L’urgenza di una «rigenerazione culturale». ?E la politica «rimasta senza padri». Intervista al presidente della regione Sicilia, ?chiamato il "fascista gentiluomo"

Lo chiamano fascista gentiluomo ed è difficile capire se sia più compiaciuto del primo o del secondo attributo. Ma è certo che la definizione gli calza a pennello. Nello Musumeci è un signore siciliano elegante e asciutto, composto e cerimonioso, con una sicurezza di sé e del proprio ruolo che gli viene da una esperienza politica di quasi cinquant’anni. Da fascista sempre dichiarato ha attraversato la prima e la seconda Repubblica, passando senza danni di immagine da Almirante a Fini, a Storace, fino alla costruzione di un personale movimento di destra che già nel nome, “Diventerà bellissima”, vuole evocare Paolo Borsellino e la Sicilia migliore.

Oggi Musumeci, presidente di una Regione difficile, difende ancora la sua collocazione ideologica, cercando di non farsi confondere con le schegge di destra xenofoba che circolano nel Paese e con le ambiguità dei messaggi governativi. Così comincia proprio dalla non semplice contiguità con il governo centrale una conversazione che si scioglierà poi in un racconto di vita personale e sentimentale.

Domanda diretta, presidente: le piace questo governo?
«Risposta diretta, signora: io non do ne voti né veti e giudico i governi alla scadenza, non alla partenza».

Qualche impressione l’avrà pure avuta.
«Ho la necessità di interloquire con molti ministri e, anche se la ritengo ibrida, ho il dovere di rispettare questa coalizione».

Ho capito, non le piace.
«Rilevo semplicemente che la geografia del centrodestra nel Paese non è la stessa del Parlamento. Vorrei che tutti ritrovassimo le ragioni che ci uniscono, non quelle che ci dividono».

Lei governa la Regione con i 5 Stelle che fanno opposizione su tutto. Come li giudica?
«Mi aspetterei da loro un rispetto istituzionale che per ora manca. Ma quando vado in campagna trovo negli insetti le risposte alle mie domande. Ascolto le cicale che non smettono di cantare, osservo le formiche che lavorano senza tregua per preparare la buona stagione e mi convinco che la la politica di oggi funziona nello stesso modo».

E con Esopo abbiamo sistemato i 5 Stelle. Invece i rapporti con Salvini sembrano buoni, se lei è andato persino al raduno di Pontida.
«Ci sono andato per rispetto del galateo e sul palco ho detto che il Nord senza il Sud non va da nessuna parte. Mi aspettavo qualche contestazione e invece ho avuto applausi fragorosi. Comunque se l’arcivescovo di Palermo mi invita a visitare il seminario, io da persona educata ci vado, ma non per questo mi faccio prete».

Però sulle politiche dell’immigrazione la sua voce si è sentita poco.
«Ne parlo nei momenti opportuni. E se me lo chiedono, dico che la chiusura dei porti è servita a mettere a nudo l’egoismo di un’Europa che, se continua così, non merita più la nostra presenza. Ma ovviamente è una cosa che non può durare a lungo».

Che ne pensa del razzismo strisciante?
«Che non c’è, e tanto meno in Sicilia, terra che ha avuto 15 dominazioni ed è abituata a convivere con l’altro. Qui è necessario lottare contro lo sfruttamento di questi nostri fratelli sulla cui pelle qualcuno ha fatto affari e si è arricchito».

Parla come uno di sinistra.
«Non è la prima volta che me lo dicono. Invece io sono orgogliosamente di destra, ma ho la fortuna di ricevere consensi elettorali anche da elettori di sinistra. Credo che sia il massimo per un politico».

Che tipo di destra è la sua?
«Quella di Giorgio Almirante. Non sono un nostalgico e nel mio studio non troverà testimonianze del passato, ma soltanto un suo ritratto con dedica. Ho anche chiamato Giorgio il mio figlio minore. C’era Almirante alla guida del Movimento sociale quando nel 1970 mi iscrissi al partito».

Come nasce in un quindicenne una passione del genere?
«Ero un ragazzino che credeva nella libertà e invece i picchetti degli attivisti rossi non mi facevano entrare a scuola, secondo la logica “Chi non è con noi, è fascista”. Così mi sono avvicinato ai giovani di destra e mi ci sono subito trovato bene per valori condivisi e quasi per vocazione genetica».

