Politica

Matteo Salvini vuole lanciare “Prima l’Italia”, il grande partito moderato

di Antonio Fraschilla   20 agosto 2021

  • linkedintwitterfacebook

È il nome della lista che ha in mente per le elezioni Politiche, sulle ceneri del partito di Bossi. Prove generali in Campania e Sicilia, guardando alla federazione con centristi e Forza Italia. Ma nella Lega crescono i malumori

In casa Lega dicono che ormai Matteo Salvini abbia una sola ossessione: aprire al centro e dimostrare affidabilità ai poteri d’Europa e ai leader del Partito popolare a Bruxelles, per ambire a diventare lui presidente del Consiglio o comunque un vero regista del futuro governo del Paese. Per far questo, dopo aver iniziato colloqui intensi a maggio con i centristi d’Italia, da Lorenzo Cesa a Pier Ferdinando Casini, grazie alla regia del suocero Denis Verdini, e dopo aver siglato un accordo con Silvio Berlusconi per fare una federazione con Forza Italia (sempre su buon consiglio del suocero), ha aperto nelle ultime settimane all’ingresso diretto nel partito di grandi calamite del voto moderato ex democristiano e centrista: vedasi l’arrivo dei siciliani Luca Sammartino e Valeria Sudano (insieme una coppia che sposta quasi 50 mila voti nell’Isola) o la consegna del partito in Campania a Giampiero Zinzi, figlio di Domenico ex deputato Udc con sangue democristiano nelle vene fin dalla nascita. Salvini guarda ormai a un partito che possa sostituire la fu Forza Italia e mettere all’angolo Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni.

Un indizio di questo suo progetto arriva dai simboli appena presentati dalla Lega per le amministrative a Napoli e Caserta: un tricolore con accanto la scritta «Prima Napoli» e «Prima Caserta». Prove generali, dicono alcuni leghisti ben informati, di un simbolo come «Prima l’Italia», già apparso nei manifesti della Lega alle Europee, che potrebbe prendere il posto del fortunato Forza Italia. La mutazione genetica del salvinismo è ormai in stato avanzato.


Ma questa mutazione della Lega sovranista, quella che doveva mettere nel cassetto la Lega lumbard delle origini, inizia a spaccare il partito. Un ampio gruppo di salvinisti della prima ora, che hanno cavalcato negli ultimi anni i temi cari a Matteo, dall’euro all’Europa, dai migranti fino alle iniziali titubanze sui vaccini, oggi si trova disorientato, spiazzato, silenziato e con la base che sui social inizia a rivoltarglisi contro. Il governo Draghi, con il sostegno di Salvini perfino al Green pass vaccinale, e le continue aperture al centro fanno male a un pezzo della Lega. Un pezzo del partito che adesso non solo si sta organizzando, provando a fare squadra per cercare di avere più voce. Ma sta punzecchiando il leader nelle chat, nelle riunioni interne e anche pubblicamente: da Claudio Borghi che sul Corriere ha criticato apertamente il Green pass, all’eurodeputata Francesca Donato, che sui social continua la sua linea scettica sull’obbligo dei vaccini e chiede di «riflettere sulla permanenza della Lega nel governo Draghi perché non siamo stati votati per fare queste cose». Perfino Antonio Maria Rinaldi ha presentato una interrogazione all’Europarlamento contro il Green pass fatto dal governo Draghi, esecutivo nel quale siede comodamente la Lega.

Paolo Romani, Donato Bruno e Denis Verdini

LA RETE
Premesso che se c’è una cosa in casa Lega rimasta identica da Bossi a Salvini è proprio la fedeltà al capo e alla linea, pur di salvare il posto in Parlamento, a Roma come a Bruxelles, nelle ultime settimane sono costanti i contatti tra i fedeli alla linea sovranista e libertaria: Claudio Borghi, Alberto Bagnai, Francesca Donato, Marco Zanni, Antonio Maria Rinaldi e Susanna Ceccardi stanno cercando in qualche modo di fare squadra per provare ad avere un maggiore peso dentro al partito e convincere Salvini a non seguire troppo i suggerimenti verdiniani. «Probabilmente ci vedremo presto per capire cosa fare e come poter contrastare una linea troppo moderata e schiacciata su Draghi, che piacerà magari ai poteri forti ma non certo al nostro elettorato», dice un protagonista di questo raggruppamento, che aggiunge: «Siamo teste pensanti e contro ogni autoritarismo, figuriamoci se lo accettiamo supinamente dentro il partito. Le posizioni sul Green pass di Salvini non le comprendiamo, e nemmeno questo continuo ingresso di democristiani e centristi: per noi è un danno d’immagine e la fine di quel progetto di rinnovamento della classe dirigente che la Lega iniziale di Salvini voleva portare avanti».


