Dopo la vittoria contro Parisi, il programma di Mister Expo è ambizioso: un'idea di città  a indirizzo internazionale, temperata dalla sostenibilità ambientale, e pronta a diminuire il gap centro-periferia sul motto 'Non lasciare indietro nessuno'

L'ansia c'è stata, non lo nega nessuno, ma alla fine a Milano ha vinto Beppe Sala, e con più agio che al primo turno. Il risultato finale (51,7 contro il 48,3 di Stefano Parisi) rasserena almeno tre soggetti: il sindaco uscente Giuliano Pisapia, il premier Matteo Renzi e gli estimatori di Expo 2015.

Il sindaco Pisapia, che nel finale della campagna elettorale si è speso con più convinzione nel sostenere Sala come continuatore del “modello Milano” di questi ultimi anni, che coniuga la vocazione metropolitana con l'apertura culturale e la solidarietà sociale; il premier Renzi, che a fronte delle dure sconfitte di Roma, Torino e Napoli vede premiata la sua idea di candidare un manager puro, Mr Expo, esordiente in politica; e quella parte di opinione pubblica che ha creduto fin dal principio, contro il “gufismo” di molti, in politica e nei media, nella sfida internazionale di Expo 2015, i cui effetti sull'economia sono ben visibili anche a otto mesi dalla fine dell'evento.

È piaciuto ai milanesi lo stile con cui i due manager, il vincitore e lo sconfitto, si sono complimentati a vicenda. «Parisi ha fatto un grande risultato», ha dichiarato subito Sala. E - va aggiunto – si è battuto bene, tenendo sotto controllo con notevole acume politico la coalizione disomogenea tra Forza Italia e Lega. Ma in città la Lega, nonostante la retorica di Matteo Salvini, continua a non sfondare, e non vale più del 10 per cento dei voti. Il fair play dei duellanti (Sala: «Un modo di comportarsi milanese che male certamente non fa») resterà agli atti, abituati come siamo alle rissosità anche sguaiate della politica nazionale.

Così come rimarrà agli atti che il modello 5 Stelle, così presuntuoso e  sprezzante, nella città più europea d'Italia, città di talenti e di opportunità, più solida di fronte alla crisi economica e governata da una giunta Pisapia che non è incappata in alcuno vero scandalo, trovano meno spazio politico che altrove.

Beppe Sala non è un politico esperto né un grande oratore. Il suo stile è piuttosto secco. Ma parla tre lingue, ha viaggiato molto, e ha elaborato un programma ambizioso. Non sarà facile onorarlo, in tempi di dura spending review comunale. Ma la sua idea di città è a indirizzo internazionale. Non è anti-sviluppista ma temperata dalla sostenibilità ambientale, e solidale nella promessa di diminuire il gap centro-periferia sul motto «Non lasciare indietro nessuno».

Tra le urgenze principali ci sono le partite urbanistiche e di mobilità: procedere in tempi certi con la linea M4 della metropolitana, che a regime porterà il sistema Milano a ben 130 stazioni. Allungare la M5 fino a Monza; continuare la politica antitraffico dell'Area C (che Parisi voleva ridiscutere); rinforzare gli ecobus, le piste ciclabili e il car sharing, buone pratiche per le quali va detto grazie a Moratti e Pisapia. Una partita ardua riguarderà il recupero degli scali ferroviari dismessi, oltre un milione di metri quadri, a cominciare dagli scali Farini e Romana, in un equilibrio negoziato tra l'indice di edificabilità e la creazione di nuove aree verdi (vedi il progetto del “Fiume verde” studiato dall'urbanista Stefano Boeri). C'è poi il tema delle ex caserme, e dello sviluppo dell'area Expo come campus della ricerca e dei saperi.

Una promessa elettorale importante riguarda le tasse locali. Sala vuole  portare l'esenzione dall'addizionale Irpef da 21 a 28 mila euro di reddito, una boccata di ossigeno per 150 mila cittadini in più. E ridurre gli oneri Tari per le attività commerciali sfavorite dei grandi cantieri come l'M4.

Sul piano della sicurezza, Sala rischia di più. Il modello dialogante e inclusivo tracciato da Pisapia è considerato troppo lasco anche da molti elettori di sinistra. In città sono più visibili i senzatetto, i mendicanti Rom, gli assistiti dalle mense di carità; non solo i profughi in transito e stanziali. Sono diminuiti gli omicidi, ma aumentati i furti in appartamento, e in periferia c'è molto da migliorare. L'idea dei 300 militari in più per le strade sembra ripresa dai programmi del centro-destra, ma questa è l'aria che tira. Ed è una spia allarmante il fatto che a Milano abbia disertato il voto di ballottaggio quasi la metà degli elettori.

Sala ha ripetuto: priorità alle periferie, dove da sindaco intende mantenere l'interim. In campagna con il suo lo staff  ha creato una “mappa dell'ascolto” nei quartieri esterni (il suo programma ha raccolto bisogni e richieste da ben 40 zone diverse). E ha annunciato, dopo il trasferimento delle case popolari alla società partecipata MM, di voler abbattere drasticamente il fenomeno degli alloggi sfitti. Verrà studiata, inoltre, la cessione di quote di società partecipate nel caso della Sea (aeroporti) e della Milano-Serravalle (autostrada), e il rafforzamento di Metropolitana Milanese e Atm.

Quanto alla squadra di governo, a breve Sala annuncerà il vicesindaco, che sarà una donna. (In consiglio comunale il centro-sinistra porta un numero pari di donne e uomini). In continuità con Pisapia in giunta saranno confermati diversi assessori uscenti, come Pierfrancesco Majorino (sconfitto alle primarie ma leale supporter in campagna elettorale), Pierfrancesco Maran, Marco Granelli e Cristina Tajani. In squadra ci sarà l'avvocato Umberto Ambrosoli. L'ex magistrato Gherardo Colombo guiderà un comitato per la trasparenza amministrativa; l'ex ministro degli Esteri Emma Bonino sarà consulente per le relazioni internazionali; il multitalento Linus per i giovani, gli eventi, lo spettacolo.

Dove la proposta Sala è più fumosa è sui temi della cultura. E invece proprio qui si gioca una partita nuova. Perché riguarda il cambio di identità di Milano avvenuto in questi anni. Perché Milano (21,5 milioni di visitatori a Expo 2015; turismo in aumento a doppia cifra nel primo trimestre 2016) è la città dei 180 mila studenti universitari, di un numero altissimo di Consolati esteri, di leadership forti nella new economy, nella ricerca medica e scientifica, nell'editoria libraria, nell'offerta museale e musicale, nel mercato dell'arte, oltre ai classici primati nei sistemi moda, design, architettura, food. Insomma, Milano – e proprio “l'Espresso”è stato tra i primi ad accorgersene – è vissuta, dagli Stati Uniti alla Cina, come una capitale culturale. E il manager Sala dovrà mostrarsi all'altezza.