Le chiacchierate fino a tardi su quell’Europa che ci faceva indignare, il discorso al campo di concentramento di Fossoli sintesi della tua vita, l’impegno nei giovani cattolici e poi nel giornalismo e nella politica: il ricordo di un amico

Quando muore un amico si scrive tra le lacrime.

Di David Sassoli, il presidente del Parlamento europeo David Sassoli, del mio amico David conservo l'ultimo messaggio di capodanno: «ci vediamo presto». E il ricordo più dolce, all'inizio di settembre, alla festa dell'Unità di Bologna, dopo un dibattito insieme. Avevamo parlato per quasi due ore dell'Europa che amavamo, «il fremito delle cose impossibili» del manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli ottant'anni dopo, e dell'Europa che ci deludeva e che ci faceva indignare, in cui tornavano i fili spinati, le discriminazioni, gli attacchi alla stampa. Tantissima gente e molti applausi per lui. E poi la lunga cena, con la moglie Alessandra e il portavoce Roberto Cuillo, a ridere e a scherzare, a tirar via fino a tardi, nel sentiero della festa ormai deserta, l'impegno di rivederci a Bruxelles, da me mai mantenuto, il saluto nella notte.

 

Il ricordo più intenso è di qualche settimana prima, l'11 luglio, la visita nel campo di Fossoli per l'anniversario dell'eccidio nazista di 67 internati politici il 12 luglio 1944. Forse la giornata più importante dei suoi due anni e mezzo di presidenza, da lui fortemente voluta. Una stupenda domenica di sole estivo, una piccola folla con Romano Prodi e con Pierluigi Castagnetti tra le baracche da cui il 22 febbraio 1944 partì anche Primo Levi verso Auschwitz. La preghiera del vescovo e del rabbino, Sassoli emozionato accanto alla presidente della Commissione europea, la tedesca Ursula von der Leyen, che riconosce: «La Resistenza ha ridato la libertà all'Europa. La devo ai vostri genitori e ai vostri nonni».

 

David aveva messo tutto se stesso nell'intervento di quella mattina: «Mi hanno sempre colpito gli occhi delle vittime, la fissità degli occhi che guardano, ma non vedono. Sì, gli occhi dell’umanità privata di umanità. Gli occhi delle vittime sono sempre gli stessi. Sono quelli delle foto nei lager, dei condannati a morte, quelli che ritroviamo sempre, in ogni guerra, in ogni persona violentata, annientata, nelle donne umiliate, nelle colonne di famiglie che scappano, nei bambini smarriti, in coloro che annegano, che si aggrappano alla vita e la perdono dicono lo stesso anche a noi oggi».

 

E ancora: «Quando diciamo di salvare i migranti ci dicono che stiamo facendo il gioco degli scafisti, oppure che la magistratura indipendente o il giornalismo sono espressioni di disordine, oppure che è meglio non agitare il buon senso quando difendiamo la dignità di persone che vogliono amarsi, quando in Europa, a differenza della maggior parte del pianeta, hanno il diritto di farlo perché da noi i diritti delle persone e l’umanità sono la misura di tutte le cose».

 

Aveva citato l'amato Giuseppe Dossetti, «per una lucida e vigile coscienza storica», contro «le negazioni, le amnesie, i volgari opportunismi», aveva ricordato i valori europei che «mettono paura, perché le libertà consentono uguaglianza, giustizia, trasparenza, opportunità, pace. E se è possibile in Europa, è possibile ovunque». Aveva ricordato il filosofo tedesco Ernst Bloch, in dialogo con il pensatore protestante Jorgen Moltmann: «Un novum storico non è mai totalmente nuovo. Lo precede sempre un sogno o una promessa».

 

Era felice quella domenica di sole David, in quel pezzo di Italia pulita, buona, operosa, in quell'angolo di Europa. Quel pellegrinaggio doveva apparirgli come la sintesi della sua vita, di tutto quello in cui credeva.