Nelle riunioni interne i sovranisti si fanno sentire, con Salvini che evita sempre lo scontro e in alcuni casi non replica nemmeno. Ma questo atteggiamento di Matteo, che sembra non voler più ascoltare quelli che fino a ieri erano i principali diffusori del verbo salviniano-sovranista, inizia a non essere più sopportato. E chi ha meno da perdere, magari perché si porrà il problema della sua ricandidatura nel 2024 e non prima, inizia a lanciare stoccate non solo contro Salvini, ma anche contro i governatori della Lega considerati dei democristiani che indossano camicie verdi. Luca Zaia ha così subìto le critiche pubbliche di Donato dopo aver deciso di far pagare i tamponi per spingere le persone a vaccinarsi: «No, presidente Zaia, i tamponi sono oggi l’unico strumento per sapere se si è contagiati», ha detto l’eurodeputata. Zaia non ha replicato ma ha mandato avanti il consigliere regionale Luciano Sandonà: «Da alcuni rappresentanti istituzionali della Lega mi sarei aspettato un appello alla responsabilità».
Scontri interni impensabili fino a pochi mesi fa. E su questi scontri si sta fiondando Fratelli d’Italia, che prova a corteggiare i leghisti delusi e a fare altri acquisti dopo quello dell’eurodeputato Vincenzo Soffo. Il capogruppo del partito della Meloni a Bruxelles Carlo Fidanza è molto attivo in queste ore e chiama spesso i leghisti sovranisti.

Borghi, Salvini e Bagnai

ACQUISTI DEMOCRISTIANI
Tutti questi malumori non fanno al momento cambiare di un centimetro il percorso moderato e centrista che ha in mente Salvini. Lo dimostrano i recenti acquisti del partito in Sicilia: due deputati regionali, Luca Sammartino e Carmelo Pullara, e la senatrice Valeria Sudano. Provenienti da Italia Viva e dall’Mpa di Raffaele Lombardo. Tutti eredi di dinastie politiche democristianissime: Valeria, a esempio, è nipote dell’ex senatore Domenico Sudano, calamita del voto democristiano. I tre sono gran portatori di consensi, basti pesare che Sammartino nel 2017 è stato il più votato nella storia dell’Assemblea regionale siciliana con oltre 30 mila preferenze. Certo, è rinviato a giudizio a Catania in due procedimenti per corruzione elettorale, mentre il nome di Pullara è comparso in una indagine della Direzione distrettuale antimafia di Palermo nella quale si fa riferimento anche ai suoi presunti rapporti con la massoneria più segreta. Ma a Salvini queste quisquilie non importano, contano i voti e la convinzione che questi acquisti, ai quali ne seguiranno almeno «altri tre all’Assemblea regionale da qui a poco», come assicurano dal partito, lanceranno la Lega al Sud e quindi a livello nazionale, scavalcando la Meloni che è in testa nei sondaggi.


Di certo questi acquisti siciliani serviranno intanto a Salvini per rivendicare la scelta del prossimo candidato governatore nell’Isola: in Sicilia si vota alla fine del prossimo anno, un test perfetto prima delle Politiche del 2023. Per questo Salvini, pur di allargare il consenso della Lega, non ha ascoltato nessuno dei dirigenti locali del partito, come il segretario Nino Minardo (ex Forza Italia), che invocavano prudenza prima di accogliere nomi di peso come Sammartino, Sudano e Pullara: «Penso che la Lega sarà una forza trainante in Sicilia non solo perché ormai in Assemblea regionale con l’ingresso di nuovi deputati siamo determinanti, ma anche perché penso che quello che abbiamo fatto per la Sicilia avrà un effetto moltiplicatore. Avere l’ambizione, non la pretesa, che sia la Lega, insieme agli alleati del centrodestra, a indicare il prossimo presidente della Regione è un obiettivo a portata di mano», ha detto Salvini in occasione della sua ultima visita nell’Isola, a Messina.


La strategia di Salvini però prevede altri tasselli centristi non solo in Sicilia, ma anche in Calabria, Puglia, Lazio e Campania. Proprio in quest’ultima regione il leader della Lega non solo ha affidato il partito a Zinzi, rampollo di una dinastia democristiana e candidato a sindaco di Caserta, ma farà le prove generali anche di un simbolo elettorale che potrebbe presto diventare lo slogan del partito federato con Forza Italia.


In Campania, nei due principali Comuni al voto, la Lega non avrà il suo simbolo, ma avrà un tricolore con la scritta «Prima Napoli» e «Prima Caserta».


A maggio si voterà a Palermo e anche qui la Lega presenterà un simbolo uguale a quelli campani. Prove generali, dicono i bene informati in casa leghista, per un possibile simbolo per le Politiche del 2023 con la scritta «Prima l’Italia», per sancire la definitiva mutazione della Lega nel partito nazionale moderato.


L’obiettivo di Salvini, la sua ossessione, è solo una: evitare nel 2023 quanto accaduto il 12 aprile del 2018, quando Matteo è salito al Colle con Meloni e Berlusconi sapendo bene che mai il presidente della Repubblica Sergio Mattarella avrebbe aperto a un governo guidato dal leader della Lega sovranista. «Nel 2023 Salvini vuole salire al Colle, magari trovandosi un presidente da lui eletto, per ambire a essere investito come presidente del Consiglio o comunque regista del prossimo governo», dice un suo fedelissimo. La strada è tracciata e i delusi, che cercano spazio, dovranno accodarsi. Oppure chiedere ospitalità a Fratelli d’Italia, l’unica casa rimasta per i sovranisti.