La proposta è della forzista Ronzulli, dopo il caso di Giulia Tramontano ammazzata dal compagno al settimo mese di gravidanza. «Norma pericolosa e di cui non c’è bisogno. È una strategia pseudo-comunicativa: si strumentalizza un caso grave per minare un diritto delle donne»

Non è trascorso molto tempo da quanto annunciato da diversi rappresentanti del governo, dopo il femminicidio di Giulia Tramontano il 27 maggio scorso. Un caso di cronaca efferato che ha fatto discutere il paese per giorni per la sua crudeltà e per il fatto che la donna fosse incinta al settimo mese, uccisa da Alessandro Impagnatiello compagno e padre del bambino che stava per nascere.

 

Su questo aspetto Forza Italia, nella figura di Licia Ronzulli, ha presentato un disegno di legge per introdurre un nuovo reato, che riguardi proprio l’uccisione di una donna in stato di gravidanza, e inserendo la fattispecie di duplice omicidio: quello della donna e quello del feto, prevedendo una pena non inferiore ai trent’anni.

 

«Non c'è dubbio che si tratti di un duplice omicidio perché oltre a quella di Giulia è stata spezzata anche un'altra vita che al settimo mese di gravidanza avrebbe potuto nascere in qualsiasi momento - aveva detto la prima firmataria dopo il femminicidio - La contestazione dell'interruzione di gravidanza non consensuale non risponde alla realtà dei fatti». È infatti l’interruzione non consensuale di gravidanza il reato che potrebbe essere contestato ad Impagnatiello per l’uccisione di Thiago, il bimbo che doveva nascere.

 

Al di là della stretta giurisprudenza quello che molte femministe vedono in questo ddl è una messa in discussione dell’aborto, che potrebbe essere quindi equiparato a un omicidio, una strada che purtroppo è stata da tempo intrapresa in altri paesi che cercano di limitare l’interruzione di gravidanza. Ad esempio alcuni stati degli Stati Uniti, dove alcune donne sono in carcere per aver commesso l’omicidio del feto, anche in aborto spontaneo.

 

«In generale non mi sorprende tutto ciò, è la modalità ordinaria con cui si affrontano i femminicidi strumentalizzando per altre finalità un fenomeno grave e le questioni sociali e culturali sottese, questa volta con lo scopo poi di limitare l’aborto», spiega Ilaria Boiano, avvocata dell’associazione Differenza Donna, che su questo cita i noti manifesti affissi a Roma da CitizenGo con la dicitura: “L’aborto è la prima causa di femminicidio nel mondo”.

 

«Fa tutto parte di una strategia pseudo comunicativa che piega i fatti e i dati - continua Boiano -, ad esempio nel 2018 tutte le mozioni contro l’aborto si aprivano sostenendo che l’ivg sarebbe la causa di sei milioni di “bambini non nati”, un numero evocativo del genocidio nazista degli ebrei». Una strategia di lungo periodo quindi: «Una goccia cinese che alla fine modifica, prima della legge, la sua percezione sociale. La proposta di configurare il duplice omicidio nel caso di femminicidio di donna incinta, si inserisce in questa cornice discorsiva antiabortista».

 

In primis troviamo quella di Maurizio Gasparri per il riconoscimento giuridico del feto, che andrebbe a modificare l’articolo 1 del codice civile, che dice che il soggetto giuridico diventa tale solo dopo la nascita. Una proposta che il senatore di Forza Italia fa sua ad ogni legislatura. L’obiettivo è chiaro: far acquisire al feto tutti gli aspetti giuridici di un soggetto andrebbe a minare la ratio alla base della legge 194 sull’aborto e, come si diceva sopra, alla possibilità che una donna che interrompe la gravidanza possa essere accusata di omicidio.

 

«Il ddl Ronzulli cavalca l’onda di uno sdegno sociale giustificabile per la gravità dei fatti, ma che già trova piena corrispondenza e sanzione nel nostro codice penale, che prevede l’aggravante per maltrattamenti, stalking e lesioni quando una donna è incinta. Questo perché la violenza si aggrava e aumenta quando una donna è in stato di gravidanza. Non serve un nuovo reato. L’obiettivo è strumentalizzare, non interessa la violenza sulle donne, ma si vuole colpire l’aborto con leggi draconiane», conclude Boiano. Impagnatiello, se si applicassero tutti gli elementi aggravanti, rischierebbe l’ergastolo già in primo grado, anche in abbreviato. Il diritto su questo sembra dare già una risposta chiara di condanna alla violenza, quello che invece manca è una discussione sull’origine di questa violenza che metta al centro gli uomini.

 

Se le intenzioni del governo appaiono chiare, fare propaganda anti-choice su un caso di cronaca, c’è chi vuole andare oltre il discorso politico, pur mantenendo una chiave di lettura femminista e di difesa dell’aborto. Lo fa Silvia Niccolai, ordinaria di Diritto Costituzionale all’Università di Cagliari: «Preso atto che è una norma pericolosa e di cui non c’è bisogno, l’impostazione su cui nasce l’aborto è quella di mettere l’uno contro l’altro l’embrione e la donna, dando a quest’ultima l’immunità ad esempio dall’accusa di omicidio e bilanciando i diritti di entrambi, ad esempio quello dell’embrione alla vita, ponendo il limite dei tre mesi per accedere all’interruzione di gravidanza. Ma si può fare un passo avanti, quando la donna ha accettato la gravidanza farà una differenza o no?».

 

Su questo la docente cita un caso del 2004 portato alla Corte europea di Strasburgo, dove un ginecologo francese, dopo aver confuso i cognomi di due sue pazienti cinesi, ha provocato l’aborto a una delle due, pensando di doverle togliere la spirale contraccettiva. La donna ha portato il caso alla Cedu, chiedendo riconosciuto l’omicidio del feto, ormai al sesto mese. La Corte ha rigettato la richiesta anche perché in Francia questa fattispecie non è riconosciuta, proprio come in Italia, e “perché teme che una decisione in tal senso possa refluire negativamente sulle legislazioni nazionali che consentono l’aborto, offrendo argomenti in favore di quanti sostengono che il concepito è una “vita”.

 

«Siccome sempre di una vita potenziale si tratta, se non si può dire che un aborto volontario è uccidere una vita, allora non si può dire nemmeno che un aborto provocato è uccidere una vita. Ovverosia, che un aborto voluto dalla donna e un aborto subíto dalla donna sono la stessa cosa. Non credo che si possa non avvertire l’ingiustizia sostanziale di questa decisione», ragiona Niccolai, pur ammettendo che le intenzioni del governo sono quelle di minare l’aborto.

 

«Politicamente non ha senso stare nella sussistenza della destra, perché si gioca sempre al ribasso. Possiamo rilanciare e meglio. Se io con la mia gravidanza ho accettato la chance di vita e un uomo mi uccide sapendo che sono incinta, l’offesa che subisco deve tener conto di questo: l’uomo non ha solo provocato l’aborto, ma ha contraddetto la mia libertà di scegliere di essere madre, libertà che posso comunque rivendicare proprio grazie alla 194, che mi permette allo stesso tempo di non dover subire una gravidanza contro la mia volontà».

 

Per Niccolai il timore che possa essere toccata la legge sull’aborto ha senso, ma può essere motivo per aprire una discussione, magari non parlando di omicidio, ma uscendo da posizioni nette e contrapposte e riconoscendo la primazia delle donne sul generare: «Come femministe dovremmo essere libere dalla subalternità della destra che ci detta l’agenda».