Il dossier
L’irrequietezza di Silvio Berlusconi. La debolezza di Antonio Tajani. Le ambizioni di Licia Ronzulli. I debiti del partito. Gli scricchiolii interni e i piani di annessione degli altri leader possono mettere presto in pericolo la stabilità dell’esecutivo
di Carlo Tecce
Avviso al lettore su contenuti sensibili: il testo che segue descrive attori e fattori che possono turbare il placido andare del governo di Giorgia Meloni e il frangibile consenso che avvolge i vincitori di ogni sorta di gara. Il racconto (una anamnesi) si svolge fra villa Grande di Roma e villa san Martino di Arcore, abitazioni private di Silvio Berlusconi e perciò domicili ufficiosi di Forza Italia.
IL FATTORE B.
Novantuno. A volte lo scrive rimarcando i contorni, soprattutto dove i numeri sono curvi, altre lo dice con tono solenne e un po’ stupito. Novantuno. Ormai è un appunto che Silvio Berlusconi ha posto in cima ai suoi pensieri. La prossima campagna elettorale per il Parlamento, a scadenza naturale, ci sarà nell’autunno del 2027. In quei giorni il Cavaliere avrà 91 anni. Questa è una legislatura di passaggio. Vuol dire che il suo contributo a Forza Italia sarà diverso. Non soltanto più sporadico. A settembre ha rimosso una pagina odiosa per la sua carriera politica con il ritorno da senatore dopo la decadenza per la condanna per frode fiscale. Al solito ha elargito imbarazzi e divertimento con i foglietti contro Meloni, le casse di Lambrusco, l’amico Vladimir Putin. Ha formato il governo. Ha assecondato la famiglia-azienda e Gianni Letta. Ha imposto i suoi ministri (tranne Licia Ronzulli). Il pieno di ricordi. Il vuoto di attese. E adesso. Il guaio è adesso. S’era intuito con le aspirazioni per il Quirinale, adesso - sì, adesso - è più chiaro: il Cavaliere vuole essere il fondatore, lo statista e il vecchio saggio. «Se Berlusconi avesse le tette farebbe anche l’annunciatrice» (Enzo Biagi). Non importa se pretestuose, eccentriche, legittime. Le aspirazioni sono un fatto. E lo sono per Meloni. «Il Cavaliere è spazientito». «Non mi ha consultato». «Neppure una telefonata». «Io avrei mediato». «Le avrei suggerito». Le cronache grondano già di lagne così. Non è un particolare per i feticisti dei retroscena. Ha un significato. Se Meloni non lo coinvolge, la reazione di B. non è prevedibile. A Mario Draghi è costata il Quirinale e pure il resto.
Il sobbollire del Cavaliere ha un tempo lento. Nel medio e lungo periodo provoca pericoli. Non subito. La sopravvivenza di Forza Italia. Questa è la priorità. Le cifre, di nuovo. È lo stesso Berlusconi che le ripete ai suoi dirigenti. Un italiano su venti ha votato noi e la Lega. Un italiano su cinque ha votato Meloni. Troppa distanza per manovre ardite. Ci vuole pazienza. Il Cavaliere ha ripreso a concionare di partito Repubblicano sul modello americano. L’uomo non ha interrotto mai la sua convivenza con le smisurate ambizioni, ma stavolta non ci crede neanche. L’unica opzione è Matteo Salvini. Il Cavaliere lo reputa simpatico. Ne avverte la cagionevolezza politica. In Forza Italia hanno riesumato il tema di una federazione con la Lega. Se ne parlò lo scorso anno, ma gli ex ministri Mara Carfagna, Mariastella Gelmini, Renato Brunetta - fuoriusciti - erano inorriditi. La federazione/fusione va spiegata semplice: ripulire i leghisti dagli ultimi residui sovranisti, condurli nel Partito Popolare Europeo, compilare liste unite per il voto per Bruxelles/Strasburgo (2024) e poi dividersi per aree geografiche. Al Nord i leghisti. Al Sud i forzisti.
IL FATTORE T.
L’ex monarchico Antonio Tajani ha più cariche che potere: vicepresidente del Consiglio, ministro degli Esteri, capodelegazione nel governo, coordinatore nazionale di Forza Italia. La sua giacca è trapuntata di medaglie e onorificenze e però la sua guarnigione in Fi ne ha patito le conseguenze. È disarmata e non decorata. Il deputato viterbese Francesco Battistoni non ha ottenuto un secondo mandato da sottosegretario all’Agricoltura. Il deputato ternano Raffaele Nevi ha presto riposto le sue aspettative. Invece Paolo Barelli, che ha sorvegliato con fideistica lealtà l’ascesa di Tajani, l’amico Antonio, è parecchio deluso. Era capogruppo alla Camera. Era in bilico fra ministro, viceministro e sottosegretario. E poi il niente. S’è pure beccato una squalifica di due anni per presunti illeciti dalla Federazione mondiale nuoto e la relativa sospensione - c’è il ricorso al Tribunale arbitrale dello sport - da presidente (lo è da 22 anni) della Federazione italiana. I colleghi forzisti lo sentono di rado e lo vedono ancora meno. Chissà se Barelli reciderà il legame con l’amico Antonio e di riflesso col partito. La sola ipotesi è spiazzante.
