Città
Milano, il sindaco Beppe Sala finisce in rosso e va allo scontro con il governo Meloni
Il bilancio comunale è in crisi e stavolta il Covid non c’entra. Agli investimenti in trasporti non corrispondono i ricavi delle controllate più ricche come Sea e A2a. E nei quartieri della movida un dehors paga 800 all’anno, mentre sempre più poveri sono in fila per un pasto
Milano è diversa da Montecarlo per due motivi. Non c’è il mare ma ci sono i poveri. Basta passare da viale Toscana, sulla circonvallazione della funicolare, per vederli in fila a centinaia poco dopo le 11 davanti ai cancelli della onlus Pane quotidiano. Più della metà sono italiani costretti sulla difensiva da una città dove si passa da un aperisushi al nuovo ristorante fusion nippobrasiliano, da un bosco verticale a un’olimpiade invernale. Sono quelli rimasti indietro nella corsa della metropoli lombarda che, a sua volta, rischia di farsi staccare dal ritmo infernale di una bolla immobiliare in espansione infinita.
La città più ricca d’Italia dovrebbe quanto meno essere libera dagli affanni di bilancio che schiacciano Roma e Napoli. Non è così. Il sindaco Giuseppe Sala detto Beppe, già city manager ai tempi della giunta guidata da Letizia Brichetto Moratti, ha rilanciato l’allarme sui conti comunali negli scorsi giorni. Servono 50 milioni per evitare i tagli, ha detto il sindaco che ha accusato il governo di indifferenza verso la polis meneghina.
Rieletto a ottobre del 2021 sotto le bandiere del Pd con quasi 26 punti percentuali di vantaggio sul rivale di centrodestra Sala ha ancora ampi margini di consenso in una città che, mentre la Lombardia va alle urne, finora è rimasta sorda alle sirene leghiste e forse resisterà anche alla svolta meloniana. Questa è sicuramente una parte del problema. Le polemiche sulla sicurezza fra il sindaco e l’ex consigliere comunale di palazzo Marino e ora ministro Matteo Salvini sono, a loro volta, una sicurezza. Poi è intervenuto Vittorio Sgarbi, sottosegretario alla Cultura, che pretende di bloccare la demolizione dello stadio di San Siro contro il parere del suo stesso ministro, Gennaro Sangiuliano. Nella conferenza stampa di lunedì 6 febbraio, Sala ha attaccato l’esecutivo a tutto campo. «Io sto continuando a vedere ministri che passano da Milano e fanno grandi passerelle e fotografie. Ma a me di questo non interessa, non mi viene in tasca nulla».
La gestione delle finanze comporta un lavoro continuo, poco evidente, fra la giunta e il governo su un deficit che potrebbe invertire la ripresa del consolidato 2021, chiuso con 145 milioni di utile netto dopo il -102 della pandemia. In larga parte, è colpa di elettricità e gas, schizzati alle stelle per il conflitto ucraino lo scorso anno. La sola Atm, la società del trasporto pubblico, ha triplicato la bolletta da 50 a oltre 150 milioni di euro.
Poi ci sono le spese per investimenti infrastrutturali. La nuova linea blu, che ha inaugurato le prime stazioni lo scorso novembre, costerà 42 milioni di euro nel 2023 e altri 100 milioni per il biennio successivo, quando se ne prevede il completamento.
«Roma sbaglia a non investire su un’area urbana ad alta competitività e con questo governo i rapporti si stanno un po’ esasperando», dice l’assessora alla mobilità Arianna Censi. «Il fondo nazionale trasporti ci dà in cifra assoluta 2 milioni di euro in meno di quanto prendessimo undici anni fa. Nel frattempo, abbiamo costruito la linea 5 della metro e parte della linea 4. Venezia ha preso 19 milioni di euro senza comprare un mezzo nuovo. È vero che per il rinnovamento della flotta concorrono anche fondi Ue e del Pnrr ma poi bisogna adeguare i depositi e questo è a nostro carico. Il nostro sistema ogni giorno trasporta 1,3 milioni di passeggeri, quasi equivalenti all’intera popolazione residente e continuiamo a investire, nella misura di 50 milioni all’anno, a sostegno di chi è in difficoltà. È vero che dopo il Covid le presenze sui mezzi pubblici sono rimaste al di sotto del periodo pre-pandemico ma il vero motivo per cui Milano prima ce la faceva sono i dividendi delle partecipate».
