Il risultato del voto nelle città cambia il volto del centrodestra: Fratelli d’Italia è sopra alla Lega anche nei comuni del nord. Unico exploit insieme a quello di Damiano Tommasi a Verona, in un centrosinistra a caccia di simboli civici

Il sorpasso è avvenuto: prima gli italiani? No, prima Giorgia. Quasi dappertutto, sia al nord che al sud, Fratelli d’italia è avanti alla Lega nelle prime proiezioni dei voti di lista nelle grandi città. È la novità più rilevante che viene dal voto amministrativo del 12 giugno in 978 comuni, tra cui 26 capoluoghi.

L’unico exploit, emerso solo negli ultimi giorni di campagna elettorale, è invece nel centrosinistra, quello di Damiano Tommasi a Verona: candidato del campo largo progressista, l’ex calciatore che arriva primo nella città governata da 25 anni dalla destra leghista, sfiorando il 40 per cento al primo turno, è l’eroe del giorno del centrosinistra in perenne ricerca (e ora più che mai) di un volto civico che faccia da collante a un’alleanza che, come un cono gelato, più si stringe e più si squaglia.

Analisi
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Continua infatti il processo di erosione dei Cinque stelle, che progressivamente perdono mordente e visibilità: anche a Palermo, dove Giuseppe Conte si è speso di più in campagna elettorale promettendo (sic!) di assumere la residenza in caso di ballottaggio il M5S dimezza i voti di cinque anni fa.

È forte il segnale di trasformazione che arriva sul centrodestra. Una metamorfosi. Ovunque Fdi supera la Lega: a Parma 6,7 contro il 4,6 leghista, a L’aquila 18,8 contro 12,5; a Palermo 8,4 contro 4,7; a Genova Fdi è terzo partito al 10 per cento, contro il 6,7 del Carroccio, percentuali quasi identiche a Verona. Quanto questo segnerà una crepa, l’inizio di un nuovo equilibrio nel centrodestra, è presto per dire.

 

Ma di certo non resterà senza conseguenze. Vero è che fino alla vigilia Giorgia Meloni ha negato in ogni modo di voler condurre una battaglia spaccatutto per la leadership nel centrodestra. È altrettanto vero che conquistare il podio anche nei comuni del nord, è un dato preciso, con precisi effetti nei confronti della Lega e di Salvini, che esce da questa tornata ancora più a pezzi di quanto non vi fosse entrato.

E la frase che il leader del Carroccio pronuncia in conferenza stampa, circa la leadership del centrodestra, che «si decide tra un anno con le politiche», non sembra di buon auspicio. Sarà Papeete bis? C’è chi dubita persino che il leader leghista abbia la forza di riproporre una caduta del governo, così come fece nell’estate 2019. È comunque lui, insieme con Giuseppe Conte, il più interessato

Se il modello di coalizione del centrodestra è da rivedere, quello del centrosinistra si direbbe da inventare. L’unico modello vincente appare pericolosamente vicino a quello dell’Unione del secondo Prodi, quella che produsse il leggendario programma di governo di 281 pagine. Un campo larghissimo, che fa leva anche sulle divisioni del centrodestra, come accaduto a Verona, dove i progressisti si sono presentati uniti (senza Renzi) mentre il centrodestra si è diviso tra Federico Sboarina e Flavio Tosi, ma anche a Parma, dove Michele Guerra arriva ben sopra il candidato di Lega e Fi Pietro Vignali.

La città dell’Arena farà da modello del centrosinistra anche sul secondo turno: Tosi, appoggiato da Matteo Renzi, finirà per essere decisivo per il secondo turno, come ha detto lui stesso nella prima dichiarazione a urne chiuse. Prospettive da brividi.

Per il resto, il Pd vince gli obiettivi che si era dato, senza granché combattere, come è nello stile di Enrico Letta. Buoni i primi risultati che arrivano da Lodi, dove il segretario dem aveva voluto chiudere la campagna elettorale, brutto l’esito a L’Aquila i due candidati di centrosinistra vanno quasi pari a 22 per cento ciascuno, mentre a Catanzaro si arriva a un insperabile ballottaggio dopo diciotto anni di governo della destra, che sarebbe stato fuori portata anche stavolta, senza divisioni tra Lega e Fdi sarebbe stato fuori portata. Scarseggia decisamente l’entusiasmo sulle prospettive: l’apporto dei Cinque stelle è smilzo, più vicino all’invisibilità, e quello del centrismo alla Calenda (o Renzi) è, a essere ottimisti, ancora tutto da organizzare. Manca soprattutto l’operazione politica, la calamita che attragga le forze in un progetto. E non si limiti a raccogliere, sia pure al meglio, le merci che il centrodestra, sbandando per le strade dei suoi accordi da ridefinire, lascia cadere per strada.

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