Il patto spregiudicato tra Salvini e Di Maio, dopo la scelta di Casellati e Fico, è pronto a funzionare anche su palazzo Chigi. Ma prima c'è da capire a chi finiranno i posti più ambiti dentro il Parlamento

Parlamentari berlusconiani imbarazzati e gelidi. Grillini pienamente a loro agio. Appena cominciata, la legislatura ha già registrato un record: lo scambio delle posizioni. Al Senato, durante l’elezione della presidente, i Cinque stelle gioivano e si abbracciavano, quelli di Forza Italia non sapevano dove guardare. Sostenere che Ruby fosse la nipote di Mubarak deve essere stato uno scherzo, al confronto. Stavolta toccava loro applicare un accordo che è stato stretto sopra la testa di Berlusconi. Lui ha fatto appena a tempo ad acconsentire. Il Pd renziano invece in partita non è entrato nemmeno: a Renzi non è rimasto che far battute coi vicini di banco.
 
Nel segno di una spregiudicata e giovane crudeltà, Matteo Salvini e Luigi di Maio hanno così aperto la legislatura facendo eleggere Roberto Fico alla Camera ed Elisabetta Alberti Casellati al Senato – uno custode dell’ortodossia grillina, l’altra vestale dell’ortodossia berlusconiana – grazie a un accordo di rapidissima esecuzione che i più son pronti a vedersi ripetere sotto gli occhi nelle prossime settimane, quando si tratterà di formare il governo. Un disegno già si tratteggia, con Salvini che ribadisce come «il prossimo premier non potrà che essere indicato dal centrodestra», e  Di Maio che non scarta l'ipotesi di un governo col Carroccio: «Siamo aperti a tutti?». Mentre Grillo si sbilancia. Dice che di Salvini ci si può fidare: «Quando dice una cosa la mantiene».
 
Certo non è detto che andrà tutto dritto. Nella scorsa legislatura, Laura Boldrini e soprattutto Pietro Grasso, furono scelti quando ancora Bersani tentava di fare un governo Pd-Cinque stelle: poi la faccenda ha preso tutta un’altra piega. Per capire come andrà a finire, ancor prima della formazione dell’esecutivo, tornerà utile seguire lo scacchiere delle nomine parlamentari, che parte giusto adesso.
 
Tra oggi e domani, infatti, andranno formati i gruppi parlamentari e scelti i loro Presidenti. Subito dopo, dal 29, gli Uffici di Presidenza di Camera e Senato. Che poi sono il governo della complessa macchina e quindi con un potere (e status) ambitissimo e pieno di implicazioni. Solo alla Camera servono quattro vicepresidenti, tre questori e (almeno) otto segretari che, col Presidente, decidono, tra le altre cose, il bilancio interno, sanzioni e sospensioni dai lavori ai deputati più focosi, trattamenti economici e pensionistici del personale, strategie di comunicazione, bandi di concorso per assumere eccetera.

Come saranno distribuiti questi posti? Di solito a fare da bussola sono i rapporti di forza. Stavolta in assenza di schieramenti chiari e in attesa di capire chi è maggioranza e chi è opposizione, andrà deciso, per fare un esempio, come distribuire le otto vicepresidenze in palio. È ragionevole credere che la Lega vorrà tanto un vice-Fico alla camera, quanto un vice-Casellati al Senato; appare scontato che almeno un vice a testa finisca al Pd, meno scontato è capire quanto Fratelli d’Italia farà pesare il proprio contributo al risultato elettorale.  Già qualche ben informato dice che gli occhi del partito di Meloni e La Russa cadrebbero su due dei sei posti da Questore, i potentissimi padroni dei forzieri di Palazzo, quelli che autorizzano spese e appalti di opere e servizi, e predispongono il bilancio interno di Camera e Senato.
 
Ma per dare un seguito coerente a tutto questo bisognerebbe capire, appunto, chi farà che cosa a Palazzo Chigi. Se Forza Italia, tanto per dire, dovesse sfilarsi da un governo Lega-M5S avrebbe diritto a meno posti negli organi interni del Parlamento. E così pure se il centrodestra unito si trovasse a farsi votare la fiducia senza l’apporto dei grillini, questi ultimi a quali e quanti posti avrebbero diritto in Ufficio di Presidenza?
 
Domande che alzano un nugolo di polvere sul complicato scacchiere delle pedine da sistemare, per fortuna con moltissime caselle in grado di soddisfare i palati più esigenti: ci sono le presidenze delle Commissioni permanenti, le Giunte, ci sono i Comitati e ci saranno pure tutte le bicamerali. A partire dalla Vigilanza, che fu il regno di Fico. Tanto per fare un paio di esempi, non c’è dubbio che i due agnelli sacrificali a trazione forzista, Romani e Bernini, dopo esser finiti nel tritacarne delle presidenze non potranno esser lasciati a bocca asciutta per una così ferma prova di coerenza. E infatti, già la Bernini viene data per capogruppo al Senato, silurarla una seconda volta nella ridda dei nomi non sarebbe elegante .

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