I sovranisti non prevarranno. E dopo le elezioni l’Unione avrà la spinta per ripartire. Ma serve chiudere con l’austerità e avanzare verso una difesa comune. La ricetta del politologo
Hanno rinnegato loro stessi, ed è fondamentale. In Europa, i nazionalisti si stanno posizionando sullo scacchiere politico, ma queste nuove estreme destre non dicono più di voler lasciare l’Unione europea e tantomeno uscire dall’euro. Come tutti, vorrebbero cambiare ogni cosa nell’Unione. Come i socialdemocratici, vorrebbero imitare la Fed americana e incaricare l’Unione di preservare l’occupazione, non soltanto di garantire la stabilità monetaria. Le nuove estreme destre vorrebbero, in una parola, un’evoluzione dei trattati vigenti e, soprattutto, politiche europee, ma abbattere i muri di quella che fino a non molto tempo fa chiamavano ancora “prigione dei popoli”?
No, non se ne parla più. Non per Marine Le Pen, non per Salvini, non per nessuno dei loro simili. Con l’avvicinarsi delle elezioni europee, lo scenario è completamente cambiato nell’Unione per una ragione precisa, la Brexit. Quella Brexit che i nazionalisti avevano applaudito tanto ma che ha avuto risvolti così negativi che non la si può più portare a esempio. Salvo correre verso il suicidio, non è più possibile proporre ai popoli europei di seguire la strada dei britannici, perché oggi è fin troppo evidente che offre soltanto un’alternativa deprecabile. O si esce dal mercato unico e ci si priva del libero accesso a quello che è il tuo mercato principale, oppure vi si resta e ci si adegua a tutti i requisiti e i regolamenti dell’Unione senza più avere diritto di parola in fase di definizione.
A prescindere da quale sarà l’esito della Brexit, il suo primo effetto sarà quello di far vacillare il sovranismo dimostrando quanto l’idea di smantellare l’Unione sia irrazionale. I nazionalisti potranno dire quello che vogliono per scagionarsi del loro voltafaccia, ma una cosa è certa: hanno commesso un errore e hanno ingannato i loro elettori spiegando che non restava altra strada da percorrere se non disgregare l’Unione e che loro incarnavano gli interessi nazionali contro élite globalizzate che lavorano per la sventura dei popoli.
Queste stupidaggini hanno incassato un colpo tale che, no, l’Europa e i sostenitori della sua unità non sono già sconfitti alle elezioni europee.
A maggio le estreme destre guadagneranno terreno, perché la socialdemocrazia e la democrazia cristiana accusano stanchezza e il voto di protesta rimane forte in tutta l’Unione. La composizione del Parlamento di Strasburgo ne uscirà trasformata. Ma i nazional-conservatori non raggiungeranno la maggioranza perché i voti per il centro e per i Verdi si affermeranno nei rifiuti paralleli della sinistra, della destra e delle estreme destre, e nuove coalizioni si delineeranno nel tentativo di reinventare le politiche europee.
La “rinascita” alla quale Emmanuel Macron ha fatto appello di recente non avverrà dalla sera alla mattina, certo, ma questa ambizione si imporrà più rapidamente di quanto si creda perché per noi, noi europei, la scelta è facile. O non riusciremo a serrare le file e spariremo dalla scena internazionale, oppure ribadiremo la nostra unità e costituiremo, accanto a Cina e Stati Uniti, una delle tre entità di primo piano che domineranno questo secolo. [[ge:rep-locali:espresso:285328911]] Oggi ci sentiamo minacciati da tutto. Il caos che dilaga in Africa e in Medio Oriente potrà accrescere il numero dei disgraziati che cercano di raggiungere le nostre coste per scappare dalla guerra o dalla fame. Il revanscismo di Vladimir Putin può far dilagare nei Paesi baltici e poi in Polonia il conflitto che ha già infuocato l’Ucraina.
Proprio quando la stabilità delle nostre frontiere meridionali e orientali è quanto mai aleatoria, gli Stati Uniti di Donald Trump hanno messo in discussione una volta per tutte l’automatismo dell’ombrello americano. In altre parole, oggi siamo senza una Difesa, proprio quando le possibilità di conflitto sono più elevate che mai. E non è ancora tutto, perché non abbiamo un unico nemico, ma tre.
