni.
«Perché il partito da due anni è sotto una gestione commissariale che non ha voluto sentire nessuno».
Ed è innegabile che tutto il Pd abbia fatto per mesi quasi da opposizione a Ignazio Marino.
«Non tutto il Pd e non da subito. Io vorrei ricordare che i problemi con Marino sono iniziati anche prima dell’inchiesta e prima degli scontrini. Dovemmo autoconvocarci per stoppare l’attacco dei consiglieri comunali, partito già dopo i fatti di Tor Sapienza, dopo quella rivolta che non si è mai capito bene neanche da chi e se è stata organizzata. Però in tanti la cavalcarono, e nella direzione a ridosso degli eventi ci furono 24 interventi contro Marino. Pezzi di partito gli hanno fatto la guerra da subito, anche su provvedimenti epocali come la chiusura di Malagrotta: siccome come ovvio nei giorni successivi la chiusura della discarica il sistema dei rifiuti era andato un po’ in sofferenza, per riorganizzarsi, ci fu chi chiese le dimissioni dell’assessore Estella Marino».
Scusi ma lei sostiene che Marino non andasse cacciato perché era poi prevedibile la sconfitta o perché quella giunta, sostenuta diversamente, avrebbe potuto lavorare meglio?
«Io dico, intanto, che è stata una follia perché non c’era un piano B.»
Ma c’era un modo per riprendere il rapporto con Marino o no?
«C’era, ma quando l’ho proposto sono stato insultato. Una mediazione poteva essere una verifica di sei mesi con il Pd in appoggio esterno, pronto a votare solo le delibere condivise e poi, eventualmente, a rientrare in maggioranza. Minimo minimo ci saremmo evitati di andare al voto in questa fase, che non mi sembra un risultato da poco».
Così sembra solo una soluzione tatticista, però...
«Non è tatticista perché Marino non avrebbe più avuto l’alibi dell’opposizione del Pd, e magari avrebbe funzionato. E poi comunque, non è tatticista perché è semmai politica: avremmo evitato prima la gestione Tronca - che non mi pare abbia fatto così meglio di quanto avrebbe potuto fare Marino, anzi - e poi di consegnare la città al populismo votato dalle destre».
Lei faceva parte del circolo Donna Olimpia, uno di quelli pro-Marino. Orfini vi maltrattò, vi impedì di essere seggio alle primarie. Ora lei chiede le sue dimissioni?
«Io fossi Orfini mi dimetterei subito, senza farmelo chiedere. Ma non basta, perché non è lui l’unico responsabile, sarebbe un errore pensare sia così facile ripartire».
Chi sono i responsabili?
«Quelli che dall’inizio hanno minato il percorso di Marino. Quelli che non si sono opposti a Orfini, che non hanno capito che il tema non era tanto difendere Marino con tutti i suoi problemi e limiti, ma difendere e far lavorare la nuova classe dirigente che c’era in città e che amministrava alcuni assessorati e i municipi. Loro stavano facendo bene, e non a caso - pur perdendo - fanno tutti risultati migliori di Giachetti».
Il suo collega Davide Zoggia ha chiesto anche le dimissioni di Renzi da segretario del Pd. La campagna contro Marino è partita da lì, è innegabile.
«Ne parleremo, discuteremo di chi ha condotto questa partita. Ma non dobbiamo fare lo stesso errore che è stato fatto a Roma. Non dobbiamo distruggere tutto. Senza di noi, c’è la destra, torna persino Mastella, e vince il populismo dei 5 stelle. Dobbiamo quindi smetterla di pensare alle nostre vicende interne senza porci il problema delle ripercussioni sul mondo fuori. Poi sono convinto che Renzi stesso farà una riflessione, non si sottrarrà».
Anche sulla legge elettorale, che ora sembra perfetta per i 5 stelle?
«Più sul fatto che adesso tutto possiamo permetterci tranne che perdere pure il referendum. E che quindi bisogna cambiare qualcosa. Dobbiamo trovare il modo di sostenere tutti quella battaglia, perché se non passa c’è il caos».