Analisi

Francesco Lollobrigida e la legge inutile contro la carne coltivata, l'ultimo spauracchio della Destra

di Tommaso Carboni   17 novembre 2023

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Il ministro della sovranità alimentare ha fatto approvare una norma che oggi non serve a nulla e domani potrebbe essere cancellata dall'Europa. Vi spieghiamo cosa è davvero questo prodotto che fa tanta paura

Forse non bisognerebbe prestare troppa attenzione a una legge che oggi è inutile e domani rischia il conflitto con le regole del mercato unico europeo. Brevemente è successo questo: il ministro di Agricoltura e Sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, è andato fino in fondo alla sua battaglia identitaria e ha fatto approvare la legge che vieta la produzione e la vendita della cosiddetta carne “coltivata” nel nostro paese. Peccato che non ci sia nessuno in Unione Europea nell’imminenza di venderla, questa carne.

 

L’Efsa, l’ente comunitario che si occupa della sicurezza alimentare, per ora non ha ricevuto alcuna richiesta di autorizzazione da parte di produttori di carne coltivata. Quando un’azienda depositerà il proprio dossier, allora l’Efsa si prenderà 18 mesi per valutare se il prodotto è sicuro per i consumatori. Se l’Efsa dice sì, a quel punto il divieto di Lollobrigida andrà contro le regole europee. Il mercato unico infatti impedisce a un paese di bloccare unilateralmente la vendita di un tipo di cibo approvato per il resto dell’Unione. L’Italia dovrebbe avanzare un reclamo e produrre delle evidenze scientifiche diverse rispetto a quanto riscontrato dall’Efsa. Ma niente di tutto ciò è dietro l’angolo. Ne riparleremo probabilmente fra qualche anno.

 

Adesso la cosa interessante è capire che cos’è la carne coltivata (chi è contrario la chiama “sintetica”), dove è venduta nel mondo e in quali forme, e se è davvero una minaccia per gli allevatori che il ministro dice di voler proteggere. Gli animali sviluppano naturalmente grasso, muscoli e tessuto connettivo. La sfida è replicare in bocca la consistenza delle carni. Si comincia acquisendo e conservando le cellule staminali di pollo, manzo, maiale, ma anche pesce, che vengono poi inserite in un bioreattore, anche detto fermentatore, e alimentate con ossigeno e nutrienti di base, aminoacidi, glucosio, vitamine, sali inorganici, esattamente come accadrebbe nel corpo di un animale. Bisogna indurre le cellule a differenziarsi in muscolo, grasso e tessuti connettivi. Le cellule differenziate vengono quindi raccolte, preparate e confezionate in prodotti finiti.

«Nel lungo termine l’intento dei produttori è realizzare tutti i tagli di carne», spiega Francesca Gallelli, consulente per gli affari pubblici del Good Food Institute (GFI),  una no-profit che promuove alternative vegetali, coltivate e da fermentazione a carne, latticini e uova.. Oggi però l’industria sembra concentrarsi principalmente su prodotti trasformati, cose come hamburger, crocchette, salsicce.

 

Nel mondo ci sono due aziende che hanno ottenuto il via libera delle autorità sanitarie a vendere le loro carni. La prima è stata Eat Just (oggi si chiama Good Meat), sbarcata nel 2020 a Singapore, il primo paese ad aver approvato il commercio di carne coltivata. Da allora la carne Good Meat è stata servita in alcuni ristoranti gourmet, bancarelle e app di consegna di cibo. Oggi è disponibile nella macelleria Huber’s Butchery. Ci sono due opzioni: un panino di pollo con salsa di senape piccante oppure orecchiette alle verdure “di stagione” con sopra pollo croccante. Costo circa 15 euro per piatto.

 

Dopo Singapore, gli Stati Uniti: il mercato si è aperto quest’anno con l’ok di Food and Drug Administration (FDA) e Dipartimento dell’agricoltura. Oggi Good Meat spedisce il suo pollo a China Chilcano, un ristorante di Washington D.C., peruviano con influenze cinesi. Nel menu degustazione (70 dollari), c’è uno spiedino di pollo coltivato con salsa anticucho, patate e chimichurri. La seconda azienda approvata dalle autorità Usa si chiama Upside Foods. Anche questa per ora si limita a rifornire un solo ristorante, uno stellato di San Francisco. La novità è che Upside ha saputo riprodurre un intero filetto di pollo. Il sapore è ottimo, dice la chef, simile al poulet rouge, una varietà tradizionale della Francia. L’altra cosa interessante è che l’azienda ha grossi piani di espansione: nell’Illinois aprirà un impianto di bioreattori da 187mila metri quadrati. Nella produzione su larga scala però Upside ha obiettivi tecnologicamente più modesti. Nel senso che per ora rinuncia al trancio di pollo, concentrandosi su carne trasformata, tipo crocchette e hamburger, usando proteine vegetali per dare struttura (l’azienda per questi prodotti deve ancora ricevere la convalida degli enti di sicurezza).

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Tra le società più avanzate nell’assemblare tagli specifici di carne c’è l’israeliana Aleph Farms – spiega Gallelli, l’esperta di GFI. L’obiettivo degli israeliani è commercializzare la prima bistecca di manzo coltivata al mondo. Quest’estate Aleph Farms è stata anche la prima azienda ad aver fatto pervenire una domanda di autorizzazione in Europa, di preciso nel Regno Unito e in Svizzera (quindi non in Unione Europea). Questa richiesta tuttavia potrebbe non riguardare la bistecca, ma altri prodotti trasformati. Nell’Unione ancora nessun dossier è stato sottoposto all’Efsa, ma c’è una società (Cultivated B, produce salsicce) che ha detto pubblicamente di aver avviato “colloqui preliminari”, che servono per acquisire informazioni su come inviare il dossier.

 

Sono giustificate dunque l’ostilità di Lollobrigida e le paure di una parte degli allevatori di Coldiretti? Abbiamo visto che per ora l’offerta è su scala piccola, concentrata su prodotti trasformati, anche se la tecnologia evolve in fretta e le ambizioni sono grandi. Il settore, tra carne e pesce coltivati, ha ricevuto in tutto circa 3 miliardi di dollari di finanziamenti. Quanto potrà crescere questo mercato? È un’incognita. La carne vegetale sta vendendo meno: il sapore è buono, i prezzi sono ancora troppo alti. Ma vale la pena tentare. Miliardi di animali trascorrono vite miserevoli, spesso afflitte dal dolore. E poche attività umane emettono più gas serra dell’allevamento, per il quale vengono abbattute enormi aree di foresta. Il sistema non è molto efficiente: secondo uno studio pubblicato sulla rivista Science, i prodotti animali forniscono solo il 18% delle nostre calorie, utilizzando però l’83% dei terreni agricoli nel mondo. E sono responsabili anche di più della metà delle emissioni di gas serra del settore alimentare.