 

Aveva mantenuto sempre il sorriso timido, gentile, riservato, anche quando ogni sera appariva nell'edizione del Tg1 delle 20 e avrebbe potuto atteggiarsi a divo. Ma era inflessibile, intransigente nelle sue convinzioni, fedele alla buona battaglia che lo motivava fin da ragazzo, tra i ragazzi della panchina, in via Monte Zebio nel quartiere Prati di Roma, il gruppo Febbraio 74 con Paolo Giuntella che sarà giornalista del Tg1 come lui, al congresso della Dc del 1976 vinto dal candidato di Aldo Moro Benigno Zaccagnini a intonare dagli spalti del Palaeur il coro “Zac-Zac vincerà”.

 

È la storia di un gruppo di giovani cattolici che si ritrova nella Lega democratica di Pietro Scoppola e poi nell'associazione Rosa Bianca, intitolata agli studenti anti-nazisti Hans e Sophie Scholl, che Sassoli ricorderà nel suo discorso di insediamento da presidente del Parlamento europeo, il 3 luglio 2019. Una generazione cresciuta tra le tragedie, il terrorismo rosso che elimina i maestri come Moro e Vittorio Bachelet e gli amici come Roberto Ruffilli, «una generazione progressivamente privata di punti di riferimento, di modelli alternativi, di memoria storica», scrive Giuntella, «una generazione impoverita dalla caduta delle agenzie educative, dalla precarizzazione progressiva, che sembra voler ricercare con più umiltà e minori clamori un nuovo protagonismo responsabile».

 

Sassoli era uno di loro, uno della famiglia dei cattolici democratici, la stessa cultura politica di Sergio Mattarella. Quella cultura che della nostra Repubblica è l'ossatura e dell'Europa l'anima, il lievito vitale. La tensione tra le istituzioni e la società, tra la politica che è la leva per il cambiamento e la vita che è al di là della politica, la cultura di governo e il sentimento popolare, il riformismo e la profezia. La terra e il cielo.

 

Era arrivato tardi alla politica, con un suo percorso originale: era arrivato tardi alla politica, dopo essere arrivato ai vertici del giornalismo televisivo in Rai, dopo un inizio nella carta stampata. Inviato di Michele Santoro, conduttore dell'edizione di punta del Tg1, vice-direttore. Si era candidato nel 2009 al Parlamento europeo nel Pd e aveva preso oltre 400mila voti di preferenza.

 

Poteva essere un leader, ne aveva tutte le qualità, ma un leader riluttante, consapevole di sé, l'opposto del delirio narcisista che è il segno dei nostri tempi. Aveva una delicatezza e una sensibilità nel riconoscere le persone. Con uno stile di pulizia che ha portato in Europa e al vertice del Parlamento, sarebbe stato anche un perfetto presidente della Repubblica. E un fondo di malinconia nei bellissimi occhi chiari che non lo abbandonava mai.

 

Tra gli amici circola una foto del giovane Sassoli che martella il muro di Berlino. E in rete c'è un video di trent'anni dopo, l'ultimo voto in cui sono presenti gli europarlamentari inglesi, con il canto intonato nell'aula, Auld Lang Syne, il valzer delle candele, tutti i deputati che si tengono per mano e il presidente Sassoli che mormora al microfono: «Commovente». Il canto dell'addio, o meglio dell'a-rivederci, dove non ci sono confini, barriere, divisioni.

sassoli damilano_db60f51e-19b8-4e04-9648-cdcc7ea5a2b2

Insieme lo avevamo detto nel salutare il nostro amico Paolo Giuntella, in una mattinata di maggio, nel 2008, di dolore e di festa per un giusto che se ne va, troppo presto. A rivederci David, nell'osteria del vecchio di Israele. Noi non ti dimenticheremo. Perché il sogno va cercato, la promessa va mantenuta, nella storia degli uomini e delle donne, imperfetta, fragile, sconosciuta, unica.