Il simbolo dell'era del V-day oggi è l'elemento chiave per la tenuta di governo, maggioranza e 5 Stelle. Mentre va avanti nel silenzio la delicata indagine giudiziaria che riguarda suo figlio. Inchiesta sul leader da cui dipende la politica italiana

Beppe Grillo
Le vite nuove cominciano un giorno preciso: quando meno te l’aspetti. Quella di Beppe Grillo è iniziata nei giorni in cui compiva 71 anni, 12 mesi fa, occasione per la quale Luigi Di Maio vergò su Facebook gli auguri: «Ci saranno alti e bassi, ma se stiamo uniti nessuno ci fermerà». Profezia ben oltre le intenzioni, come spesso accade. È fine luglio, fatidica estate del 2019. Quella di uno dei più rocamboleschi ribaltoni dell’Italia repubblicana: con Matteo Salvini mandato improvvisamente a casa, e con il sorgere del governo giallorosa, M5S e Pd, al posto del governo gialloverde, con la Lega.

È anche il suo di ribaltone: quello di Beppe Grillo, non ancora perfezionato ma in quel momento a una svolta, non la più spensierata. Dopo una vita passata sui palchi, dopo un decennio di Vaffa, il co-fondatore, l’Elevato dell’M5S, si trasforma in quello che sin lì non era mai stato: un pacificatore. Un creatore di nuovi governi, addirittura uno stabilizzatore del sistema. E come mai? Potenzialmente, a volerla guardare avanti, c’è chi sostiene che il suo prossimo sogno sia battezzare un nuovo contenitore di centro sinistra, dove sciogliere in qualche modo Pd e Cinque stelle. Magari partendo da laboratori come quello di Milano, dove i grillini sono sempre stati deboli e il buon rapporto con il sindaco Beppe Sala non è un segreto da un pezzo; ma, insieme, tenendo fermo - immobile - il quadro nazionale. Una staticità mai vista nel comico genovese, ma ormai indubbia. Tutti i suoi ultimi interventi sono nel segno del sopire, troncare: rinviare l’elezione del nuovo capo dei Cinque stelle, gli Stati generali, smorzare le alzate di testa. La linea resta una, persino monotona: avanti con Conte e avanti con il Pd.

Non più i vaffanculo, gli occhi strabuzzati, le grida sputazzanti, i pernacchi, le invettive, gli insulti, gli arroccamenti. Ma neanche quel progressivo distacco dell’uomo «stanchino», che fa il «passo di lato», celebrato fino a pochissimi giorni prima del maturare della svolta, nel luglio 2019. Svolta politica: perché ha visto l’alleanza con il partito democratico, quelli chiamati per anni «pdioti» o «partito dei morti». Svolta personale: perché di quel passaggio, di quell’alleanza che ha portato al Conte bis proprio Grillo è stato protagonista. Un passaggio impresso nelle menti di chi si occupa della materia: «L’ultima volta che, in estate, Beppe Grillo ha detto la sua, ha cambiato la storia politica dell’Italia. Ha fatto andare di traverso il mojito a Salvini e ha battezzato il governo M5S-Pd», sintetizzava la Stampa pochi giorni fa. Ecco la svolta.

Per raccontare il Grillo di oggi, bisogna riavvolgere il nastro e tornare al Grillo di ieri, quello di un anno fa. In un momento preciso. Quando l’uomo che soltanto il 24 luglio del 2019 gridava che il Movimento l’aveva «tradito», per via del voto sulla Tav, diventa l’uomo che quindici giorni dopo, il 10 agosto, apre all’alleanza con il Pd, e appena dopo Ferragosto convince tutti i big del partito a chiudere l’alleanza coi «pidioti». Spiegando che siamo in un «momento magico, strano, tragico». Tragico fino a che punto? Riavvolgiamo il nastro.
Davide Casaleggio

Tempio Pausania è una cittadina sarda di 14 mila abitanti nel cuore della Gallura, sotto al monte Limbara, un posto che si raggiunge accumulando curve e dove d’inverno nevica, del tutto trascurato dalle cronache mondane che da decenni si occupano soltanto di quel che avviene giù, sulla Costa Smeralda. La terra dell’Aga Khan, dei miliardari, dei calciatori, dei russi, dei ricchi, degli ex presidenti del consiglio. Eppure, tutto quello che accade giù, ai piedi di Tempio Pausania, per un verso o per l’altro finisce per passare quassù. Anime e corpi. Già dall’Ottocento sede vescovile. E sede del Tribunale, un cubo grigio lucido di fronte a campi di calcetto.

