Nel 2021 piatto ricco di nomine con oltre 500 posti in palio fra Cassa depositi e prestiti, Rai e Ferrovie dello Stato. Tra incontri segreti, baratti e trattative (Illustrazione di Emanuele Fucecchi)

Telebiella provocò la caduta del secondo governo di Giulio Andreotti, dopo mezzo secolo Busitalia può sorreggere il secondo governo di Giuseppe Conte, anch’egli abile a tirare a campare, o almeno la maggioranza giallorossa. Busitalia è una società di trasporti di Ferrovie dello Stato (Fs), non si muove su rotaia, ma su gomma, non ha sede a Roma, ma a Firenze, impiega settemila lavoratori e fattura 140 milioni di euro. L’esecutivo giallorosso ha raggiunto l’agognata coesione con le nomine per Busitalia, riservate alla scalpitante Italia Viva di Matteo Renzi e ai Cinque Stelle capofila Laura Castelli, che seguono quelle di Trenitalia, di Rete ferroviaria italiana (Rfi) e di Consap assicurazioni in sospeso da giugno.

La maggioranza s’è data un metodo per assegnare le poltrone di Stato e finalmente, con sollievo, dicono che funzioni. Ha pianificato addirittura in anticipo l’anno che verrà. Il 2021 propone oltre cinquecento poltrone fra Cassa depositi e prestiti (Cdp), il servizio pubblico Rai, la compagnia dell’estrazione petrolifera Saipem, l’immobiliare pubblica Invimit, la società informatica Sogei, il Gestore dei servizi energetici, la capogruppo Ferrovie e la sua controllata Anas. C’è l’intenzione di recuperare gli imbarazzanti ritardi accumulati come per l’Agenzia per le infrastrutture delle Olimpiadi di Milano e Cortina, creata in febbraio con una dotazione di un miliardo di euro e ancora inattiva perché non si riesce a formare il Consiglio di amministrazione (Cda). Altro che manuale Cencelli, altro che spartizione scientifica, qui si tratta di una mensa con i segnaposto - l’unica cosa che conta - in bella mostra, una gigantesca e rumorosa mensa. La mensa giallorossa.

Si valutano fatturato, investimenti, dipendenti e relazioni territoriali delle aziende in palio - più l’offerta è varia e più c’è agio - e si sceglie rispetto alla consistenza parlamentare: si parte con i 5S, si continua col Pd, si ritorna ai 5S di diversa corrente, ancora il Pd per sedare chi protesta, poi si scende di livello per rimpinguare Italia Viva, il premier Conte, i tecnici del ministero del Tesoro, il composito lascito di Leu, persino i singoli ministri e i sostenitori esterni come Gianni Letta e Massimo D’Alema. Se la teoria è cacofonica, la pratica è una sinfonia: i Cinque Stelle hanno indicato l’amministratore delegato di Trenitalia con Luigi Corradi e il presidente di Rfi con Anna Masutti, al contrario il Partito democratico si è concentrato sull’amministratore delegato di Rfi con Vera Fiorani e sul presidente di Trenitalia con l’ex deputato Michele Meta. Per il quarto mandato consecutivo, puntellato da Gianni Letta, Mauro Masi è stato confermato in Consap da presidente e però ha ceduto il comando di Amministratore delegato a Vincenzo Sanasi d’Arpe, reclutato dai Cinque Stelle tendenza Luigi Di Maio.

Busitalia è il capolavoro. L’amministratore delegato è un diritto acquisito di Italia Viva perché la società è ben radicata in Toscana, ma il primo concorrente - l’ex parlamentare Giovanni Palladino - è apparso debole. Per la presidenza si attendono le disposizioni del viceministro Castelli, che ha insistito parecchio per Gaetano Stramentinoli, ex ufficiale della Finanza, già collaboratore della medesima Castelli al Mef, di recente assunto in Ferrovie. Le due cadreghe di Busitalia sono lì, allineate e spolverate, si aspettano soltanto gli ordini di Castelli e di Renzi per procedere dopo la pausa natalizia. Un altro mese è trascorso. E che problema c’è. Chi salva una vita salva il mondo intero. Chi salva una nomina salva il governo Conte II. Che Dio benedica Busitalia.