La Sea, gli aeroporti di Linate e Malpensa controllati al 54,8 per cento dal Comune, ha smesso di spartire utili dall’esercizio 2018 e il bilancio 2021 della società segnala un debito verso gli azionisti per 85 milioni di dividendi straordinari non versati dal 2019. Il gettito di utili dalla multiutility dell’energia A2a, dove palazzo Marino ha il 25 per cento a pari quota con il comune di Brescia, è sceso. Atm è in deficit mentre MM, che gestisce le metropolitane e il patrimonio immobiliare dell’edilizia residenziale pubblica, presenta utili in discesa.
Ma non tutti sono d’accordo nell’addossare le responsabilità ai governi centrali. «Fare città costa», dice Paolo Pileri, urbanista e docente del Politecnico. «Pensare di trovare soldi attraverso nuovo consumo di suolo in affidamento ai privati è una strategia perdente. Si festeggia quando si incassano, una tantum, oneri di urbanizzazione per il 5 o il 10 per cento. Ma poi quei quartieri vanno gestiti con il denaro di tutti. Se si spendono centinaia di milioni di euro per una stazione della metro, la valorizzazione degli immobili dell’area non viene intercettata in alcuna misura dal Comune perché l’Imu della mia prima casa è uguale a quella del Bosco Verticale, benché la mia casa non valga 12 mila euro al metro quadrato. E poi ci sono i costi occulti, in larga parte scaricati sui comuni dell’hinterland, come quelli della logistica e dello stoccaggio merci al servizio dei consumi cittadini. Se i camion continuano a entrare, le strade avranno più bisogno di manutenzione. Se ci saranno deroghe all’ingresso dei diesel Euro 5 nell’area B in nome del car pooling, chi controllerà? Il nuovo stadio sarebbe un progetto privato ma poi bisogna spostare il sottopasso Patroclo con soldi pubblici. Ci vorrebbe un lavoro culturale sulla nuova fiscalità che il Comune non sta facendo».
Forzando sul paradosso si potrebbe dire che la soluzione al caro alloggi della città è vivere in un dehors. I tavolini apparsi nell’immediato post-Covid con l’incarico di rilanciare la città attaccata dalla pandemia sono passati da provvisori a fissi nell’80 per cento dei casi. Eppure i ricavi del Comune dalle attività all’aperto di bar e ristoranti farebbero arrossire il gestore di lidi più avaro. Mentre i concessionari balneari versano un minimo di 2500 euro all’anno nelle casse dello Stato per lavorare pochi mesi, i ricavi dei dehors hanno portato un massimo di 3 milioni di euro nel 2019. Per il 2023 si prevede che arrivino 2 milioni di euro. Significa che i 2400 locali con dehors, dei quali 1300 sono in zona centrale, pagano in media 830 euro all’anno. Per molti è l’incasso di qualche ora. Eppure è ancora troppo per l’opposizione di centrodestra che si è battuta per chiedere esenzioni totali fino a pochi mesi fa.
Senza contare che la coperta è corta. Più dehors significa qualche migliaio di posti macchina in meno e un calo dei ricavi da parcheggio. Così l’assessore al bilancio Emmanuel Conte, figlio dell’ex ministro craxiano Carmelo, punta sulle multe, da 232 a 251 milioni di euro, sulla tassa di soggiorno, da 35 a 55 milioni di euro, e sui tagli alle corse. Difficile che bastino. Solo i trasporti hanno fatto segnare un disavanzo di 220 milioni di euro e un -20 per cento di passeggeri che si tenta di recuperare in parte con l’aumento del biglietto a 2,20 euro, entrato in vigore a gennaio con parecchie polemiche. «È abbastanza chiaro», dice il consigliere comunale di centrosinistra Enrico Fedrighini, «che se aumenta il biglietto dei mezzi pubblici bisogna disincentivare l’uso del mezzo privato. Oggi l’ingresso nell’area C, che comprende la zona più ricca di Milano, costa 5 euro. Con due persone a bordo la macchina diventa competitiva». L’ipotesi di portare l’area C a 8,50 euro sarà messa in discussione a valle delle elezioni regionali con la prevedibile alzata di scudi delle associazioni di commercianti. Una volta erano loro a comandare a Milano. Adesso gli equilibri sono cambiati. Regnano le grandi immobiliari. Per chi non tiene il passo, c’è la fila da Pane Quotidiano.