Il premier promette di tutto a tutti, ma non supera la soglia dei 156 sì al Senato. Renzi resta isolato. La crisi cominciata come «incomprensibile» si svela modesta. Colpi d'ala, zero. Rinforzi potrebbero arrivare da Forza Italia

Il momento di massimo pathos al Senato è arrivato quando a metà pomeriggio i sanificatori, gli addetti all'igienizzazione anti-covid, si sono messi a spruzzare disinfettante su oggetti e poltrone in pelle della Sala Garibaldi facendo lo slalom tra giornalisti, collaboratori e personale vario radunati ad ascoltare il dibattito, proprio mentre sui mega schermi andava in onda l'intervento più atteso della giornata, quello di Matteo Renzi. Cosicché nelle gravi pause teatrali del leader di Iv si poteva udire il «fffhh-ffhh» dei salvifici spruzzi, con relativo effetto comico e sghignazzi soffocati dalle mascherine. «Abbiamo un record al mondo, siamo i peggiori sull'economia», diceva Renzi. «Ffhh-fffhh», rispondevano i sanificatori. «Lei ha avuto paura di salire al Quirinale», diceva Renzi. «Fffhh-fffhh», rispondevano i sanificatori. «È il kairos, il momento opportuno: ora o mai più», diceva Renzi. «Ffhh-fffhh- fffhhh», rispondevano i sanificatori.

Crisi
La caccia di Conte nella giungla del Senato: dal nuovo umanesimo alla guerriglia 
18/1/2021
Un momento speciale, isolato. Per il resto, una crisi di governo così anaffettiva non s'era vista mai, neanche nei momenti più grigi del governo Monti. Se era cominciata «incomprensibile», questa partita, è finita trista. Un dibattito più volte definito «surreale», ancora più spesso in realtà decisamente modesto, approssimativo, tra sfoggio di greco antico, evocazioni africane, citazioni di Borsellino, Fanfani, Andreotti, persino di Zio Crocifisso dei Malavoglia. Colpi d'ala zero: nessun vento politico, né lessicale, né tattico-strategico, ha sollevato il vortice della crisi oltre il livello da portineria al quale era cominciata. Nulla è decollato. Solo un incessante via vai di facce di cera, dal capodelegazione Pd Dario Franceschini al reggente M5S Vito Crimi, mentre il ministro grillino Federico D'Incà, in un angolo appartato, riceveva e tentava di convincere gli incerti porgendo le soluzioni più varie. Alla fine, Matteo Renzi è rimasto inchiodato alle accuse che ha rivolto al premier da oltre una settimana, senza risparmio, su tutte le piattaforme disponibili.

Giuseppe Conte ha fornito illustrazioni sempre più balbettanti del proprio operato, promettendo di tutto con sempre maggior vaghezza, e dicendo solo all'ultima replica che senza i numeri sarebbe stato pronto ad “andare a casa”. Pura contrapposizione: nessuna manovra terzista o trasversale o diversiva, nessun lievito politico a costruire manovre, a immaginare un primo tempo, un terzo tempo, un dodicesimo round. Le accortezze lessicali, roba d'altri tempi: nel confronto, uno come Pier Ferdinando Casini è parso un gigante.

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Quanto ai numeri, attesissima misura di tutte le cose in mancanza di meglio, è finita 156 a 140 dopo che alla Camera s'era registrato lunedì sera il brivido di un 321 sì, cinque in più rispetto alla maggioranza assoluta di 316, grazie a 4 voti di ex M5S e uno della Fi Renata Polverini, prima di una serie di sostenitori azzurri, secondo la prevalente spiegazione circa la futura maggioranza del governo Conte. Stavolta al Senato la sorpresa l'hanno fatta Riccardo Nencini del Nuovo Psi-Italia viva e l'ex M5S Lillo Ciampolillo, entrati coi loro sì praticamente a urne chiuse, e altri due azzurri: Maria Rosaria Rossi, un tempo detta “badante” di Silvio Berlusconi, e il veneto Andrea Causin. Entrambi hanno votato sì al governo e sono stati prontamente proclamati «fuori dal partito» da Antonio Tajani, numero due di Fi, che ha pure precisato come, in questo modo, Conte non possa governare soprattutto nelle commissioni dove, coi numeri ridotti in scala,una differenza così piccola tra maggioranza e opposizione porta allo stallo.

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Colpi di scena, nessuno. Dopo aver meditato fino all'ultima chiama il voto contrario, che però gli avrebbe spaccato il partito, Renzi ha confermato l'astensione del gruppo di Italia viva. Tre senatori ex M5S hanno votato a sorpresa “no”, a significare smottamenti inaspettati anche in quel partito. Conte è restato così appena appena sopra la linea della sopravvivenza, con una maggioranza raccogliticcia da incubo. L'operazione responsabili, costruttori, volenterosi, non è finora decollata, e questo nonostante il premier in aula abbia rivolto appello a tutti (liberali, popolari, socialisti), citato per la prima volta nella storia il «sindacato italiano» e promesso di tutto: la legge proporzionale, la tutela delle autonomie, la poltrona del ministro dell'Agricoltura per chi la vuole, un nuovo patto di maggioranza, l'assegno unico per i nuovi nati.

Sopravvive, dunque, Conte, ma non potranno essere queste le condizioni per una lunga vita: gli manca una maggioranza parlamentare basata su un chiaro accordo politico, quella che gli aveva chiesto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, una settimana fa. E, con uno scarto così risicato al Senato, rischiano di mancargli anche i numeri. Ma i rinforzi potrebbero arrivare, nel complicato incastro tra le poltrone e le promesse, tra un rimpastino e quella legge proporzionale che un pezzo di centrodestra (non salviniano) vede come luce in fondo al tunnel.