LA CATENA DEL POTERE
Il tavolo delle nomine è assai istituzionale e meditabondo, vi si siedono attorno i membri di governo più competenti in materia, coloro che delineano ampi scenari e citano irreprensibili società di “cacciatori di teste”, come Spencer Stuart, che assistono il Tesoro nella selezione dei vertici aziendali: Roberto Gualtieri per l’Economia, Stefano Patuanelli per lo Sviluppo, il sottosegretario Riccardo Fraccaro. Quando il tavolo è allargato ai referenti politici si aggiungono Vito Crimi per i 5S, che ci ha preso gusto a esercitare la sua funzione; Ettore Rosato per Iv, che deve consultare spesso Maria Elena Boschi; il viceministro Antonio Misiani, che rappresenta il Pd di antico rito Ds. Nei 5S è sempre influente la parola del viceministro Stefano Buffagni. E nel Pd è un obbligo ascoltare il parere del ministro Dario Franceschini con la sua voce o per il tramite del deputato Alberto Losacco o Claudio Mancini per la sezione romana e lo stesso Gualtieri. In retrovia si agita Nicola Zingaretti, il segretario dem. Alessandro Goracci, il capo di gabinetto del premier, a volte si accomoda al tavolo, altre riferisce l’ambasciata di Conte. Non ha titolo per partecipare a tali consessi, ma non viene respinto perché Conte non ha un partito. E se un suo partito ci fosse, Goracci ne sarebbe il tesoriere. Lontano dal tavolo, dalla vista e pure dal pudore, si affanna la coppia pugliese che apparecchia la mensa: il barese di origini Ignazio Vacca, ex funzionario Ds, capo della segreteria politica del ministro Gualtieri; il leccese Antonio Rizzo, ex militante socialista, un passato di denunciante in banca Mps, consigliere di Fraccaro. Inviso a Buffagni e Di Maio perché ritenuto non compatibile col Movimento, anche nei giorni di festa, in collegamento dal Brasile, Rizzo ha monitorato la distribuzione delle poltrone. Rizzo e Vacca, con qualche margine di manovra, devono accertarsi che i desideri dei ministri e dei partiti siano esauditi. Per esempio, il ministro Roberto Speranza ha chiesto un’adeguata sistemazione per Filippo Bubbico, già viceministro all’Interno e governatore della Basilicata. Dopo una lunga riflessione e il solito animato dibattito, si rinfocola la suggestione di collocare Bubbico alla presidenza di Acquirente unico.

I “cacciatori di teste” non scovano e propongono i migliori amministratori o presidenti, sono soltanto un paravento della meritocrazia: esaminano le carriere dei candidati, ripetutamente segnalati dalla politica, per stabilire se sono idonei agli incarichi pubblici. Poiché la mensa giallorossa ha accolto e accoglie soprattutto i bisognosi, non di rado i candidati sono bocciati, ma non per questo motivo vengono esclusi. L’appetito è ingestibile. Ancora non esiste la società statale di Autostrade per l’Italia e c’è ancora la trattativa con Atlantia della famiglia Benetton, ma al ministero del Tesoro hanno già individuato il futuro amministratore delegato: è Luigi Ferraris, che fu cacciato da Terna per ragioni politiche. Il governo doveva accontentare i 5S con la promozione di Stefano Donnarumma, dunque presto Ferraris verrà risarcito per il disturbo.

VIALI DEL TRAMONTO
Ogni giorno Fabrizio Salini si sveglia da amministratore delegato della Rai, va in ufficio a Viale Mazzini, dove c’è sempre meno folla che lo assale all’iconico ascensore che porta al settimo piano, certo qualcuno lo saluta con la mano, e rientra a casa nel tardo pomeriggio senza sapere se l’indomani sarà ancora amministratore delegato della Rai. Il triennio di Salini scadrà in estate, sarà molto complicato arrivarci. Al ministero della Cultura di Dario Franceschini ne pronosticano l’uscita quest’inverno. Si cerca la figura del traghettatore, cioè di un ad interno con poche pretese che si possa giocare in un semestre la piena investitura col nuovo Cda.

