Si sono lasciati così, con un certo rancore. Qualcuno per calcolo, altri per insofferenza. Per non continuare a farsi del male dicono, ma in fondo perché in politica ti si nota di più se vai e non resti in disparte. Il primo a sbattere la porta è stato Giuseppe Fioroni, senza pathos. Gli ultimi anni passati nel Partito Democratico con riserbo, forse troppo, tanto da essere scomparso per moltissimo tempo dalla mente degli elettori, quasi subito dopo essere scomparso dalla vista. «Io sono sempre stato uno con le valigie in mano e stavolta prendo atto che è arrivato il momento» ha detto lo storico dirigente della Margherita, tra i fondatori del Pd intervistato da Adnkronos: con la vittoria di Elly Schlein «nasce un nuovo soggetto che non è più il Pd che avevamo fondato e prendo atto della marginalizzazione dell'esperienza popolare e cattolico democratica».
«Sorprende soprattutto per la scoperta che Fioroni era ancora nel Pd», commentarono ironici al Nazareno. Al mantra della segretaria “Non ci hanno visto arrivare”, qualcuno oppose “non lo hanno visto andare via”.
Poi è arrivato il turno di Andrea Marcucci, toscano come Matteo Renzi, che si è sempre detto molto amico dell’ex presidente del consiglio, ma quando ha fondato il nuovo partito ha preferito restare nel Pd. O meglio fermarsi sul pianerottolo, in attesa che qualcuno lo inseguisse per dirgli: “Resta”. Non è successo. «Non rinnoverò la tessera del Pd per il 2023, il partito di Elly Schlein è molto lontano da quello che penso io». Ha annunciato sul proprio profilo Facebook «Mi pare che le anime liberaldemocratiche e popolari, siano già state confinate in retroguardia nel Pd – ha poi spiegato in un’intervista al Giornale -. Nel contempo non si può neanche dire che con Elly Schlein abbia trionfato un'identità socialdemocratica, ad ora mi sembra più un patchwork da assemblea studentesca».
Se ne va anche Enrico Borghi, senatore, ex vicepresidente dell’Anci per i comuni montani, percorso politico nella Dc e nel Ppi, poi nella Margherita e quindi nel Pd di rito lettiano. Si trasferisce in casa Renzi, dopo averlo tanto criticato («Il nuovo Ghino di Tacco, che lucrava sui viandanti da Radicofani», diceva). «Credo in un nuovo progetto riformista alternativo alla destra e distinto da questo Pd». Il partito di Elly Schlein gli sta stretto, dice: «È diventato la casa di una sinistra massimalista figlia della cancel culture americana che non fa sintesi e non dialoga». Borghi rompe e fa rumore ma più per il posto che occupa “abusivamente” secondo i dem: membro del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica non ha intenzione di lasciare solo di cambiare casacca, indossando quella di Italia Viva (anche il partito di Renzi è già rappresentato da Ettore Rosato). Il Pd ha infatti annunciato che porterà all’attenzione dei presidenti di Camera e Senato il fatto che il partito è sottorappresentato al Copasir.
«Il gruppo dei Socialisti e democratici nel tempo si è spostato sempre più a sinistra. Troppo, per me», dice invece ’europarlamentare Dem Caterina Chinnici, così meglio andare a destra, precisamente verso Forza Italia. Figlia del magistrato Rocco Chinnici ucciso da Cosa nostra, uno dei volti simbolo dell'antimafia, a sinistra ha sempre militato con un certo fastidio e ricambiata dicono nel suo ex partito. «Il mio disagio era del tutto evidente da tempo. A volte non prendevo parte alle votazioni per non essere costretta ad esprimermi in dissenso». Dice al Corriere della Sera, senza nascondere la delusione di fondo per la candidatura in veste Pd alla presidenza della Sicilia. «Altro elemento che mi ha portato a mettere in discussione la mia permanenza. Io da non iscritta avevo dato la mia disponibilità a correre, ma poi non ho avuto nemmeno il supporto di tutto il Pd». Adesso si unirà al al Ppe, nella delegazione di Forza Italia. «Sono stati importanti i contatti sia con Antonio Tajani sia con la mia amica Rita Dalla Chiesa». È politica questione di conoscenze, stile, amicizie.