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Alla Cop27 ha portato un’Italia di basso profilo e senza inglese. In Lussemburgo si era fatto scortare da Roberto Cingolani. Dice sì ai rigassificatori, ma la sua credibilità scarseggia. Ecco i primi passi del titolare dell’Ambiente che ricorda la “Tragedia di una virgola” di Gianni Rodari
di Susanna Turco
Come in certi leggendari incipit, l'impronta del primo giorno rischia di trascinare con sé tutto il resto. Così l'attività il ministero dell'Ambiente e della sicurezza energetica, ex Transizione ecologica, dal vertice in Lussemburgo alla Cop 27 passando per le lotte su trivelle e rigassificatori, sembra sinora tutta improntata a quello che Giorgia Meloni definì «un errore di trascrizione»: l'aver cioè scambiato, nel momento in cui lesse la lista dei ministri al Quirinale, il titolare dell'Ambiente con il titolare della pubblica amministrazione, Gilberto Pichetto Fratin con Paolo Zangrillo. Niente di strano, si trattava con rispetto parlando di due Carneade della politica, entrambi forzisti: l'uno con una lunga carriera nella penombra piemontese e un nome in stile Macario, l'altro fratello del più noto medico di Silvio Berlusconi, Alberto. In quel venerdì pomeriggio di fine ottobre, scandito dalla neopremier tra gli affreschi quirinalizi, Gilberto Pichetto Fratin ricoprì per un quarto d'ora un altro dicastero rispetto a quello che gli era stato assegnato: è da allora un ministro in transizione, e così il suo ministero.
Basti anche solo vedere come l'ex vice di Giorgetti al Mise è tornato dal secondo dei suoi impegni internazionali, la Cop27 di Sharm el Sheikh, parlando prudentissimo di «bilancio in chiaroscuro». Una sintesi la più neutra possibile, parole da fil di voce, di quelle che si dimenticano dopo un attimo: «Da un lato sono d'accordissimo sulla decisione di creare un fondo per danni e perdite, dall'altro questo stop ad approfondire il tema della mitigazione non è un fatto positivo», ha aggiunto. Sintetizzando, in versione soft, i risultati della Cop27, dove l'accordo sul fondo «loss and damage» (perdite e danni, per Pichetto) è arrivato all'ultimo momento, a un passo dalla rottura, e ha evitato il fallimento totale della conferenza, che altrimenti sarebbe finita senza risultati. Secondo peraltro un rituale sempre identico, quello dell’accordo al ribasso, in extremis. Una Cop che nel documento finale ha deluso gli Stati che volevano un aumento degli impegni di mitigazione, senza progressi rispetto a Glasgow26 sulla riduzione delle emissioni di gas serra. E dove l'Italia ha giocato con un profilo molto basso, un ruolo che era abbastanza nelle premesse visto chi la portava al tavolo. «Un po' spaesato», l'hanno definito i colleghi che l'hanno visto aggirarsi per incontri, vertici, nei corridoi della Cop27. Lost in transition.
Intendiamoci il compito è soverchio: affiorato in prima linea, il tema della transizione ecologica è stato risospinto indietro, nella lista delle priorità e soprattutto nei criteri di realizzabilità, dalle due emergenze di questi anni, la pandemia e la guerra. E visto il contesto i negoziati sono stati svolti in un clima tesissimo, tanto visibile alla lontana che pure il ministro scambiato di Pichetto, Paolo Zangrillo, gli ha riconosciuto «la estrema difficoltà» di rivestire il ruolo.
Per altri versi, il ministro in Egitto ha di nuovo colpito i presenti per quella che è parsa la sua lacuna, non si saprebbe dire se più grande o più singolare. La non conoscenza dell'inglese o di qualsiasi altra lingua al di fuori dell'italiano. Questa volta Pichetto si è rassegnato a bilaterali con il traduttore: il che, come ha raccontato il Domani, ha comportato un bilaterale con John Kerry di un solo quarto d'ora di parlato, visto che la metà della mezz'ora concessa è servita appunto a tradurre. La volta scorsa nel suo debutto europeo in Lussemburgo Pichetto era praticamente muto: si limitava a fare il segno di ok con la mano, tipo Fonzie. Bisogna fermarsi un attimo e immaginarsela, la scena, di un ministro che si presenta a gesti ai suoi omologhi europei. Certo, il solo italiano è qualcosa che può anche andare bene in un governo dove l'autarchismo linguistico si riflette in espressioni come «tassa piatta» al posto di «flat tax», ma di certo non funziona in questo ruolo. Essendo per di più il ministro un neofita dichiarato in materia di Ambiente, al punto da farsi dare ampie ripetizioni, prendere appunti sui dossier in lavorazione, ipotizzare almeno a inizio incarico di farsi sostituire dal suo predecessore, Roberto Cingolani, per evitare troppe gaffe nelle prime riunioni (alla fine, per dire, in Lussemburgo sono andati insieme).