Qua, stretto tra il granito e le vecchie carceri rotonde, modello Ventotene, c’è la Procura dove da un anno giace un delicatissimo procedimento che riguarda una studentessa milanese di 19 anni e quattro ragazzi della Genova bene che lei ha denunciato per stupro. Uno dei quattro è Ciro, figlio diciannovenne di Grillo, gli altri tre sono suoi amici: Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria. I quattro, secondo la denuncia, avrebbero violentato la ragazza, mentre per la difesa si è trattato di rapporti consensuali, alla fine di una serata al Billionaire, nella casa di Grillo al Pevero, proprio sopra al Golf Club, un residence lussuosissimo fatto di villette curate fino alla claustrofobia, tra le rocce in granito della baia accanto a Porto Cervo.

L’intera delicatissima faccenda, il cui solo accenno farebbe aleggiare su tutti il fantasma del caso Montesi - che scosse la politica italiana nel lontano 1953 -, rimane completamente taciuta per l’intera estate. Risale al 16 luglio, viene stampata su un giornale proprio nel giorno del giuramento del nuovo governo, la sera del 5 settembre.

Ma, poiché la vita cambia le carte in tavola senza preavviso e senza rispetto per i confini, accade tuttavia che intrecci cronologicamente l’intero periodo della crisi politica, senza mai comparire. I fatti risalgono al 16 luglio, si diceva, la denuncia al 26: viene presentata a Milano, ai carabinieri del centro, dopo che la ragazza ha raccontato tutto ai genitori, entrambi manager, e anche previo consiglio di amici. Già a fine luglio il fascicolo viene trasferito a Tempio Pausania, per competenza, dove lo stesso procuratore capo, Gregorio Capasso, interrompe le ferie per affiancare la pm titolare, Laura Bassani. Tutto viene svolto molto rapidamente. Già dall’inizio dell’anno in Procura, dove Capasso ha trasferito le prassi già messe in piedi quando era procuratore a Latina, si applicano i protocolli del codice rosso, provvedimento che invece, approvato a fine luglio, entrerà in vigore solo il 9 agosto. Ma che in qualche modo qui si applica già. È dalla fine di luglio, dunque, che i magistrati avviano gli atti dell’inchiesta, a partire dall’identificazione degli indagati.
Luigi Di Maio

In quei giorni di fine luglio, Grillo è lontanissimo dal Movimento. Arrabbiato, furioso. Il 23 è arrivato da Giuseppe Conte il via libera alla Tav, sconfessione di anni di lotte: «Sono molto scontento», scrive il comico. A scorarlo c’è poi l’astrusa invenzione, lanciata da Luigi Di Maio, del «mandato Zero», alla quale reagisce in modo a dir poco caustico: con un tweet di parafrasi alla canzone di Julio Iglesias “Se mi lasci non vale” nella quale accusa il capo politico del Movimento né più né meno che di poltronismo («il mandato ora in corso è il primo di un lungo viaggio, di andarmene a casa non ho proprio il coraggio»).

Il 29 luglio il Corriere della Sera, per dire dell’umore del comico, scrive che «per l’anno che verrà il fondatore del Movimento sta pensando a un ulteriore impegno, uno spettacolo da portare in scena nei prossimi mesi. Uno show pungente in cui prenderà di mira tutti, compresi i pentastellati». È il segno di un quasi strappo. Che poi però si ferma. Dieci giorni dopo, appena si apre la crisi di governo, Grillo torna sulla tolda di comando, come non ci era mai stato, negli ultimi tre anni almeno. E ci torna come un che non abbia mai pensato di andarsene - quando invece ci aveva pensato eccome.

«Sopravviviamo», è la parola d’ordine del post del 10 agosto, con il quale dal suo blog Grillo anticipa la successiva mossa del cavallo, liberando i Cinque stelle dal dovere della coerenza di continuare a stare con Salvini. Tutto può cambiare, nella vita. «Il Movimento è biodegradabile, ma questo non significa che siamo dei kamikaze», «se dobbiamo fare dei cambiamenti facciamoli subito»: «Mi eleverò per salvare l’Italia dai barbari». I barbari sarebbero appunto il leader leghista, fino al giorno prima alleato di governo, adesso da buttare a mare. Per la sopravvivenza, appunto. Fare un governo, qualunque, «altro che elezioni». Il Secolo XIX lo celebra: «Solo Beppe Grillo poteva salvare il M5S da se stesso, da i suoi principi antichi o recentissimi, da una tattica fallimentare. Perché solo Grillo ha ancora il potere si plasmare la creatura cui ha dato vita». Già, la creatura. Le creature.

