Al momento ha ragione l’ex presidente del Senato Renato Schifani: «C’è molta folla, però di federatori non ne vedo per questo grande centro». Ma il cantiere è aperto, perché il voto sul Quirinale ha scompaginato il centrodestra ma soprattutto ha certificato la fine della vera leadership in Forza Italia di Silvio Berlusconi e la poca affidabilità di Matteo Salvini, che comunque con il sì al Mattarella bis si è alla fine un po’ ripreso. Di certo c’è che l’asse Pier Ferdinando Casini-Matteo Renzi-Lorenzo Cesa-Giovanni Toti-Maurizio Lupi in queste ore è in stretto contatto perché c’è da prendersi e in fretta quel che resta di Forza Italia per provare a fare qualcosa di nuovo. È vero, non c’è al momento alcuna figura che possa fare da federatore, e che abbia anche la disponibilità economica di Berlusconi, ma il cantiere è aperto e lo ha detto ufficialmente Toti: «Con Italia Viva abbiamo ragionato a lungo, in questi mesi, sulla necessità di rafforzare un centro politico. Con Forza Italia e gli amici dei partiti centristi ci siamo visti in questi giorni per riaprire un dialogo che, credo, sia stato fondamentale per uscire dalla crisi politica in cui ci stavamo avvitando. Chi parla oggi di maggioritario e bolla tutto questo come una deriva neocentrista che vuole portare alla palude, mi deve spiegare quale sia stata la cristallina maggioranza di questa legislatura. Se qualcuno pensa che non si debba riformare tutto questo e ridare stabilità a questo sistema, penso che sbagli».
La vera impalcatura di questo cantiere è la legge elettorale. Senza un ritorno al proporzionale il mondo forzista resterà legato alla Lega o peggio a Fratelli d’Italia. Lo ha capito, o meglio gliel’hanno fatto capire i suoi capi corrente, anche il segretario del Pd Enrico Letta, che non è vero sia uscito poi così vincitore da queste elezioni per il Quirinale: anzi ha subito la forza dei deputati e dei senatori che invece, in maniera trasversale tra le correnti, hanno voluto il Mattarella bis. Non a caso Lorenzo Guerini, Dario Franceschini e Andrea Orlando hanno chiesto a Letta di riprendere e in fretta il disegno di legge “Brescellum” frutto del primo accordo con il Movimento 5 stelle per il governo Conte II: il ritorno al proporzionale. Anche in casa Lega ci sono aperture in questo senso, perché perfino i salviniani duri e puri si sono resi conto che Giorgia Meloni rischia di diventare la dominus del centrodestra; mentre nel Movimento 5 stelle oggi quasi tutti si dicono favorevoli al proporzionale.
In queste ore quindi è tornato la speranza degli ex democristiani di provare a fare qualcosa per non lasciare l’eredità di Forza Italia alla destra sovranista. I più attivi nel dialogo per costruire un fronte moderato sono non a caso i ministri nel governo Draghi, che con Renzi, Toti e compagnia si sentono ormai quotidianamente: Maria Stella Gelmini, Mara Carfagna e Renato Brunetta che ieri ha difeso perfino Luigi Di Maio dagli attacchi interni che sta subendo nel Movimento 5 stelle. Proprio perché in questi grande mondo moderato potrebbero entrarvi anche pezzi del Movimento, ma qui al momento siamo alla fantapolitica.
Se davvero si andrà verso una legge proporzionale cambierebbero subito gli scenari e il primo test sarebbero le elezioni in Sicilia: a maggio si vota per il Comune di Palermo, quinta città d’Italia, e a novembre per la Regione. In queste ore, e non è un caso, si rafforza ad esempio la candidatura a sindaco di Roberto Lagalla, centrista, ex rettore, assessore del governo Musumeci che ha mantenuto una sua autonomia di pensiero dentro la giunta. A differenza di Musumeci che si è schierato ormai al fianco della Meloni. Lagalla potrebbe essere il candidato di un fronte moderato e lanciato alla guida della città in primis da Gianfranco Miccichè. Il coordinatore degli azzurri , da sempre guida incontrastata di Forza Italia nell’Isola grazie al suo filo diretto con Berlusconi e Marcello Dell’Utri, senza la forza di quest’ultimi perde anche lui peso. E quindi guarda avanti ed è stato il primo ad aprire al dialogo con Renzi. Ma anche qui, se non cambia la legge elettorale in un verso proporzionale, Micciché non romperà mai con la Lega. Stesso discorso in vista delle regionali in Sicilia, dove non è un mistero proprio in vista delle difficoltà nazionale di Forza Italia, Micciché punti a candidarsi in prima persona per aggrapparsi al ruolo di governatore e diventare un tassello dei nuovi assetti nazionali. Oppure a candidare il fratello, il banchiere Gaetano, con una colazione fotocopia di quella che sostiene il governo Draghi.
La legge elettorale comunque è un tassello fondamentale per questi nuovi scenari. Non a caso Salvini rilancia la federazione in stile repubblicano, che potrebbe raccogliere il mondo centrista facendo diventare gli ex lumbard quello che è stata Forza Italia: sa bene che in Parlamento potrebbe davvero passare il cambio della legge elettorale e con una federazione leghista-centristi a rimanere fuori dai giochi sarebbe solo una persona: Giorgia Meloni, che vede la legge proporzionale come il fumo negli occhi. Anzi, come la certificazione che al governo del Paese non andrà mai.