Una coalizione monstre, un potere radicato, un consenso da ex Urss. Così “De Lucašenko” si appresta a stravincere la Regione Campania

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Impazza sui social, fa rutilare assunzioni, sovvenzioni e contributi, governa il suo feudo da più tempo di Nursultan Ábishuly Nazarbaev, il presidente kazako che ha formalmente lasciato la guida del Paese nel 2019, dopo diciotto anni al vertice dell’ex repubblica sovietica. E non disdegnerebbe persino una modalità azera, come quella che portò Heydar Aliyev a lasciare il suo posto di presidente dell’Azerbaigian a suo figlio Ilham, tutt’ora regnante - fatte le dovute proporzioni, si punta in questo caso tutto sul primogenito Piero, deputato del Pd con aspirazioni da sottosegretario, la cui più forte dichiarazione del 2020 riguarda appunto l’annuncio di ricandidatura di suo padre. Insomma ormai Vincenzo De Luca, 71 anni, 76 al termine del prossimo mandato da governatore che secondo i sondaggi si appresta a vincere a mani basse (quello pubblicato dal Sole-24 Ore di martedì lo dà a quasi trenta punti sopra al suo competitor, Stefano Caldoro), è decisamente qualcosa di più dello «sceriffo» che ci raccontiamo da un pezzo.

Dominus di Salerno e provincia da oltre venticinque anni, sovrano assoluto di un pacchetto di voti sempre uguale e sempre determinante per il segretario dem di turno (sia per innalzarlo sia per stroncarlo: per i dettagli chiedere a Pier Luigi Bersani e subito dopo a Matteo Renzi), governatore con tratti di satrapia (un suo facente funzioni governa Salerno, l’altro de Luca jr ne è stato un assessore), il suo potere somiglia sempre più a quello tipico del blocco ex sovietico - avendo peraltro De Luca studiato alla più pura scuola del Pci, fin da quando negli anni Settanta girava con lo sciarpone intorno al collo (e i baffi).

Sommando i suoi mandati locali si arriva a sei, gli stessi del presidente bielorusso Aljaksandr Lukašenko, in carica dal 1994: Vincenzo De Lucašenko, anche lui ex comunista, è partito da Salerno nel 1993 e adesso regna sul Kampanistan, che oggi è quanto di più simile da questo punto di vista a una repubblica caucasica si possa vantare in Italia. Governa e vuol continuare a farlo, stavolta con il sostegno monstre di quindici liste, apoteosi di frammentazione e clientela come raccontiamo nelle pagine seguenti. Ma soprattutto attraverso accordi in cui si raccoglie tutto – ma proprio tutto - l’usato sicuro della politica campana. Da Ciriaco De Mita a Paolo Cirino Pomicino, a Clemente Mastella, e via innovando i capisaldi democristiani della prima Repubblica e nutriti notabilati relativi (non bastasse il suo proprio).
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Con una campagna elettorale in cui i metodi più antichi, il solito «fare la clientela come Cristo comanda» si rendono efficaci con l’utilizzo dei mezzi più nuovi. Il boom di De Luca sui social è tanto recente quanto ancora poco studiato: già reuccio delle dirette del venerdì su Lira Tv, col 2020 il governatore è infatti sbarcato alle dirette social. Da gennaio a oggi la sua pagina Facebook è quella che è cresciuta di più tra i politici, dopo l’account del premier Giuseppe Conte (che però viaggia su milioni di like). Peraltro i due hanno avuto quasi lo stesso andamento di crescita: un primo incremento a inizio anno, il botto tra marzo e aprile. In numeri assoluti, la fanpage di De Luca era a 255 mila like a gennaio, e adesso se ne ritrova 986 mila, quasi un milione, con un incremento di 730 mila in nove mesi (di cui 660 da marzo a oggi).

Arcaico e contemporaneo, con però l’innovazione tragicamente asservita all’establishment, e il dominio del passato sul futuro, De Luca rappresenta qualcosa di unico nel panorama della politica italiana: governatore che resiste al cambio dei tempi, come per il Pd Stefano Bonaccini e per la Lega Luca Zaia, rispetto a loro rappresenta però un modello che non può essere esportato fuori dai confini regionali. Anche se l’ultimo giro l’ha reso un mito persino per il New York Times. E se Naomi Campbell ha pubblicato su Instagram una best of di video, tra cui i suoi, al grido: «Listen America, listen». Tutto il sistema di potere di De Luca è dal punto di vista nazionale una scala verso il nulla, che tutto può entro i confini, ma che fuori al massimo potrà tornare di qualche utilità all’avanzata della prole.

Regionali
Elezioni Campania, tutti vogliono Ciriaco De Mita
31/7/2020
«Mettetevi la mascherina, altrimenti arriva De Luca col lanciafiamme». Il colpo di reni per tornare sulla cresta dell’onda – piuttosto incredibile - l’ha dato infatti l’Era del Covid-19. Quando il governatore eterno, che si trascinava la sua fine legislatura tra una nuova inchiesta sui rifiuti e sondaggi zoppicanti, è di colpo diventato un simbolo, una garanzia, un marchio di fabbrica. L’uomo del pugno di ferro, del «io non firmo», del «vi mando i carabinieri», dei jogger «cinghialoni» senza «decenza», del lanciafiamme.

