Aleksandra Dulkiewicz, buonista e fiera di esserlo
Quarantenne, cattolica, madre single. Sostiene gay, lesbiche e l’accoglienza. Vi raccontiamo la nuova sindaca di Danzica: «La nostra è una città di mare. E i porti, per definizione, sono aperti»
Aleksandra Dulkiewicz, a voler usare la neolingua dei sovranisti e populisti italiani, è una buonista. Appena eletta sindaca di Danzica, con oltre l’82 per cento dei voti, in sostituzione di Pawel Adamowicz, suo predecessore assassinato da uno squilibrato dopo anni e anni di campagna di odio da parte dei media del regime.
Appena dunque insediata al municipio della sua città, Dulkiewicz ha detto ai giornalisti: «Dobbiamo essere buoni e gentili, dobbiamo sorridere, cedere la precedenza quando guidiamo la nostra automobile». In un’altra intervista, a Radio Z, un’emittente vicina all’opposizione, a una domanda ha risposto così: «Gli abitanti di Danzica sono portatori di Bene intrinseco a ogni persona e sono quindi in grado di comportarsi di conseguenza».
Per festeggiare la sua elezione ha chiesto ai cittadini a devolvere l’un per cento dei loro introiti alle organizzazioni non governative. Il Bene, insomma, come valore esistenziale, norma di comportamento, linguaggio della politica, strumento della resistenza democratica: il contrario della cultura di risentimento e di richiamo alla vendetta (per i torti veri e immaginari, subiti) propagata dai suoi avversari. E del resto, ha rivendicato il fatto che l’amministrazione comunale si è assunta gli oneri di aiutare e tutelare i famigliari dell’uomo che aveva ucciso Adamowicz. «Sono una madre, e posso immaginarmi il dolore della madre dell’assassino», ha detto.
Al suo essere madre ci torneremo. Intanto parliamo dei luoghi e dei simboli, di posti che hanno un significato quasi metastorico Danzica è carica come poche altre metropoli del nostro Continente e in fondo quello che non veniva perdonato al sindaco ucciso era la cura per le memorie Altrui della città, la memoria tedesca compresa.
Forse quindi non a caso, la sua prima conferenza stampa da sindaca, Dulkiewicz, l’ha voluta tenere davanti all’edificio della stazione ferroviaria. Non si trattava solo di mettere in evidenza la mobilità delle persone, la nostra natura transitoria come condizione esistenziale: davanti a quell’edificio c’è un monumento. Raffigura un gruppo di bambini, ragazzi e ragazze, ebrei tedeschi, che dal porto di Danzica raggiunsero l’Inghilterra; piccoli profughi che ebbero la vita salva perché i britannici non chiusero i cuori e i porti mentre Hitler rafforzava il suo potere (o almeno non in quell’istante, alla vigilia della guerra, e non per quei ragazzi, che facevano parte dei celebri Kindertransport e molti di loro diventarono più britannici dei britannici stessi). Danzica infatti, fino al 1945, fino alla disfatta della Germania nazista fu una città abitata da tedeschi, dove la lingua parlata era il tedesco e del resto basti ricordarsi che qui è ambientato il capolavoro di Günter Grass, “Il tamburo di latta”.
La dimensione storica della città, così come il significato dei suoi simboli e luoghi, sono pane quotidiano per Dulkiewicz. Giurista di formazione, animale politico per vocazione e temperamento, ha lavorato per oltre cinque anni al Centro europeo di solidarietà. Fortemente voluto dal suo predecessore, il Centro si trova nei cantieri navali, a loro volta culla di democrazia e libertà del Paese. Qui, nel 1970, gli operai scesero in piazza e in sciopero e finì con una strage. E qui, dieci anni dopo, nell’agosto 1980, un elettricista figlio di contadini, autentico uomo del popolo guidò un nuovo sciopero; accettò l’aiuto degli intellettuali arrivati da Varsavia (e Lech Walesa, di lui stiamo parlando, impose loro di parlare un idioma comprensibile per i lavoratori non istruiti); qui insomma era nata la realtà e il mito di Solidarnosc. La semantica della mostra permanente del Centro, specie di memoriale alle lotte per la democrazia, non ha niente a che fare con il linguaggio del potere attuale, si richiama invece all’eredità illuminista e democratica dell’Europa e anche la lotta dei polacchi viene inquadrata nel contesto della storia globale. Ai cantieri, Dulkiewicz, arrivò per la prima volta, quando aveva appena pochi mesi.