Mentre sul piano privato la vita della sua famiglia è sconvolta dalla denuncia di Tempio Pausania, Grillo inaugura sul piano politico la strategia di accordo con il Pd. Sopravvivere. Restare. Anche a costo di allearsi con il «partito di Bibbiano». La linea di Grillo, condivisa da Davide Casaleggio, è faticosa da digerire per i big del Movimento. Certo non è entusiasta Alessandro Di Battista, che vorrebbe cercare altri interlocutori nella Lega, ma fatica anche Luigi Di Maio, dubbioso soprattutto rispetto a Renzi: «Beppe ma davvero vogliamo metterci nelle sue mani?», gli domanda più volte. Arriva persino la proposta, pericolosa, di Salvini: Palazzo Chigi a Di Maio, e scordiamoci il passato. A quel punto Grillo fa qualcosa che non faceva da tempo: un vertice nella sua villa Corallina, a Marina di Bibbona, tra la pineta e la spiaggia. Altro che preparare un nuovo spettacolo: imbullona un nuovo governo. Tutti attorno a un tavolo, soprattutto i più recalcitranti.

«Qualsiasi cosa faremo, l’importante è restare uniti», torna a dire Di Maio alla fine di quell’incontro. È il 18 agosto, e quello è il segno della vittoria della linea di Grillo. L’uomo che due anni prima, nel settembre 2017 aveva detto: «Torno a fare il padre di famiglia e il pensionato». Padre sì, pensionato mai, ma adesso anche pacificatore: del «partito di Bibbona», come lo battezza Repubblica. Il 29 agosto 2019, dieci giorni dopo quel pranzo a base di pesce coi vertici dei cinque stelle in maglietta, a bussare alla stessa villa Corallina saranno le divise. I carabinieri: devono sequestrare il cellulare di Ciro Grillo - sul quale, come per quelli degli altri indagati, verrà disposta la perizia tecnica, alla ricerca di foto video e messaggi utili alle indagini. Il termine di deposito per quelle perizie, sempre a stare alla fredda cronologia, sarà poi prorogato fino al 27 gennaio, esattamente all’indomani del voto regionale in Calabria e in Emilia Romagna, quello che segna lo stop all’avanzata di Salvini.
Dario Franceschini

A fine agosto 2019, invece, mentre i magistrati sequestrano e interrogano, Grillo è attivissimo nel puntellare i termini dell’accordo per il governo coi Cinque stelle. Mantiene contatti con Nicola Zingaretti e Dario Franceschini. Interviene ogni volta che si rischia uno strappo. Sorprendente, per l’apparente caos che l’ha sempre circondato. Il 23 agosto, giorno del primo faccia a faccia tra Di Maio e Zingaretti, interviene dal blog con un pesante endorsement: «Giuseppe Conte non si lancia in strambe affermazioni, mostra e dimostra un profondo senso di rispetto per le istituzioni, insieme ad una chiara pacatezza ricca di emozioni normali, senza disturbi della personalità», scrive. Parole che valgono più di una nomina: i dubbi, spazzati via.

Tra il 26 e il 27 agosto, torna di nuovo a blindare l’accordo, mentre parte il toto-ministri. «Andate e sorridete» (col Pd e al Pd, sottointeso) intima, parlando in vivavoce attraverso il cellulare di Di Maio, nel corso di una riunione piena di dubbi nella sede romana della Casaleggio, di fronte a castel Sant’Angelo. L’ultimo decisivo stop alle ubbìe Di Maio, Grillo lo stabilizzatore lo dà a cavallo tra agosto e settembre, in un video dal titolo “Sono esausto” nel quale si rivolge direttamente alla base dei ragazzi del Pd, con un entusiasmo del tutto inedito: «È il vostro momento, abbiamo un’occasione unica», esclama. E se la prende con Di Maio («ci abbrutiamo, e le scalette, e il posto a chi lo do e i dieci punti e i venti punti, basta»!). Alla fine, in asse con Dario Franceschini, toglie di mezzo anche la questione dei vicepremier, in quei giorni annosissima: «Il ruolo politico lo svolgeranno i sottosegretari», decreta. A quel punto si arriva finalmente alla votazione sulla piattaforma Rousseau, per il sì all’allanza coi dem. Ormai è tutto compiuto.

