Politica
dicembre, 2021

Lobby, russi e soldi bruciati: l’Europa ha paura del suo sistema dei partiti

Il Parlamento e la Commissione spingono per una severa riforma del meccanismo dei finanziamenti pubblici e privati. Ecco le loro proposte e tutti i soldi europei e delle multinazionali ai gruppi di cui fanno parte Meloni, Salvini, Berlusconi e gli altri leader italiani

Per una volta l’Europa ha paura di sé stessa. Ne è consapevole. Lo ammette. Scrive e dice che la gestione economica dei partiti politici e delle fondazioni europee è assai difettosa: «Si rischiano sprechi di denaro pubblico, interferenze straniere durante le campagne elettorali, tentativi di corruzione di aziende interessate, gravissime manipolazioni sui social». (Niente di inedito per le abitudini italiane).

 

Con la solita farraginosa reattività delle istituzioni dell’Unione europea, allora, ci si interroga su come operare per evitare le truffe e cose peggiori delle truffe e soprattutto su come garantire una votazione corretta e trasparente per il Parlamento che sarà rinnovato nel 2024. «Troppi politici europei cercano di avere denaro dai russi», è la meditata accusa consegnata all’Espresso da Vera Jourová, vice della presidente Ursula von der Leyen e commissaria europea ai Valori e alla Trasparenza.

 

I 446 milioni di cittadini residenti nel territorio comunitario ignorano che il sistema dei partiti politici e delle fondazioni europee, di cui già a fatica si percepisce l’esistenza, stia per saltare, se non è saltato, o comunque stia per essere messo sotto tutela. Il Parlamento e la Commissione hanno formulato a novembre le proposte al Consiglio per migliorare le regole e le richiedono pure con una certa urgenza.

 

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Qui conviene cominciare dai fondamentali, come si divertiva a fare lo scriba Gianni Clerici nelle sue telecronache tennistiche e antologiche di Wimbledon.

Al momento l’Unione riconosce dieci partiti politici e le rispettive dieci fondazioni, come si legge nel registro dell’Autorità europea che li controlla. Il presidente dei Conservatori e i riformisti europei, ultimo acronimo Ecr, è Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia. Ecr è un agglomerato di estrema destra che accoglie i nostalgici franchisti di Vox e sta per accogliere il Fidesz dell’ungherese Viktor Orbán.

Identità e democrazia, invece, è il frutto del patto fra l’italiana Lega di Matteo Salvini e il francese Rassemblement National di Marine Le Pen e altri sovranisti di più modesta dimensione. Poi ci sono verdi, sinistra, liberali, socialisti, popolari. Per il prossimo anno l’Unione ha confermato uno stanziamento complessivo di 69 milioni di euro: 46 per i partiti e 23 per le fondazioni. Non sono finanziamenti diretti, ma rimborsi per costi e spese in bilancio.

 

I cosiddetti euroscettici non disdegnano mica il denaro della tecnocrazia di Bruxelles: al gruppo di Meloni, fra partito Ecr e fondazione New Direction, risultano assegnati 5,9 milioni nel 2020, mezzo milione in più di Salvini e Le Pen. Questi fondi a Vox, Fdi e colleghi dovrebbero servire a promuovere la politica e la cultura europea: bizzarro.

Gli altri introiti provengono dai contributi privati per cifre che si aggirano dai 100 ai 200.000 euro e aumentano alla vigilia delle urne. Il limite per il singolo donatore è di 18.000 euro annui per il partito e la fondazione, dunque 36.000 in totale. Fino a 1.500 euro i privati sono schermati dalla privacy e fino a 3.000 c’è bisogno del loro consenso per rivelarne il nominativo, soltanto sopra i 12.000 il dato viene divulgato in maniera immediata dall’Autorità europea di controllo. Questo ginepraio di norme non aiuta la trasparenza. Anzi. Se il corruttore intende passare inosservato può versare 2.999 euro al mese.

 

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Altra inquietante «lacuna», termine caro a chi prima sbaglia e poi si sorprende, è il denaro che arriva dai paesi fuori dall’Ue: è vero c’è il divieto, ma c’è anche un buco nel divieto. I partiti non possono accettare denaro da donatori non comunitari, però nessun vincolo se deriva da un partito di ispirazione europea che appartiene ai 47 membri del Consiglio d’Europa, un organismo internazionale che si estende sino all’ex zone sovietiche e che comprende 20 paesi non comunitari.

C’è un altro divieto molto friabile: i partiti europei non possono accettare denaro elargito da aziende non comunitarie tranne che le aziende abbiano una sede nell’Ue. Le più grosse, ovvio, non mancano. E difatti le multinazionali, che lavorano per affari e spesso per comodità fiscali anche nell’Unione, sono sempre attente e generose con i partiti europei.

