La deputata dem si batte da anni per dare la possibilità di esercitare il diritto di voto agli studenti e ai lavoratori che vivono in una città diversa da quella di residenza. «Si modificherebbero gli assetti dei collegi e si contrasterebbe l’astensionismo»

Giuditta Pini (Pd): «Facciamo votare i giovani fuorisede»

«Sarebbe un viaggio della speranza che dovrei fare in un weekend. Proprio pochi giorni dopo il rientro dalla pausa estiva. A ridosso della sessione d’esame», si lamenta uno studente universitario che da un paio d’anni vive a Roma ma non ha spostato la residenza dal Comune in provincia di Brindisi in cui è nato. Perché non sa se dopo la laurea triennale cambierà città e perché spera di trovare presto una nuova stanza visto che l’appartamento in cui alloggia non è comodo.

Si riferisce al prossimo 25 settembre. Il giorno in cui, come conseguenza della crisi di governo, gli italiani torneranno a votare per le elezioni politiche. Marco non è l’unico in questa situazione: anche se per ragioni diverse, sono tanti i fuorisede, che vivono in una città che non è quella in cui hanno la residenza, dove dovrebbero tornare per votare. Circa 5 milioni.

Sono soprattutto giovani, tra i 18 e i 35 anni, provengono in gran parte dal sud Italia e dalle isole. Non sono solo studenti ma anche lavoratori. Per molti di loro il tempo e i soldi necessari per tornare «a casa» rendono un lusso, un diritto che invece dovrebbe essere di tutti i cittadini.

La riduzione dei costi per il trasporto è parziale e non adatta ai tempi correnti. Ad esempio, tra le agevolazioni di viaggio per chi si è recato alle urne a ottobre 2021, c'era una riduzione del 60 o del 70 per cento del costo del biglietto del treno (Trenitalia o Italo), per l’aereo uno sconto di 40 euro solo per chi ha scelto Alitalia. Il pedaggio autostradale era gratuito per gli italiani residenti all’estero ma non per chi si è spostato nel Paese.

«Non stiamo facendo il possibile per consentire alle persone di esercitare il loro diritto-dovere di voto», spiega Giuditta Pini, deputata del Partito democratico che da anni porta avanti una battaglia per aprire ai fuorisede la possibilità di votare nella città in cui vivono. «Ci abbiamo provato la scorsa legislatura, ottenendo il voto per gli studenti Erasmus. Anche in questa, tra le prime cose, ho presentato una legge per il voto ai fuorisede. Poi ho sottoscritto la proposta presentata da Marianna Madia insieme al comitato nazionale Voto dove vivo».

Per Pini negare ai fuorisede la possibilità di votare nella città in cui vivono è una scelta politica. Perché mezzi e strumenti per permetterlo ci sarebbero. Anche in un sistema interamente basato sulla carta come quello che garantisce il voto in Italia. Visto che chi è residente all’estero e iscritto all’Aire (l’anagrafe degli italiani all’estero) può esercitare il proprio diritto. Ma anche i cittadini fuori dal Paese temporaneamente, per almeno tre mesi per motivi di lavoro, studio o cure mediche, possono chiedere al proprio Comune di votare per corrispondenza.

«I mezzi per consentire alle persone di votare a distanza ci sono già. In più la pandemia ha dato un forte input alla vita digitale che dovremmo approfondire anche in questa direzione. Il problema è politico perché i voti dei fuorisede modificherebbero gli assetti di collegi e città. Se centinaia di migliaia di persone giovani iniziassero a votare in collegi in cui l’astensionismo di solito è alto cambierebbe il risultato».

Inoltre, come sottolinea Pini per concludere, sarebbe interessante anche allargare il focus alle elezioni amministrative. «Abbiamo città piene di fuorisede che, pur partecipando alla vita della comunità ogni giorno, non hanno diritto alla rappresentanza in Comune. Questo si riflette nella gestione delle città. Si tratta di un altro problema ma contiguo». Che contribuirebbe ad aprire un dibattito necessario all’Italia, rimasta tra gli unici paesi in Europa a non permettere ai fuorisede di votare nella città in cui vivono.

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