A bordo campo si scaldano Paolo Del Brocco di Rai Cinema, Roberto Sergio di Radio Rai e l’attuale direttore generale Alberto Matassino. Quest’ultimo ha il supporto di Franceschini. Per sancire la placida concordia fra i dem, il segretario Nicola Zingaretti, ispirato dal giovane romano Valerio Carocci del Cinema America, ha evocato un amministratore delegato esterno, soprattutto per stanare la volata di Del Brocco. I Cinque Stelle non hanno fretta, preferiscono discutere di Rai - che significa discutere di assetto mediatico per le prossime elezioni - assieme a Cdp e alle altre e vaticinano quello che potrà succedere a Claudio Descalzi (Eni) e Alessandro Profumo (Leonardo). Nel processo per le tangenti in Nigeria e per il reato di corruzione, la procura di Milano ha chiesto otto anni per Descalzi: la sentenza è fissata per marzo. Se gli va male, se ne va. Se gli va bene, rimane l’inchiesta sugli affari della moglie con Eni. Marco Alverà di Snam, svezzato nella multinazionale del petrolio all’epoca di Paolo Scaroni, si allena con foga per subentrare a Descalzi. Snam ha i tubi del gas, ma si cimenta nell’idrogeno per la “transizione energetica”, una politica industriale di moda che ha spinto Alverà alla ribalta e l’ha avvicinato al premier Conte. Invece Profumo è stato condannato in primo grado a sei anni per aggiotaggio e false comunicazioni sociali relative anche alla semestrale del bilancio 2015 di Monte dei Paschi di Siena, di cui era presidente, pur avendo applicato le prescrizioni di Bankitalia e Consob sui derivati Santorini e Alexandria sottoscritti da chi l’ha preceduto e nonostante i magistrati si fossero già pronunciati per l’archiviazione, il proscioglimento e poi per l’assoluzione. La vicenda di banca Mps non c’entra con la gestione in Leonardo di Profumo, giunta al quarto anno, ma la politica già assapora lo sblocco di una poltrona non prevista. Però Profumo non gli semplifica il lavoro: considera le dimissioni un danno per Leonardo. I papabili successori sono Lorenzo Mariani, dislocato a Mbda, il consorzio europeo delle armi e Giuseppe Giordo, responsabile della divisione navi militari di Fincantieri.

Il destino di Domenico detto Mimmo Arcuri, il commissario straordinario alla pandemia, è avviluppato a quello di Conte. Il premier gli ha promesso la Cassa di Palermo o la Leonardo di Profumo. Scortato dai Cinque Stelle e in cerca di un appiglio nel Pd, Palermo ha mobilitato tutte le sue più recondite risorse pur di non abbandonare Cdp: è ormai da più di un anno che celebra con eventi, pubblicità e filmati i 170 anni dalla fondazione di Cassa depositi e prestiti e lo sforzo maggiore sarà visibile in primavera puntuale per le 171 candeline. Cdp è la preda più ambita: detiene le partecipazioni di Eni, Snam, Italgas, Terna, Poste e di altre decine di società, è centrale nelle politiche economiche dello Stato come dimostrano Autostrade e Rete unica telefonica e ha in dote 271 miliardi di euro di risparmio postale degli italiani.

Anche Gianfranco Battisti, che fu nominato in Ferrovie dall’ex ministro Danilo Toninelli e ha una vecchia amicizia col forzista Antonio Tajani, ha riposto le poche speranze di bis in Conte. Quelle che ha smarrito, suo malgrado, Stefano Cao di Saipem che lascerà l’azienda dopo l’approvazione del bilancio. Alla mensa giallorossa, però, può accadere qualsiasi cosa. Non si digiuna mai.