Favorito per la riconferma, alla testa della sua lista civica si prepara a governare con Fratelli d’Italia. Mentre gli avversari di Pd e M5S sembrano aver gettato la spugna

La previsione è inquietante: «Fedriga vince e torna governatore, ma non sarà lo stesso Fedriga di prima. Sarà un altro». Un altro, lo stesso. Un Jorge Luis Borges triestino, quanto a natura politica. Così, sotto l’apparente calma dell’acquario friulano che torna a votare proprio questo 2 e 3 aprile, attorno all’iperfavorito Massimiliano Fedriga, governatore uscente e rientrante del Friuli Venezia Giulia, appassionato di acquari – semplici bocce coi pesci rossi quando era alle elementari, acquari marini tropicali da trecento litri quando andò a vivere da solo – attorno a lui s’avanza un nuovo modello di centrodestra. Quello che vede a dominare i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni nel ruolo di calamita, e attorno un turbinio, partiti in liquefazione che cercano la sopravvivenza in nuovi assetti, magari più agili, sagaci, civici.

 

Un modello nuovo fino a un certo punto, si capisce: anche se mai finora il partito del re era stato così più potente di tutti gli altri. Non c’è infatti neanche partita, tra Fedriga e il suo competitor, Massimo Moretuzzo, sostenuto da Pd e Cinque Stelle. «In giro i manifesti del centrosinistra non ci sono neanche, hanno rinunciato a fare campagna elettorale, e non è un bene per la democrazia», dice l’ex presidente Renzo Tondo, che pure sostiene Fedriga.

 

Sotto la superficie, assente la competizione tra schieramenti, siamo intanto all’autofagia: ci si mangia tra alleati, all’interno dei partiti stessi (non è un caso che in Forza Italia ci sia la corsa ai rifugi antiatomici, a pensarci) si lotta per stare aggrappati a quello che è l’unico punto fermo nell’accampamento variegato del centrodestra, i Fratelli appunto. I quali a loro volta in Friuli Venezia Giulia sono in piena espansione e riarticolazione: recuperati gli ex aennini tipo Roberto Menia, e i leghisti alla Leonardo Barberio passati a Fdi tra il 2019 e il 2020, adesso siamo al rastrellamento degli azzurri, tipo Stefano Balloch, già sindaco di Cividale e ora aspirante consigliere regionale; il tutto mentre dentro al partito di Giorgia Meloni si definiscono a colpi (non tanto) di fioretto i rapporti di forza tra la provincia di Pordenone, esponente di spicco il ministro Luca Ciriani, fratello del sindaco Alessandro, e la provincia di Udine, guidata da Walter Rizzetto, l’ex grillino il cui passaggio fu essenziale la scorsa legislatura per costruire il gruppo parlamentare di Fdi alla Camera.

 

Ed ecco il cuore della novità. Massimiliano Fedriga, 43 anni, leghista con la tessera da quando ne aveva 15 (lo autorizzarono i genitori), dieci anni alla Camera (gli ultimi 5 da capogruppo), lanciato alla guida del Friuli nel 2018 a furor di popolo - la leggenda narra che Matteo Salvini arrivando alla manifestazione per lanciare il promesso candidato (Renzo Tondo) trovò genti sopra i trattori che gridavano “vogliamo Massimiliano” e cambiò idea, cedendo in cambio la presidenza del Senato, che infatti andò ad Elisabetta Alberti Casellati - Fedriga, dicevamo, tanto è senza rivali nelle urne quanto non ha praticamente più nulla di strettamente legato al Carroccio di oggi.

 

Resta un leghista primigenio, sia chiaro, un enfant prodige sin dai tempi in cui alle medie scriveva su un tema che Giuseppe Garibaldi non sarebbe dovuto nascere (prese un’insufficienza). Però, anche a sbirciare tra i materiali di queste settimane di campagna elettorale, gli appuntamenti, i manifesti, le pubblicità per non parlare dei post su Facebook, è difficile arguire che si tratti proprio di un leghista.

 

Messa da parte da un pezzo la sua versione d’assalto, che rispunta giusto quando si tratta di parlare delle 54 fototrappole anti-migranti clandestini da disseminare nei boschi al confine con la Slovenia ufficialmente per fermare i «passeur» che sono gli scafisti della terra ferma, Fedriga infatti ormai somiglia e punta tutto sull’azzurro polvere della lista civica omonima che ha messo in campo, assai più di quanto non somigli al fedelissimo alla linea che pure fu. «Fedriga presidente», è la raccomandazione che spunta ovunque: di verde, nulla. Lontani i tempi in cui il Capitano, per lui che da bambino era appassionato di Masters of the universe, rappresentava una versione adulta del suo Skeletor personale, il cattivo col cappuccio, il suo preferito, quello che suo fratello Marco evocava per comandarlo («ogni volta che voleva farmi fare qualcosa mi diceva che lo ordinava Skeletor», ha raccontato nel suo libro di memorie, “Una storia semplice”). Il suo nome come candidato governatore era sotto l’Alberto da Giussano, ma il simbolo leghista per tutta la campagna elettorale non è comparso in alcuna parte dei social e delle manifestazioni del governatore. Certo, Matteo Salvini si è presentato agli appuntamenti per la campagna elettorale, non più spesso però di quanto abbia fatto Antonio Tajani. E soprattutto: il coordinatore forzista e Fedriga si parlano, mentre il capo della Lega pare abbia interrotto il collegamento diretto. Addirittura al punto di non rispondere ai messaggi.

 

Non che la cosa turbi più di tanto il governatore. Ottimista, prudente, smania del controllo, punta tutto su una lista che in realtà governa poco, che ha pochissimo a che vedere con la Lega e nella quale sono riversati personaggi della sua precedente civica, Progetto Fvg, che nel 2018 fu messa su dall’ex berlusconiano Ferruccio Saro facendo roteare avvocati, imprenditori e una selva di ex democristiani come Mauro di Bert. E che stavolta è finanziata dal fondatore ed ex assessore alle attività produttive in Regione Sergio Emidio Bini, ras delle cooperative sociali, il quale ha deciso di non candidarsi in prima persona ma di sostenere da fuori la formazione. Un altro dettaglio che ha innervosito Salvini.

 

C’è in effetti un punto interessante. Le precedenti elezioni regionali, 2018, riflettevano il pieno e incondizionato prevalere della Lega: prese il 34,9 per cento, mentre Forza Italia si fermò al 12,1 e Fratelli d’Italia al 5,4. Stavolta le percentuali si prevedono rovesciate, in armonia coi risultati delle elezioni politiche del 25 settembre, quando in regione Fratelli d’Italia toccò il 31,3 per cento, la Lega il 10,9, Forza Italia il 6,7.

 

Risultati che Salvini cerca di attenuare (come ha fatto in Lombardia) e che invece l’attivismo di Fedriga finisce per esaltare: più la sua civica è alta, più il Carroccio sarà basso. Il modello insomma sarebbe quello di Luca Zaia in Veneto, che ha radicato il suo potere al punto che la sua civica vale alle urne il 40 per cento. Un modello alla Cdu, che serve anche a convivere con Salvini, non potendo (ancora) liberarsi di lui.