Il 5 settembre giura i governo Conte bis: cambia la maggioranza e cambiano tutti i ministri. A restare nello stesso ruolo sono soltanto il premier, puntellato a tutti i costi da Grillo, e il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Il 6 settembre, in prima pagina su La Stampa, proprio a destra della foto del giuramento al Quirinale, compare per la prima volta lo scoop, la notizia che il figlio di Grillo è indagato. Nella settimana successiva, escono in successione le notizie del sequestro dei cellulari, del sopralluogo nella villa di Grillo, e dell’audizione della moglie, Parvin Tadjk, madre di Ciro, che in ogni caso viene sentita come persona informata sui fatti, avendo trascorso la notte in una delle stanze della villa. Sentiti anche la domestica e alcuni vicini di casa, anche chi dormiva al piano superiore quella notte.

Ma dopo quell’exploit di notizie, mentre il governo si avvia e i Cinque stelle compiono dieci anni, l’inchiesta tornerà nel silenzio quasi totale. Un accenno a gennaio, scaduti i termini per il deposito delle perizie sui cellulari, appena il giorno dopo le Regionali, si direbbe con un grande senso di cautela istituzionale. E un altro accenno, stavolta da parte dell’Unione sarda, ad aprile: «L’accusa di violenza sessuale di gruppo è ancora in piedi», si dice. Di certo l’archiviazione non è arrivata. Sembra che qualche ritardo sia dovuto a un tentativo di accordo tra le parti, lasciato cadere dalla difesa. E adesso, dopo lo stop da Covid-19 che ha bloccato tutti i tribunali, a Tempio Pausania non sembra che il fascicolo sia lasciato in un armadio: si stanno finendo di acquisire gli elementi e, trascorso un anno, si cominceranno a trarre le conclusioni. Anche se - dicono da più parti - prima della fine di settembre appare difficile si possano avere novità.
Nicola Zingaretti

Intanto Grillo, forse galvanizzato dalle elezioni regionali di fine settembre, non sembra aver riperso il gusto alla politica. Sancito con Luigi Di Maio il rinvio dell’elezione del capo politico, a metà giugno ha stoppato Di Battista che invocava un congresso, trattandolo come uno che vive «nel giorno della marmotta». Mentre la realtà, sadicamente, si è incaricata ancora una volta di tirar fuori aspetti che sono l’esatto contrario della sua immagine politica, scanzonata e pauperista. Il Grillo miliardario, quello degli yacht, dei golf club le serate in Liguria e in Sardegna: come ha ricordato, sgradevolmente, l’arresto (ai domiciliari) di uno dei suoi grandi amici, Massimo Burzi, 65 anni, consulente del porto Carlo Riva di Rapallo, finito nella relativa inchiesta, compagno di avventure e di goliardie.

Grillo, intanto, è ormai alieno da qualsiasi scossone che possa destabilizzare l’attuale stato di cose. Una delle battute che fa più spesso, ultimamente, riguarda sé: «E se il capo politico tornassi a farlo io?», provoca. Ma più che il capo, ruolo svolto per un mese negli ultimi tre anni, sembra intenzionato a mettere in piedi un’ennesima creatura, obiettivo per il quale deve però ricalibrare i suoi rapporti con Davide Casaleggio. Ecco il sogno, o almeno l’idea spuntata per la prima volta alla fine dell’estate scorsa, da stendere come un ideale filo rosso per i prossimi due anni almeno: non quella di portare il Movimento nell’orbita del centrosinistra, ma mischiare entrambi, per fare un aggregato politico dove possano, più che federarsi, in qualche modo sciogliersi Pd e Cinque stelle. In un nuovo centrosinistra.

Per questo Grillo, dopo esserlo stato nel 2019, appare centrale nell’asse politico anche per il 2021-2022. Ha contatti con molti, dentro e attorno al Pd. Dal governatore emiliano Stefano Bonaccini, all’ex premier Enrico Letta che in ultimo ha invitato in una intervista a «non trattare i Cinque stelle solo come una costola della sinistra». Contatti persino con Massimo D’Alema, dicono alcuni. Di certo, come si diceva, con il sindaco Sala, non a caso un non-iscritto al Pd, in vista delle amministrative a Milano, nel 2021 - una città che il comico genovese trova paradossalmente più interessante, come laboratorio, di quanto non lo siano le pur grilline Torino e Roma, di Appendino e Raggi.

Partite locali e partite nazionali. Anche se ci si slancia verso il 2022, l’anno fatidico del Quirinale, si ritrova lui, Grillo. L’uomo chiave per la nascita del Conte bis e per la sua permanenza oggi al potere, da stabilizzatore, è anche l’unico che possa garantire che ci sia una maggioranza Pd-M5S per eleggere il nuovo Capo dello Stato. Un padre nobile, un garante nei fatti, o all’apparenza. Cronaca permettendo.

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