Si riferisce ai suoi genitori?
«No, mio padre era un autista di autobus del tutto qualunquista: votava per gli amici. Una volta, da piccolo, mi portò nella cabina elettorale e fece decidere a me dove fare la croce. Mia madre non pensava alla politica ed è morta quando avevo quattordici anni».

Lei si è iscritto al Msi subito dopo. Quanto ha contato questo lutto nella sua scelta politica?
«È un’associazione a cui non avevo pensato. Probabilmente ho cercato un altro calore. Con la morte di mia madre avevo perso l’amica, la sorella, la confidente. Forse il partito ha riempito in parte quel vuoto».

Come è stata in seguito la sua vita di adolescente?
«Ho imparato a cucinare, lavare, stirare, per prendermi cura di mio padre. Avevo lasciato gli studi, ma poi mi sono diplomato da privatista alla Scuola agraria. Più tardi mi sono mantenuto all’università lavorando presso uno studio legale. Un giorno l’avvocato mi dice: “Sei licenziato, tu non sei fatto per guadagnare 40 mila lire al mese”».

Tutto sommato, un complimento.
«Forse sì, comunque uno stimolo a fare altro. Ho scritto per diversi giornali locali, ho condotto il telegiornale di una tv privata legata al partito, dove non leggevo le notizie ma le commentavo a modo mio. Ne ho guadagnato in popolarità e sono stato eletto facilmente nel consiglio comunale di Militello. Poi mi sono innamorato di mia moglie intorno al tavolo dove si impaginava il rotocalco per cui entrambi lavoravamo. Lei faceva la grafica, ma era anche la figlia dell’editore, che mi disse: “Non posso consentire che mia figlia si prenda un fascista squattrinato”».

Questo invece ha l’aria di un doppio insulto.
«Infatti lo era, ma noi abbiamo tenuto duro, ci siamo sposati, abbiamo avuto tre figli e il matrimonio è andato bene per venticinque anni.»

E poi?
«E poi, come si sa, la politica qualche volta unisce i popoli, ma spesso divide le famiglie».

Presidente, mi permette di chiederle qualcosa anche sulla tragedia che l’ha travolta cinque anni fa: la morte di suo figlio Giuseppe?
«La prego no, non ce la faccio. Mi sono rialzato e la politica è stato il mio grande sostegno».

Mi parli allora degli altri due suoi ragazzi.
«Volentieri. Salvo è tornato da Londra dopo la morte del fratello per starmi vicino ed ora si occupa di case vacanza e dell’azienda agricola con il giardino di aranci che mi ha lasciato mio padre. Giorgio fa l’attore a Roma».

Lo dice come se non fosse un vero lavoro.
«Sognavo un figlio avvocato penalista e fatico a vederlo attore. Ha avuto già qualche ruolo, ma in quegli ambienti ci vuole un pizzico di accreditamento. E io non farò mai una telefonata per aiutare un figlio. Ora si è sposato, per fortuna con un’insegnante di lettere che ha un lavoro stabile».

E lei? Ha una nuova vita sentimentale dopo la separazione?
«No, mia moglie è rimasta l’unica donna della mia vita. Io la penso come Alberto Sordi, che diceva: “Non riesco a stare a casa con un’estranea”».

Torniamo alla politica. Lei è governatore della Sicilia da quasi un anno e aveva promesso di farla diventare bellissima. Pensa di riuscirci?
«L’isola è già esteticamente bellissima. Io voglio darle una bellezza etica, una rigenerazione morale e culturale. È un processo che la politica può soltanto guidare cercando di coinvolgere la gente. Ma noi siciliani abbiamo un nemico atavico più potente della mafia: la rassegnazione. Se pensa che nella nostra lingua non esiste la coniugazione al futuro, capisce tutto».

Come pensa di combattere questo immobilismo?
«Ho il grande vantaggio di aver deciso di non candidarmi più. Quindi oggi posso scegliere soltanto quello che mi sembra giusto e dire tutti i no che mi servono».

Che cosa farà senza la politica, che è il suo mondo da cinquant’anni?
«Non ci sono solo le elezioni. Mi occuperò dei nostri giovani, che oggi sembrano tutti ricoverati in un orfanotrofio della politica, senza padri, senza riferimenti. Voglio essere la guida di una nuova generazione di siciliani».