Il finanziamento pubblico ai partiti stava per tornare negli ultimi giorni di dicembre. Con un emendamento da infilare nella legge di Bilancio fra la quiete delle feste. La solita tecnica che ammaestra il pudore. Non ce l’ha fatta. Però era un sopralluogo. Attenzione. Capiterà ancora. La politica ha un disperato bisogno di denaro: «I cittadini lo possono accettare soltanto se i partiti diventano più trasparenti e democratici», premette il deputato Walter Verini, tesoriere nazionale del Pd.
Il primo (fallito) tentativo ha la firma di Tatjana Rojc, senatrice dem con un paio di mesi in prestito al gruppo Maie che tentò di formare il terzo governo di Giuseppe Conte, scrittrice triestina di lingua slovena all'esordio in politica. Come ha ricostruito l’Espresso, Rojc era la promotrice di un emendamento che i capi dei partiti hanno a lungo esaminato in gran segreto. Dopo l'abrogazione del finanziamento diretto con il referendum del 1993 e del sistema dei rimborsi indiretti con la riforma del governo Letta del 2013, i partiti si sorreggono con il 2 per mille che vale fra i 18 e i 19 milioni di euro.
Lo scorso anno neanche 1,5 milioni di contribuenti su 41,5 hanno deciso di versare il proprio 2 per mille di tasse alla politica. Perciò l’Agenzia delle entrate ha girato ai partiti 18,6 milioni di euro sui 25,1 disponibili. Dunque il testo di Rojc ordinava di distribuire ai partiti i 6,5 milioni non utilizzati e però stanziati (il cosiddetto inoptato) nel 2021 e di portare le risorse complessive a 59,2 milioni già dal 2022. Il Pd ha raccolto subito il consenso presso Italia Viva e Forza Italia, molti dubbi fra la Lega e la tradizionale cacofonia nei Cinque Stelle. Il presidente Giuseppe Conte ha consultato i ministri e poi ha rifiutato la proposta. Allora per non «agitare» la maggioranza di governo, ha spiegato il tesoriere Verini, tra l'altro si era alla vigilia delle elezioni per il Quirinale, il Pd ha ritirato il soldato Rojc.
Questo episodio sin qui sconosciuto ha modificato le strategie, non le esigenze dei partiti. Le donazioni private, perlopiù degli eletti, ormai gli iscritti sono categorie desuete, non sono sufficienti. Anzi spesso sono dannose. I conti sono peggiorati. Ciascuno ha i suoi guai. Il Pd ha più di 80 dipendenti in cassa integrazione e i ricavi in costante diminuzione. Fi ha un debito di oltre 100 milioni di euro garantito dalle fideiussioni bancarie di Silvio Berlusconi. La Lega ha la rata annuale di 600.000 euro per i 49 milioni “truffati” che deve restituite allo Stato. I 5S hanno aderito al meccanismo del 2 per mille per farsi partito.
Nessuno si prepara alla prossima legislatura con ottimismo. Neppure Fdi che ha registrato un attivo nel 2020. I seggi parlamentari si riducono da 950 a 600. Il sistema elettorale proporzionale con le preferenze è più costoso e più esposto alle pressioni (e alla corruzione). Le fondazioni politiche influenzano i partiti più delle correnti interne e si muovono con opacità. Le sezioni (o circoli) comunali sono una rarità. È tutto a distanza.
Se davvero si vuole ripristinare la Prima Repubblica, non si può non partire dal finanziamento pubblico. Con la paura che finisca come l'altra volta.