Adesso, al molo del porto di Napoli dal quale partono le navi per la Sicilia, l’esercito ammonisce così per davvero le persone in fila verso i traghetti: «Mettetevi la mascherina, o arriva De Luca col lanciafiamme», citazione precisa di un video di marzo, che segna in qualche modo il punto del cambio di passo. A metà gennaio il segretario dem Nicola Zingaretti chiedeva al governatore di aprire a un’alleanza con De Magistris, a inizio febbraio sia il sindaco di Napoli che le sardine con Mattia Santori bocciavano la sua ricandidatura, facendo sponda con i Cinque stelle da sempre contrari. La pandemia ha fatto da spianatoia. Dell’emergenza De Luca ha saputo fare virtù, ci si è fiondato: secondo i dati di Winpoll-Arcadia, i giudizi positivi sulla sua amministrazione sono passati dal 45 per cento di dicembre 2019, al 75 per cento di oggi. E l’analisi dei flussi dice che, oggi, del quasi 60 per cento che risulta ai sondaggi sono disponibili a votarlo praticamente tutti i colori dell’elettorato: metà dei grillini, un terzo del centrodestra, oltre ovviamente al Pd - partito che in Campania, anche al netto della tregua armata stretta coi napoletani, può sostanzialmente dirsi ormai cannibalizzato.

Abituato a usare la costruzione del nemico di turno per farsi campagna elettorale, De Luca adesso con la sua coalizione monstre - che per paradosso contiene di tutto, ma gli permette di presentarsi come l’unico che non si sia piegato a patti coi Cinque stelle - corre in nome della lotta alla pandemia. Il nemico perfetto: «È persino invisibile», per dirla alla Mastella. «Covid» è infatti la parola chiave che tutt’ora martella sui social, come tema unico e solo della campagna elettorale. A partire dallo slogan: «La Campania in mani sicure» che evoca lo sceriffo ma invoca l’ospedale. Tutto il resto è scomparso, mentre la nuova immagine è costruita da una specie di Bestia deluchiana, un gruppo di quattordici persone guidato da Gualfardo Montanari, 44 anni, responsabile informazione multimediale del governatore, e che una volta - insieme con Stefano Porro e Pierluigi Boda - faceva parte del gruppo che lavorava dietro ad Antonio Bassolino, ai tempi in cui il presidente della Campania era nemico giurato di De Luca.

«Non eleggeremo un governatore, eleggeremo un virologo», sospirano in spiaggia i salernitani, con senso critico misto a sollievo - avendo De Luca portato in luce nei campani una voglia di rispetto delle regole sanitarie particolarmente spiccata. Bazzecole come l’inchiesta della Corte dei conti sui venti milioni dati agli ospedali privati durante l’emergenza, terza indagine della serie cominciata con quella sulle presunte irregolarità (e relativi fedelissimi indagati) nella costruzione dei tre ospedali modulari di Napoli, Caserta e Salerno (costati 18 milioni, ne è entrato in funzione solo uno) si mescolano al bollettino quotidiano offerto da De Luca via social, alle notizie su nuove chiusure come quella di Sant’Antonio Abate e nuovi mini-cluster, nonché alle progressive rassicurazioni su nuove sovvenzioni e nuove assunzioni. Dovrebbero del resto arrivare altri 4 miliardi di fondi europei entro fine anno, calcolano i sindacati.

Già perché alla fine è questa la nuova faccia di De Luca. Promette le assunzioni di sempre, ma stavolta le comunica via social. Ed ecco l’integrazione alle pensioni minime, erogata per tre mesi. Ed ecco il video di fine luglio nel quale spiega la «più grande operazione sociale del Mezzogiorno d’Italia», il «piano socio economico da un miliardo di euro», «rivolto a diecimila giovani», dei quali «già 2500» hanno un contratto di formazione di nove mesi per lavorare - grazie all’ampliamento delle piante organiche - nei comuni, in Regione persino in corte d’appello, mentre «un altro concorso è partito per fare «seicento assunzioni nei centri per l’impiego», «e con questo siamo già oltre le tremila assunzioni».
E ancora, al 9 agosto, l’annuncio che per Garanzia giovani «registriamo in Campania 40.462 assunzioni da parte di aziende che operano sul territorio, sulla base del contributo dato alla regione. Di questi 40.462 assunti, 21 mila (circa) sono a tempo indeterminato», chiarisce De Luca. Laddove la parola chiave non è nel numero, ma nell’avverbio: «circa».

Come se di quei giovani, la tribù che fa capo al governatore non conoscesse quanto meno il numero esatto, per non dire l’indirizzo di casa. Numeri, comunque, che De Luca snocciola poggiando la sua credibilità sul pugno di ferro: «Dobbiamo registrare un clima di pericoloso rilassamento generale, credo che dobbiamo essere preoccupati e dire con sincerità che se prosegue il clima di rilassamento, distrazione, sottovalutazione, noi rischiamo di farci male», diceva il 24 luglio, in un video che ha ripostato - a mo’ di Cassandra - qualche giorno fa, come a dire che aveva già previsto tutto. Le prossime settimane saranno un crescendo, fino al 21 settembre quando, dopo la probabile vittoria, De Luca si dedicherà a far valere il suo peso nelle prossime partite.

Dal possibile rimpasto alla formazione delle liste per le elezioni politiche. Nelle quali, come avviene progressivamente a ogni tornata, il Pd coinciderà più di sempre con il partito di De Luca. Fino a diventarne una specie di Stato autonomo. Il Kampanistan, appunto, governato da un sovrano assoluto che però è condannato a non uscire mai dai suoi confini.