L’intervento

Perché nessuno vuole più fare il sindaco di una grande città

di Ignazio Marino   26 maggio 2021

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Aumentano le inchieste giudiziarie che coinvolgono i primi cittadini, distruggono reputazioni e li costringono a difendersi per anni. Sono uno degli elementi che tengono lontani gli idealisti dall’impegno politico

La recente condanna a un anno e sei mesi di prigione della sindaca Appendino ci deve fare riflettere su diversi temi. Il primo è la responsabilità delle Procure e dei media nel creare nell’immaginario collettivo l’idea che una persona sia colpevole di un reato già nel momento in cui riceve l’avviso di garanzia, un atto che per legge è disposto dal Pubblico Ministero e notificato all’indagato per invitarlo a nominare un difensore. Essere indagati non significa essere colpevoli ma indica soltanto un coinvolgimento nell’indagine. Peraltro, l’avvio dell’indagine prevede per legge l’onere in capo al Procuratore di raccogliere anche elementi a favore dell’indagato. Vale la pena ricordare che per la Costituzione Italiana l’imputato è innocente sino alla fine dei tre gradi di giudizio previsti dal nostro ordinamento.

 

Invece, basta una banale ricerca su internet per trovare pagine e pagine con i nomi di persone la cui reputazione è stata mediaticamente infangata nel momento dell’apertura di una indagine della magistratura. Un giorno, in Sicilia, ascoltai un commento in cui qualcuno parlando della mafia spiegava che se ti schizzano addosso del fango su un vestito bianco lo potrai anche portare in tintoria, ma qualcuno comunque si ricorderà che quel giorno indossavi un vestito macchiato. Una frase semplice che chiarisce perfettamente il concetto.


Il secondo tema è sul ruolo e la responsabilità dei sindaci. Il sindaco di una città metropolitana ha responsabilità enormi, compreso un bilancio annuale in alcuni casi superiore a quello di una grande azienda. Il Sindaco di Roma è responsabile di un bilancio cittadino superiore ai 5 miliardi di euro e, come maggiore azionista, di un fatturato di altri 3,2 miliardi di euro per Acea, la multiutility che distribuisce acqua ed elettricità. Quale amministratore delegato accetterebbe la responsabilità di gestire un’azienda con un bilancio annuo di quasi 10 miliardi, oltre sessantamila dipendenti, diversificata in aree strategiche che vanno dai trasporti sino ai rifiuti tossici di un ospedale, per un salario di 4.500 euro al mese e senza la possibilità di scegliersi una squadra di professionisti che possano assumersi le necessarie responsabilità in ciascuna delle aree di attività dell’azienda? E con il rischio di essere denunciato ogni giorno mentre svolge il proprio lavoro?

 

Chiara Appendino è stata condannata per responsabilità legate alla morte e alle lesioni gravissime di alcune persone in una piazza in cui si scatenò il terrore perché una banda di ladri armati di spray al peperoncino generarono il panico per rubare. Furono individuati e condannati.


Marta Vincenzi, già Sindaca di Genova, venne inizialmente condannata a cinque anni di prigione per i drammatici eventi alluvionali del 2011 che portarono alla morte di sei donne, tra cui due bambine. Senza tenere in debito conto che in Italia vi sono 12mila chilometri di fiumi tombati e che a Genova nel secolo scorso è stato tombato il torrente Fereggiano, si è costruito in zone dove non si sarebbe dovuto, si è condonato e così il cemento illecito è divenuto lecito per legge. Come se la legge dell’uomo potesse essere applicata alla natura.

 

La magistratura ha il compito di applicare le leggi, ma se si vuole compiere una riflessione al di là di quella possibile in un tribunale è necessario ammettere gli errori commessi in precedenza e non solo cercare un colpevole nel momento del disastro. Quali possibilità reali ha un sindaco di prevedere o prevenire eventi come quelli di Genova e Torino? Ricordo che dopo aver pedonalizzato via dei Fori Imperiali a Roma nell’autunno del 2014 all’una del mattino un gigantesco pino crollò sulla strada deserta senza causare alcun danno. Alto ventidue metri, con un diametro di oltre un metro e un peso di circa due tonnellate, se fosse caduto una domenica di sole alle undici di mattina avrebbe potuto uccidere diverse persone. Una strage. Fui terrorizzato da questo pensiero: convocai i migliori botanici e decisi di abbattere altri sei pini a rischio su via dei Fori Imperiali. Venni criticato duramente da alcuni gruppi ambientalisti ma avviai lo stesso un lavoro di indagine sistematica per studiare la stabilità delle alberature di Roma e procedere ai necessari abbattimenti. Un lavoro che richiede l’utilizzo di mezzi tecnologici come il resistografo e il tomografo (una sorta di Tac del tronco). Temo che quel lavoro sistematico dopo il 2015 si sia fermato, forse perché costoso o forse perché impopolare. Resta il fatto che migliaia di alberi a Roma sono giunti alla fine del loro ciclo vitale, andrebbero tutti abbattuti e sostituiti invece di sperare che non cadano e di cercare il colpevole quando ciò purtroppo accade.


Per circa trent’anni ho eseguito trapianti di fegato. Un intervento oggi assai sicuro ma che nel passato aveva una mortalità elevata e durante il quale il paziente, al tavolo operatorio, poteva perdere letteralmente litri di sangue. Ho sempre fatto il mio mestiere con diligenza e tutto il sapere di cui disponevo e non sono mai dovuto entrare in un tribunale per una denuncia. Per ventotto mesi ho fatto il sindaco e, in relazione a questa carica, sono dovuto entrare nei palazzi della Giustizia come imputato decine di volte. Certo, sono stato sempre assolto con formula piena ma ne ho dovuto sostenere il costo morale e materiale. Addirittura, perché decisi di allontanare le bancarelle degli ambulanti dinanzi al Colosseo, al tempio di Nerva o in piazza di Spagna è stato necessario difendermi sino in Cassazione come semplice cittadino. Solo per quell’azione ricevetti oltre venti denunce che confluirono in un processo penale durato quattro anni e conclusosi in Cassazione con una sanzione monetaria nei confronti di chi mi aveva denunciato. Ma in quelle udienze in tribunale io non ero imputato come Sindaco che aveva preso una decisione per l’interesse della città, bensì come singolo individuo. Rimango orgoglioso di quelle decisioni ma non condivido l’idea che possano essere considerate dalla legge come le azioni di un privato cittadino.

 

Ora che si avvicinano le elezioni dei sindaci nelle principali città metropolitane italiane, mi chiedo quale debba essere il profilo dei candidati. Oltre a competenza e integrità sarà necessario anche sentirsi immuni dal dolore che l’ingresso da imputato in un tribunale provoca a chi non lo ha messo in conto. Servirà anche la disponibilità economica, per farsi carico di una difesa adeguata alle denunce che potrebbe ricevere. Sarà sempre più difficile individuare persone competenti a queste condizioni. Sarà forse più facile trovare idealisti animati da una costruttiva follia reclutati dalla società civile o politici di professione, scaltri e senza scrupoli.