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Politica
settembre, 2019

Il destino di un capo staff, da San Pietro ai giorni nostri

Chiamato a essere molto ascoltato o molto odiato, a proteggere il suo capo e a essere a volte da lui sacrificato, in casi rari a riceverne il testimone

Ho letto il libro di Antonio Funiciello all’inizio dell’estate e l’ho ripreso in mano ora. In mezzo, l’agosto della crisi, con i leader costretti a cambiare più volte tattica e gioco, finendo per inciampare in se stessi, nel tentativo di non uscire dal campo.

Il saggio esce così al momento giusto, per fortuna e per virtù (machiavelliane). Il lettore potrà utilizzarlo come un manuale per orientarsi nell’attualità, tra le mosse di Nicola Zingaretti, di Matteo Salvini o di Matteo Renzi e di Luigi di Maio, scritto da Funiciello che è stato capo dello staff del premier Paolo Gentiloni tra il 2016 e il 2018, osservatore partecipe (anche in questa crisi), studioso non separato dalla frequentazione diretta della macchina politica, conoscitore in profondità delle sue fascinazioni, miserie, nobiltà. Ma Il metodo Machiavelli è molto di più.

Il saggio
Democrazia è contraddire il capo
5/9/2019
Dal segretario fiorentino a Tommaso Moro, alla storia straordinaria e emozionante di Louis McHenry Howe, il braccio destro di Franklin Delano Roosevelt, che da sola meriterebbe un romanzo o una serie tv, fino alle confidenze degli uomini-ombra che hanno partecipato da protagonisti silenziosi ai principali passaggi della Prima e della Seconda Repubblica, salendo a loro volta, in alcuni casi, sul palcoscenico (Luigi Zanda e Francesco Cossiga, Gianni Letta e Silvio Berlusconi), Funiciello illumina il lato in ombra delle leadership, il consigliere del Principe, il più vicino al capo, il solo legittimato a dirgli la verità, a criticare, a mettere sul tavolo soluzioni alternative, lasciando a lui il compito di scegliere.

Le sue qualità: deve possedere «high competence, great physical vigor and a passion for anonymity», alta competenza, grande vigore fisico e soprattutto una passione per l’anonimato. Il suo destino: è chiamato a essere molto ascoltato o molto odiato, a proteggere il suo capo e a essere a volte da lui sacrificato, in casi rari a riceverne il testimone. Come successe al leader più grande e al suo staff, Gesù di Nazareth fondatore della religione cristiana con i suoi dodici apostoli, di cui Funiciello fornisce una lettura originale. Pietro, il primo chief of staff della storia, «non proviene da una famiglia ricca o inserita nell’establishment politico del tempo, è uno spirito libero, irrequieto e irruente, cocciuto e un po’ rozzo. Pietro è pieno di difetti, è lui a rinnegare il suo maestro per tre volte. Pietro è imperfetto. Ma ha carisma. E carattere. Sa assumersi il rischio e la responsabilità delle decisioni. Pietro ha leadership. È l’uomo giusto per guidare i Dodici».

Nell’imperfezione c’è la moralità di chi fa politica, che non deve mai dimenticare di sfiorare in ogni suo movimento il male, che conosce l’impurità dell’essere umano, l’opposto del cinismo con cui si predicano paradisi e si producono inferni. Libertà, verità e umanità sono le dimensioni della vita e della politica democratica, si contrappongono al volto demoniaco del potere che sempre tenta, ossessiona e divora chi lo detiene, anche se eletto per un tempo breve con le regole del gioco che i costituzionalisti liberal-democratici vollero allo scopo di limitarlo. Il consigliere è in mezzo a questo scontro, con i suoi dubbi e le sue intuizioni, diviso tra l’adulazione che porta a dire sempre di sì e la necessità di evitare errori catastrofici, la rovina per un capo, un partito, un Paese.

È lì che si compiono le scelte, in quello spazio decisivo per le democrazie, che qualcuno si ostina a chiamare coscienza. Non smettere di coltivarlo, come fa Funiciello in questa che è anche un’autobiografia intellettuale, significa esprimere un atto d’amore per la politica. Fuori moda, in questo tempo, in questa estate italiana, e dunque ancor più disperato, appassionato, necessario.

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