Politica
novembre, 2022

Pablo Iglesias: «L’Europa dà il benvenuto ai fascisti. L’importante è che siano pro-Nato»

Per il fondatore di Podemos con Giorgia Meloni la democrazia è in pericolo. Ma non solo in Italia. «Gli endorsement che la neopremier riceve dai leader degli altri paesi dimostrano che l’ideologia dell’ultradestra si sta normalizzando»

«L’Unione europea sta dando il benvenuto ai fascisti. Ci troviamo di fronte a una situazione pericolosa». Così Pablo Iglesias Turrión, fondatore del partito politico spagnolo Podemos, punto di riferimento per la sinistra internazionale, che in Italia, tra Bologna e Firenze, ha studiato e vissuto, ha parlato del nuovo Governo guidato da Giorgia Meloni. Davanti a centinaia di persone, durante Uni de Otoño, l’evento che a inizio novembre nella Facoltà di Scienze Politiche di Madrid, ha riunito gli esponenti dei principali movimenti di sinistra di Europa e America Latina. Per l’Italia hanno partecipato Giuliano Granato e Matteo Giardiello di Potere al popolo che, insieme agli altri, hanno dato vita a incontri e dibattiti dentro l’Università. «Perché è fondamentale che i movimenti e la società civile entrino nei luoghi della formazione. Sono spazi essenziali per la politica e gli studenti offrono spunti di riflessione molto interessanti», spiega Iglesias a L’Espresso.

Lei pensa chein  Italia la democrazia sia in pericolo con Meloni premier?
«Chiaramente. In Italia c’è un governo formato dell’erede del partito di Giorgio Almirante, fondato dai seguaci di Mussolini, insieme a un amico di Vladimir Putin: Silvio Berlusconi. E con il partito di Matteo Salvini. Parliamo di normalizzazione dell'estrema destra nella terza economia dell'Eurozona, in uno degli stati fondatori dell'Unione Europea, in uno dei paesi di riferimento del costituzionalismo democratico del dopoguerra. Con una Costituzione basata sull’antifascismo. Logicamente ci troviamo di fronte a una situazione pericolosa. Ma il problema è che il Fascismo si sta normalizzando in tutta Europa. Credo sia importante ricordare come le istituzioni europee hanno accolto il governo greco di Syriza, con Alexis Tsipras, e confrontarlo con l'accoglienza in termini di normalità che ha ricevuto il governo Meloni. Inclusa la legittimazione dal rappresentante della tecnocrazia politica Mario Draghi. Penso che questo riveli che nel quadro dell’Unione non importa se sei un fascista, l’importante è che accetti le ricette per l'austerità economica e che sia chiaro il supporto nei confronti della Nato. È estremamente pericoloso, anche perché oggi la Nato non rappresenta gli interessi europei, ma quelli degli Stati Uniti».

Quanto il risultato delle elezioni italiane è la manifestazione dell’incapacità della sinistra di parlare alle persone?
«Il punto è che le elezioni non hanno dimostrato un consenso degli elettori per le destre maggiore rispetto al passato. Ma la mancanza di unità tra le forze alternative che potrebbero essere collocate nello spettro culturale della sinistra ha portato alla situazione attuale. Che da un lato permette all’estrema destra al governo di farsi portavoce di un’agenda di involuzione democratica. Mentre dall’altro evidenzia la mancanza di una sinistra capace di combattere una battaglia ideologica. C'è un'immagine molto importante che rende l’idea: in un film di Nanni Moretti si vede lui che dice a D’Alema, durante un dibattito con Berlusconi, “Dì qualcosa. Reagisci. Dì una cosa di sinistra”. Ecco la sinistra deve tornare a dire e fare cose di sinistra. Non è facile costruirsi uno spazio proprio ma in politica tutto è mutevole e veloce: Podemos non esisteva nel 2013 mentre nel 2014 ha fatto irruzione alle elezioni europee con un risultato senza precedenti. Così siamo diventati una forza politica rilevante. Potere al popolo non è ancora riuscito ad avere il risultato elettorale necessario ma per me punta verso la giusta direzione».

Quando è importante uscire dalla visione nazionale e puntare sulla costruzione di una sinistra internazionale?
«La scala transnazionale è fondamentale per la politica oggi. I problemi che affrontiamo sono comuni, quindi è molto importante che la sinistra si costruisca come fronte coeso, almeno a livello europeo. Guardiamo, ad esempio, con molto interesse alla France Insoumise e Melenchon in Francia, che se la sta cavando bene proprio perché non ha annacquato il discorso politico e perché ha sollevato i problemi reali che vivono le persone. Allo stesso tempo guardiamo alle esperienze dell’America Latina, dove ci sono sempre più governi progressisti. Potrebbe diventare un serbatoio di politiche e ideologie enormemente utili per affrontare la situazione difficile che stiamo vivendo noi in Europa. Credo anche che Podemos continui ad essere un riferimento internazionale per la sinistra e che dare vita a spazi di dibattito come Uni de Otoño generi reti di collaborazione fondamentali».

La vittoria di Lula in Brasile ha dato vigore al fronte della sinistra internazionale?
«Sì. Però insieme alla vittoria di Lula da Silva anche il bolsonarismo si è rafforzato e continua a avere una forza notevole nel Parlamento e nei governi territoriali in Brasile. È sempre più evidente che la politica oggi si regge sulla tensione tra autoritarismo e democrazia: l’elezione di Lula come Presidente ha una dimensione geopolitica importante che, però, deve tradursi anche nell'attuazione di politiche chiare che diventino riferimenti nell'articolazione di meccanismi ideologici. L’attuale principale avversario dei governi di sinistra sono i poteri mediatici. Questa è una cosa che è nata proprio in Italia: è incredibile che Silvio Berlusconi, che è riuscito a salire al potere grazie al suo impero mediatico, continui ad essere una figura di rilievo governativo. Il fatto che sia stato Presidente del Consiglio ha creato un paradigma che ha gettato le basi per la genealogia del trumpismo, oggi motore fondamentale delle nuove estreme destre in America e in Europa. Giorgia Meloni combina il carattere tradizionale del fascismo con l’ideologia dell’estrema destra contemporanea e ha capito di doversi allineare con il mondo ideologico della Nato».

Come, allora, l’Unione europea dovrebbe affrontare la guerra russo-ucraina e la crisi sociale che ha scatenato?
«Difendere il pacifismo non è ingenuo. Non credo che abbiamo investito con abbastanza intensità nei canali diplomatici e nel dialogo. È chiaro che la Russia è l’aggressore e che l'invasione dell'Ucraina deve essere condannata. Ma penso che l'allineamento dei paesi europei alla strategia della Nato di avvicinare i propri confini alla Russia e di armare l'Ucraina per prolungare il conflitto sia una logica che rispecchia la volontà degli Stati Uniti di rafforzare la propria posizione rispetto alla Cina. Questo non è nell'interesse dei paesi europei. Subiamo una gravissima crisi energetica, potrebbe arrivare anche una recessione di enorme gravità. Credo che l'Europa non ci guadagni nulla da questa guerra e che non lavorare per farla finire al più presto, scommettendo sul negoziato, porti solo a una perpetrazione di un conflitto che ha già causato 40mila morti civili in Ucraina, la distruzione di un Paese e una situazione in cui la possibilità di una guerra nucleare è sul tavolo».

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