Oltre ottanta procedure di infrazione sono aperte nei confronti del nostro Paese, soprattutto per tematiche ambientali, finanza e trasporti. Ma il tema non è neanche sfiorato dalla campagna elettorale

La Corte dei Conti ha calcolato che dal 2012 al 2020, l'Italia ha pagato 752 milioni di multe all'Unione Europea per le condanne conseguenti ad alcune delle procedure di infrazione che gravano sul nostro paese. Per aggiornare l'importo ai giorni nostri si può dire che la cifra abbia superato gli 800 milioni e per capire quanto impattano sui conti pubblici, basti pensare che solo nel 2020 abbiamo speso più di 67 milioni di euro.

 

Perché le sanzioni sono comminate in maniera tale che si paga fintantoché non sarà data piena esecuzione al giudicato, e possono portare a esborsi di ammontare indefinito e per un tempo illimitato. Così stiamo ancora pagando per il mancato recupero degli aiuti concessi alle imprese di Venezia e Chioggia per una sentenza Ue del 2015 che fino al 2019 è costata 114 milioni di euro e per la quale paghiamo ancora una multa di 12 milioni per semestre di ritardo.

 

Sul sito del Dipartimento delle Politiche Europee, l'ultimo aggiornamento sullo stato dei contenziosi annovera 85 procedure di infrazioni aperte, di cui 58 per violazione del diritto dell'Unione e 27 per mancato recepimento di direttive, ma a inizio anno il numero aveva toccato la cifra record di 110. Alcune si trovano all'inizio dell'iter, mentre 6 sono arrivate a sentenza con relativa condanna pecuniaria, ma non è detto che non ne arrivino altre se l'Italia non si darà da fare nel rispetto delle norme Ue. Le infrazioni riguardano soprattutto le norme in materia di ambiente (16), affari economici e finanziari (12), trasporti (9), concorrenza e aiuti di stato e energia (6) e così scemando. Il conto salato che l'Italia si trova a dover pagare rappresenta senz'altro un cruccio per i governi che si susseguono, anche se il tema è assente dai radar di questa campagna elettorale agostana. Guardando al passato, gli esecutivi guidati da Matteo Renzi e Paolo Gentiloni avevano fatto di tutto per ridurre i casi pendenti, mentre con il governo Conte 1 sono tornati a salire.

 

Ma a oggi quali sono le procedure che stanno spolpando le casse dello stato, nell'indifferenza generale? I contenziosi nel settore ambientale riguardano il mancato completamento della capacità di trattamento/smaltimento/recupero dei rifiuti in Campania (discariche, termovalorizzatori e impianti di recupero dei rifiuti organici), il trattamento delle acque reflue urbane non conforme alla Direttiva 91/271/CE, in tutto 109 casi distribuiti sull’intero territorio nazionale, le discariche abusive per rifiuti pericolosi e non pericolosi. Parimenti aperta rimane la situazione per le altre tre procedure che riguardano rispettivamente il mancato recupero degli aiuti illegittimi concessi alle imprese nel territorio di Venezia e Chioggia, il mancato recupero degli aiuti illegittimi concessi per interventi a favore dell’occupazione, nonché ultima arrivata, la condanna emessa a carico dell’Italia per il mancato recupero degli aiuti di Stato concessi agli alberghi dalla Regione Sardegna per la quale il 31 dicembre 2020 sono stati pagati 7,5 milioni in forma forfettaria e 80 mila euro per ogni giorno di ritardo nell’applicazione delle misure necessarie per conformarsi alla sentenza del 2012. In particolare per le cosiddette Ecoballe, diventate il simbolo della spazzatura campana, il 16 luglio 2015 la Corte di Giustizia UE ha pronunciato una sentenza con la quale dichiara che non sono state adottate tutte le misure necessarie a dare esecuzione alla prima sentenza della Corte del 4 marzo 2010, condannando l’Italia a versare alla Commissione europea una somma forfettaria di 20 milioni di euro e una penalità giornaliera di 120.000 di euro fino al giorno in cui non verranno realizzati discariche, impianti di termovalorizzazione e impianti di recupero. Fino al 2020, abbiamo versato a Bruxelles circa 217 milioni di euro. Ma in tema di spazzatura c'è un altro contenzioso pendente dal 2003, che sta costando al nostro paese un occhio della testa.

 

Recentemente, è stato il ministro per la Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, a fare il punto su questa procedura in un documento presentato al parlamento. Per le 200 discariche abusive è stata pagata una sanzione forfettaria da 40 milioni più 42,8 milioni per ogni semestre, arrivando nel 2020 ad un conto monstre di 232 milioni di euro. Ad oggi - si legge nel documento - sono state messe a norma 170 discariche e grazie a un meccanismo di premialità che scala dalla multa 40mila euro per ogni discarica bonificata, nell'ultimo semestre la multa si è ridotta a 6,6 milioni di euro. Sono passati circa vent'anni dalla sentenza della Ue e secondo Cingolani, sono rimasti da chiudere i siti più complessi, per cui bisognerà attendere il 2024 per la chiusura del contenzioso.

 

Ma non finisce qui. L'Italia è assoggettata a quattro procedure di infrazione per la non applicazione della direttiva sul trattamento delle acque reflue, sotto accusa è la nostra rete fognaria e la mancanza di impianti di depurazione. Solo una delle procedure è arrivata a condanna, ma gli esperti di Legambiente che ogni anno pongono gli accenti sulla mancanza dei depuratori, sono certi che presto saremo nuovamente colpiti da sanzioni. Intanto, il nostro paese ha pagato 25 milioni di euro e paga per ogni semestre di mancati adempimenti 30 milioni, dal 2018 sono andati in fumo circa 160 milioni di euro, soldi che con amministrazioni meno ignave avrebbero contribuito a risolvere il problema con benefici per l'ambiente e la salute pubblica.

 

Intanto, fa sapere Cingolani che nel Pnrr «sono stati stanziati 600 milioni per interventi al settore fognario - depurativo, anche al fine di risolvere il contenzioso comunitario». Fosse la volta buona. Intanto le multe corrono.