In passato, soltanto l’Unione Sovietica ambiva a indebolirci, o peggio ancora. Ormai, per voce del loro presidente, gli Stati Uniti hanno fatto di noi un avversario economico da ostacolare, mentre la Russia lavora alla nostra disgregazione finanziando e appoggiando le estreme destre nazionaliste e la Cina fa di tutto per insediarsi nei vari Paesi europei nel timore che l’Unione costituisca un fronte comune nei riguardi dell’espansionismo dei suoi capitali.
Siamo “under attack”, sotto attacco, e non abbiamo né una Difesa né una politica estera comune, e questa carenza potrebbe portarci in poco tempo a vivere sulla nostra pelle la stessa sorte di Venezia: diventare un museo dopo essere stati una potenza.
Ci si può rassegnare.
Indossando il saio e con la corda al collo, possiamo prendere la strada che porta alla subordinazione. Possiamo scegliere di non esistere, invece che esistere, ma non è vero che gli europei siano pronti a tanto e che la forza dei sovranismi ci imponga questa scelta. L’evoluzione delle estreme destre dimostra il contrario e i fatti parlano: le estreme destre non hanno una maggioranza che possa disfare l’Unione, non l’hanno in nessun Paese europeo e tanto meno in Gran Bretagna. Spaventati dall’immigrazione di massa, dagli sconvolgimenti in tutto il pianeta, dall’affermarsi di nuove potenze, e incolleriti perché non riescono più a capire dove stiano andando i loro Paesi, i popoli europei ribaltano ovunque le carte in tavola, ma rifiutano la stupidaggine di barattare l’unione con la disunione.
Nulla è già perduto, insomma, e il mezzo per rimbalzare prima di rinascere è non puntare più all’unanimità. In 27 e, a fortiori, in 28 se i britannici rinunceranno alla Brexit, è illusorio pensare di poter mettere d’accordo tutti gli europei su ogni cosa. Di questo passo, ostinandoci, non faremmo altro che continuare a negoziare per troppi anni compromessi svuotati di significato a causa delle concessioni eccessive che ciascuno Stato membro imporrebbe a tutti gli altri. Ormai, invece che all’unanimità dobbiamo dare la preferenza alla forza trainante di coloro che vogliono spingersi più lontano e più rapidamente in un campo o in un altro. È indispensabile sistematizzare quello che è stato fatto con l’euro - che non tutti gli europei hanno adottato, ma adotteranno un giorno - e a quel punto si scoprirà che le linee di demarcazione tra le varie correnti europee sono molto meno immobili di quel che si crede.
A prima vista, da un lato ci sono i sovranisti e dall’altro i federalisti. Se si osservano le connivenze e si dà ascolto alle voci, pare vero mentre, al contrario, non potrebbe essere più infondato. I dirigenti polacchi e ungheresi si sostengono a vicenda di fronte alle minacce di sanzioni europee per il disprezzo che mostrano nei confronti della legalità, ma tra di loro c’è la Russia, alla quale Orbán è assai vicino e che Kaczynski teme più di ogni altra cosa.
La Lega in Italia e Fidesz (Fiatal Demokratàk Szovetsége, Unione dei giovani democratici) in Ungheria hanno molti punti importanti in comune, ma la solidarietà europea che Matteo Salvini intende imporre nell’accoglienza dei rifugiati è completamente inaccettabile per Victor Orbán, come del resto lo è per Marine Le Pen e Jaroslaw Kaczynski.
In Polonia il PiS (Prawo i Sprawiedliwo ?? , Partito Diritto e Giustizia) non vuole nemmeno sentire parlare di una Difesa europea, perché teme che essa riesca a spezzare i rapporti atlantici, mentre Fidesz la promuove perché la Russia lo preoccupa così poco da aver già elaborato il lutto per questa Nato che Donald Trump si accanisce a voler fare a pezzi.
Parimenti, Parigi e Berlino sono molto più lontane di quanto non sembri, perché le idee francesi su investimenti e bilanci europei comuni sono percepite dai tedeschi come un modo per aggirare i parametri di Maastricht rilanciando le spese pubbliche, quando invece a Roma, a Madrid e in molti dei Paesi più piccoli dell’Unione sono accolte favorevolmente.
A partire dalla Difesa comune, numerose proposte di miglioramenti europei potranno trascendere le divisioni tra gli Stati membri che, in parallelo, finiscono tutti con il preoccuparsi per l’aggressività commerciale di Cina e Stati Uniti. Malgrado le sue esportazioni verso questi due Paesi siano considerevoli, perfino la Germania alza i toni contro Trump e Xi. Tenuto conto che la sopravvivenza dell’Europa sta nel suo essere unita, questa Unione che si dice essere moribonda è lungi - assai - dall’essere già morta e sepolta.