Tajani si è finalmente realizzato anche a Roma, era il suo cruccio, dopo l’abbondante raccolto in Europa con la presidenza del Parlamento e le nomine a commissario ai Trasporti e all’Industria. Gli manca la presidenza del Consiglio, approdo che ritiene spontaneo per il suo percorso. Non ha smesso di pensarci, ma è opportuno concentrarsi su altro. Sulle vicende estere, senz’altro e poi sul partito. Il Cavaliere non l’ha celebrato al pranzo di Natale. Gli ha gentilmente comunicato di aggiornarlo sulle questioni di governo e di procedere alla ricostruzione del partito nei territori (nemmeno un paio di giorni e il responsabile giovani, Marco Bestetti, ha mollato Fi e in Sicilia il presidente Renato Schifani e il senatore/consigliere regionale Gianfranco Micciché continuano a battibeccare). Tajani non ha più una rilevante influenza nel partito, l’asse con Licia Ronzulli si è incrinato. A febbraio si vota per le regionali in Lombardia e nel Lazio. Fi corre spedita verso un fallimento. Alle politiche ha preso una media dell’8,20 per cento. Nel Lazio, zona di Tajani, rischia di dimezzare i voti. Con l’agenda fitta di impegni e il partito spoglio di alleati, che farà il ministro-vicepresidente-capodelegazione-coordinatore-onorevole Tajani? Si nota la sua ricercata sintonia/empatia con Meloni. Normale. La domanda è un’altra: Tajani sarebbe in grado di organizzare una pattuglia di Fi a sostegno del governo Meloni se il partito di B. dovesse rompere? Cioè Tajani è utile a Meloni?
IL FATTORE R.
R. sta per Ronzulli Licia e Renzi Matteo. Tajani è nel governo, Ronzulli no. Tajani aveva il compito di inserirla, veto o non veto di Meloni, e non ci è riuscito. La senatrice Ronzulli è capogruppo al Senato. Luogo dove nascono e muoiono i governi. S’è presto accorta che in quel ruolo bada al governo e al partito. Ha il vantaggio del tempo. E del tempo trascorso assieme a Berlusconi, alla quasi moglie nonché deputata Marta Fascina, ai senatori e - tramite il suo capogruppo Alessandro Cattaneo - ai deputati. Così può permettersi di distinguersi per coscienza dal governo. Come non votare per il reintegro dei medici sospesi perché non vaccinati al Covid. Un gesto per essere coerenti e per dimostrare che il partito ha senso se ha una linea riconoscibile su qualcosa. Altrimenti verrà fagocitato da Fratelli d’Italia. Un esempio. Fdi e Lega rinunciano a un pezzo degli elettori meridionali perché smontano con frenesia il reddito di cittadinanza, Fi lo difende (in passato no) e propone con insistenza l’aumento delle pensioni minime.
Per tanti motivi Forza Italia è un antico obiettivo di Renzi. Azione di Carlo Calenda e Italia Viva hanno un valore simile e una prossimità di elettorati. La legislatura è appena cominciata e discutere di un governo aperto a Carlo&Matteo è sciocco. Le posizioni sono ancora ben solide. E Meloni non è una politica che si smentisce. Si è presentata agli elettori con una coalizione di centrodestra e non cederà presto a tattiche di palazzo. Il cosiddetto dialogo con le opposizioni è materia differente. Calenda e Renzi ne hanno bisogno per non farsi schiacciare (anche se a sinistra non c’è nessuno), il governo ha il vantaggio di non apparire ideologico e chiuso in sé stesso. Sui temi della giustizia c’è ampia concordia fra Forza Italia e Azione/Italia Viva.
IL FATTORE F.
La famiglia Berlusconi è presente per interposto Gianni Letta. Viene definito ai margini o protagonista con cadenza regolare, dipende dall’io narrante che ispira i resoconti politici, però non è mai assente. Per Mediaset/Fininvest è deleterio avere cattive relazioni con i governi di qualsiasi tipo (quante ne ha smussate, Letta). Non è un’urgenza del momento.
Per affrontare l’ultima campagna elettorale, i figli di Berlusconi hanno donato 500.000 euro a Forza Italia. Il partito ha debiti per 100,9 milioni di euro di cui 92,2 verso Berlusconi che, dopo l’abolizione dei rimborsi elettorali, ha dovuto estinguere i mutui con le banche. Ogni anno Forza Italia di Berlusconi incrementa gli interessi passivi col creditore Berlusconi. Il tesoriere Alfredo Messina, ex dirigente e amministratore in Olivetti, Alitalia, Iri con Romano Prodi e poi ai vertici di Fininvest, Mondadori, Mediaset e Mediolanum, non più candidato al Senato, sta per lasciare l’incarico. Con un debito ingestibile Forza Italia esiste finché vogliono Berlusconi e la famiglia Berlusconi. Il resto sono chiacchiere.
Postilla. Se uno di questi fattori salta, il governo Meloni non rimane di certo immobile.