Neanche questa ignoranza è colpa sua, in fondo: commercialista e revisore contabile, repubblicano a vent'anni, poi forzista della prima ora, senatore, assessore e vice del governatore leghista Roberto Cota, Pichetto si è sempre occupato per lo più di numeri e bilanci. Più di recente, viceministro di Giancarlo Giorgetti al Mise con Draghi, si è concentrato su automotive e concorrenza. Non propriamente un curriculum da patito di energia e green economy.
E insomma il ministro scambiato, quello in transizione, rischia di somigliare alla filastrocca di Gianni Rodari, alla «povera virgola che per colpa di uno scolaro disattento capitò al posto di un punto dopo l'ultima parola del componimento. La poverina, da sola, doveva reggere il peso di cento paroloni, alcuni perfino con l'accento». Nello stesso modo della "Tragedia di una virgola" a Pichetto, da solo, tocca reggere l'eredità anche complessa dell'era Draghi- Cingolani, in cui la transizione ecologica aveva un altro sapore. Con sulle spalle un ministero tra i più carichi dei soldi del Pnrr: 35 miliardi, secondo solo alle Infrastrutture guidate da Matteo Salvini (40 miliardi).
Passate le primissime gaffe, come quando ribattezzò il mercato del gas di Amsterdam con l'inesistente acronimo «Tte», invece che «Ttf» - in fondo era solo una lettera, nel medioevo anche il proverbio «stretta la soglia larga la via» divenne «stretta la foglia» per colpa a quanto pare anche lì di un errore di trascrizione - il titolare dell'Ambiente è adesso al lavoro per una misura che ha raccontato giusto alla vigilia del consiglio dei ministri che ultimato la manovra: un price cap nazionale delle rinnovabili, con un meccanismo che prevede sì di aumentare la capacità delle fonti come eolico e fotovoltaico, ma anche di vendere l'energia prodotta a prezzo calmierato (il tetto sarebbe 180 euro al megawatt/ora, secondo le misure allo studio). Nulla di rivoluzionario: si tratta di una misura simile a quella introdotta dal governo Draghi a febbraio, che prevede un prelievo sugli extraprofitti che scattano quando l’energia elettrica prodotta da rinnovabili è venduta a un prezzo superiore a 60 euro al megavatt/ora.
Quanto all'approvvigionamento energetico, quest'inverno non sono previste criticità grazie appunto all'attività svolta nei mesi scorsi dal governo Draghi, ma per il 2023 sarà fondamentale avere il rigassificatore di Piombino. Ed ecco che si apre qui l'altro fronte per Pichetto. Quello che diciamo parla italiano, ma si fa la guerra.
A Piombino, mentre il ministro continua a predicare in ogni uscita pubblica quanto il rigassificatore sia fondamentale (lì come a Ravenna), il fronte dei movimenti del No si è riunito giusto domenica scorsa, per dar vita alla "Rete No Rigass. No Gnl" e progettare una manifestazione a Roma per inizio 2023. E il sindaco Francesco Ferrari, di Fratelli d'Italia, ha promosso un ricorso al Tar contro l'infrastruttura, in aperta polemica con il governo e il suo partito, a partire da Ignazio La Russa che l'ha sconfessato, ma non senza seguaci dentro FdI.
È ancora più pesante la spaccatura nell'altro fronte italiano che è chiamato ad affrontare Pichetto: le trivelle, e l'opportunità di nuove perforazioni in mare. Qui non soltanto gli interessi del territorio sono opposti a quelli del governo centrale, ma la spaccatura taglia a metà, verticalmente, sia la Lega sia Forza Italia. Era così anche nella scorsa legislatura, ma non si vedeva altrettanto clamorosamente come in questi giorni nel braccio di ferro dei governatori, in testa il veneto Luca Zaia, con Roma e con Matteo Salvini. Di fatto, la norma per facilitare le trivelle che è contenuta nel decreto Aiuti appena licenziato riprende un testo analogo a quello presentato per la prima versione del decreto, sotto il governo Draghi. Allora la norma fu fermata dall'ex sindaco di Padova Massimo Bitonci, per conto di Zaia. A ispirarla era invece stata la leghista Vannia Gava, all'epoca sottosegretaria alla Transizione, ora viceministra di Pichetto Fratin e secondo molti destinata a diventare la vera titolare dell'Ambiente, essendo lost il ministro in transition. A testimonianza che anche su questo fronte il caos è appena agli inizi.