Nata nel 1979, in una famiglia che faceva parte dell’opposizione democratica al regime comunista, la mamma la portò in carrozzina davanti ai cancelli, dove la gente solidarizzava con gli scioperanti. Tra gli aneddoti legati al periodo eroico delle lotte c’è anche il seguente. I nonni materni di Dulkiewicz avevano una sartoria (quelli paterni gestivano una bancarella di formaggi al mercato cittadino). La camicia che indossava Walesa nel 1990, durante il giuramento da presidente della Repubblica, era stata confezionata dalla nonna della neosindaca («erano tutti nervosi ma poi in tv il colletto sembrava perfetto»).
Padre e madre di Dulkiewicz frequentavano all’epoca un ambiente che si definiva conservatore, cristiano e europeista. È lì che si era formato anche Donald Tusk e la cui cura, per così dire spirituale, era nelle mani di un domenicano, padre Ludwik Wisniewski. Ora, la definizione “conservatore” era un po’ di maniera, per distinguersi dai gruppi di cattolici che fin dagli anni Sessanta dialogavano invece con i marxisti e si professavano “progressisti”, ma per quanto possa valere l’autocertificazione, fatto sta che padre Wisniewski (oggi 83enne), che insegnò tutto a quei giovani e ai loro figli e figlie, è una delle menti più illuminate e aperte della Polonia e dell’Europa, un adepto entusiasta di papa Francesco, in prima linea contro ogni manifestazione di xenofobia o misoginia della Chiesa polacca.
E per capire bene di che si tratta valgano due fatti. Il primo: Dulkiewicz si definisce «femminista conservatrice»; per segnalare che lei comunque resta fedele ai valori cristiani, ma anche per rivendicare i diritti delle donne. Lei, 39enne, è una madre single, dice che già incinta della figlia (oggi 11enne) sapeva che questa sarebbe stata la sua condizione e spiega che della figlia appunto si occupano tre donne: lei, sua madre e sua sorella. E poi, appena può dice che il cristianesimo significa aprirsi all’Altro ed è per questo che partecipa alle manifestazioni per la parità dei diritti dei gay e delle lesbiche. E non perde occasione per ricordare quanto Danzica sia una città portuale e «i porti per definizione sono aperti».
E anche che la metropoli sul Baltico deve essere modello dell’integrazione degli immigrati. Intanto ha fatto approvare dal consiglio comunale la rimozione della statua di padre Henryk Jankowski, a suo tempo considerato “cappellano di Solidarnosc”, scomparso nove anni fa, e oggi associato più alla pedofilia che alle lotte per emancipazione degli umili.
Lei, oltre a essere figlia del cattolicesimo illuminato, fa parte della generazione Erasmus: è di casa ovunque in Europa, ha lavorato a Londra, studiato a Salisburgo e via elencando. Parla un ottimo inglese e un buon tedesco. Ma colpisce, chiunque la ascolti, il suo polacco: Dulkiewicz ha una cura per le parole degna di una scrittrice, usa una lingua elegante ma semplice al contempo scevra di facili slogan, precisa nel dare il nome alle cose, non ha paura di dimostrare le emozioni e anzi spiega quanto i sentimenti (positivi) siano fondamentali per costruire un discorso politico che apra alle libertà e alla solidarietà.
Pochissimi giorni fa ha avuto l’assaggio del trattamento che il potere le vuole riservare: nella edizione principale del telegiornale della tv pubblica hanno mandato la notizia (con la foto) sul fatto che la sera, accompagnata da guardie del corpo, comprò in un negozio una bottiglia di vodka e due lattine di coca cola. Lei rispose con molta ironia. E intanto fa sapere di voler celebrare in pompa magna l’anniversario delle elezioni del 4 giugno 1989, che aprirono la porta a un premier espressione di Solidarnosc e del cattolicesimo liberale di sinistra, Tadeusz Mazowiecki e che secondo la narrazione del potere attuale furono una specie di “tradimento” perché le regole erano state concordate coi comunisti.
Quando era ragazzina, prima ancora di andare al liceo, un amico del padre (scomparso giovane nel 2002) le prestò una biografia della signora Thatcher. Dulkiewicz ne rimase profondamente impressionata. Ne parlava in continuazione, tanto che le affibbiarono il nickname “signora primo ministro”. Magari è una profezia.