I liberali di Alde, in questa legislatura, hanno beneficiato del supporto (dai 12 ai 18.000 euro) di Uber, Sky Uk, Google, Bayer, Deloitte, Microsoft Global Finance, The Walt Disney company, Syngenta (agroalimentare). E i socialisti del Pse (in cui c’è il Pd) hanno ricevuto le attenzioni di Coca Cola, Microsoft, AT&T Global Network, Burson Marsteller (pubbliche relazioni).

Gli americani di AT&T con equità hanno sostenuto anche la fondazione dei Popolari (in cui c’è Forza Italia) e il partito dei Conservatori del presidente Meloni. L’estrema destra di Ecr e New Direction, in controtendenza, ha cominciato a incassare dal 2019 e non si è ancora fermata: diversi bonifici dalla Repubblica Ceca del Partito civico democratico che fu dell’ex premier Mirek Topolànek (quello delle feste a villa Certosa da Silvio Berlusconi) e adesso dell’attuale premier Petr Fiala, dalla Spagna dei già citati di Vox, ma anche da British american tobacco, Voter Consultancy (impegnata per la Brexit), l’Associazione internazionale del petrolio, Aquind Limited dell’oligarca russo Alexander Temerko.

 

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Il mese scorso il Parlamento europeo ha approvato con 428 sì, 92 no e 49 astenuti una risoluzione, firmata dal tedesco Rainer Wieland (Popolari) e dal lussemburghese Charles Goerens (Centro), per sollecitare la Commissione a muoversi sui partiti e su una precisa questione: maggiori verifiche sulle donazioni minori, quelle attorno ai 3.000 euro, dove si possono rintanare i mestatori. E il governo dell’Unione si è mosso con la vicepresidente e commissaria Vera Jourová, già ministro allo sviluppo in Repubblica Ceca e commissaria europea alla Giustizia, che ha la delega alla Trasparenza nella stagione di Von der Leyen: «Nella nuova legge ci sono alcuni miglioramenti che - spiega all’Espresso - mirano a rafforzare i requisiti di trasparenza dei finanziamenti. Per esempio, l’obbligo di “conoscere il proprio donatore” imporrà ai partiti politici europei e alle fondazioni di raccogliere informazioni aggiuntive per l'identificazione dei loro donatori in modo da sapere da dove provengono i finanziamenti prima di accettarli. L’Autorità avrà il potere di richiedere tali informazioni direttamente ai donatori nel caso in cui abbia ulteriori sospetti».

 

Questo era anche l’auspicio dell’Autorità europea di controllo sui partiti che da settembre è diretta dal francese Pascal Schonard, avvocato e giurista che si è formato alla scuola nazionale dell’amministrazione (Ena). Nella relazione dell’Autorità di Schonard un intero articolo è dedicato alla «minaccia di interferenze straniere nella sfera politica europea e in particolare nelle elezioni europee».

 

La commissaria Jourová è convinta che sui social vadano stanate le offensive contro l’Ue: «Abbiamo elaborato una legge sugli annunci politici. Una volta che questa legge sarà adottata, ogni annuncio politico dovrà essere chiaramente etichettato. Noi, gli elettori, saremo in grado di sapere chiaramente che stiamo vedendo un contenuto che qualcuno ha pagato per farci vedere, sapremo quanto ha pagato e perché stiamo vedendo questo annuncio. Facebook e gli altri dovranno mostrare quali criteri hanno usato per indirizzarci. Se non saranno in grado di farlo, non potranno pubblicare un annuncio. Spero che presto avremo tutti una migliore comprensione di ciò che accade su internet durante le campagne politiche».

 

L’Europa è spaventata dai social e da un aspetto rilevante: con pochi soldi e senza lasciare tracce, come ormai è chiaro, si può condizionare il voto di milioni di cittadini: «Quello che trovo più allarmante è che le elezioni siano diventate una competizione con metodi sporchi. Le nuove tecnologie dovrebbero essere strumenti di emancipazione, non di manipolazione. Vediamo che queste tecniche manipolative sono utilizzate nelle campagne di disinformazione, sia da fonti pro-Russia che da altre. La pandemia ne è solo l’ultimo esempio».

 

Va rintracciato il pericolo: sta per palesarsi o si trova già qui? E dunque: siete a conoscenza di donazioni private anomale ai partiti e alle fondazioni europee da paesi extracomunitari? «Certo, ne siamo a conoscenza. Non è un segreto che il denaro russo giochi un ruolo nella politica europea. Non è un segreto - aggiunge la commissaria Jourová - che alcuni politici europei, soprattutto di gruppi estremisti, non si tirino indietro nel cercare denaro russo. Quello che stiamo tentando di fare è limitare questa influenza e assicurarci che tutti sappiano chi riceve denaro da dove. Per fortuna, la Commissione non è sola. L'Autorità e il Parlamento sono al nostro fianco». Ci si domanda se basterà. Se non sia troppo tardi. 

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