Inchieste
Chi dice no a trivelle e gasdotti
Perforazioni a largo del Delta del Po. Nuovi impianti nella valle di Sulmona. I programmi sul metano mettono in allarme gli abitanti di territori ad alto rischio ambientale
Dopo un’intensa giornata di lavoro vengo ancora qui. Questo posto è magico, mi dà pace», racconta Niky Penini, guida naturalistica, mentre conduce la sua barca tra i canneti della laguna fino alla Sacca degli Scardovari nel comune di Porto Tolle, parte del Delta del Po veneto. Si ferma nei pressi di un’antica risaia, ora sommersa; al crepuscolo domina la calma, si sente solo lo stormire dei fenicotteri che beccheggiano sui fondali poco profondi. «Questa era una zona agricola, bonificata prima della Seconda guerra mondiale, ma abbandonata già negli anni ’50, quando se l’è ripresa il mare», spiega Penini. Quest’area dai terreni sabbiosi, infatti, è incline alla subsidenza, ovvero l’abbassamento progressivo del suolo, che ha acquisito una portata drammatica a seguito delle estrazioni di gas metano iniziate negli anni ’30 ed è stata la causa della loro interruzione nei primi anni ’60. In solo tre decenni si era arrivati ad aprire quasi 1.500 pozzi in tutto il Polesine. Niky Penini ha fatto il pescatore tutta la vita, come la sua famiglia da generazioni. Dopo l’infestazione del granchio blu - che ha ridotto la produzione di vongole del 70 per cento - come molti altri, Penini ha dovuto lasciare il settore, e adesso lavora in un’azienda di tende. Ora questo ecosistema così fragile è sottoposto di nuovo alla minaccia delle estrazioni di gas. Con il Decreto Energia del febbraio 2024 il Governo Meloni ha confermato in via definitiva lo sblocco dei giacimenti di metano al largo del Delta del Po, riducendo da 12 a 9 miglia (16,6 chilometri) la distanza dalla costa. Nuove estrazioni di gas dovrebbero contribuire all’obiettivo di trasformare l’Italia nell’«hub europeo del gas», in seguito all’invasione dell’Ucraina e al tentativo di allontanarsi dal gas russo. Nel Decreto Energia sono previsti anche il raddoppio della Tap (Gasdotto Transadriatico che porta il gas dall’Azerbaigian alla Puglia), la Linea Adriatica, un nuovo gasdotto che dovrebbe attraversare la Penisola, e dei rigassificatori. Questa spinta è in contrasto con gli obiettivi del Green Deal europeo: ridurre le emissioni di gas serra del 55 per cento entro il 2030 e azzerarle entro il 2050. Il gas metano è circa 80 volte più climalterante della CO2. In Veneto, la voce dell’opposizione alle nuove trivellazioni è compatta, dalla società civile all’amministrazione locale e regionale, capeggiata dal presidente Luca Zaia. Nel novembre 2023 la Regione ha reso noto lo studio di un gruppo interdisciplinare di esperti che denuncia l’impatto negativo delle attività estrattive per l’ecosistema marino del Polesine e del Delta del Po. «Parliamo di un territorio con un’economia legata all’acquacoltura e alla pesca, che è già stata messa in ginocchio dal granchio blu», spiega Francesco Musco, uno degli autori dello studio e professore ordinario di Pianificazione del Territorio e dell’Ambiente all’Università Iuav di Venezia. «Negli ultimi decenni è stato fatto un percorso per promuovere la sostenibilità e il turismo naturalistico». Le estrazioni potrebbero mettere a repentaglio questi miglioramenti. Senza contare il rischio di un peggioramento della subsidenza, che ha portato a un abbassamento del suolo di circa 3,5 metri. Ad oggi Porto Tolle si trova a quasi 4 metri sotto il livello del mare. «Il ricordo del dramma della subsidenza è ancora vivo nella memoria collettiva», racconta Vanni Destro, attivista ambientalista impegnato nella lotta contro le nuove trivellazioni, che conosce questo territorio come le sue tasche. Al largo della località di Pila, si delinea uno dei luoghi più emblematici di quel periodo: «È l’isola di Batteria, dove un tempo si trovavano coltivazioni di riso e cereali, sommersa nel 1957 da una grande mareggiata che l’abbassamento del terreno non è riuscito a contenere», continua Destro.
«Mi sembra ancora di vedere la gente che lavorava lì, anche mio padre ci lavorava quando ero bambino, saranno state 1.400 persone», ricorda un pescatore. Dalla sua barca osserva ciò che ne rimane: lo scheletro di qualche costruzione ormai fa da rifugio solo agli uccelli. «L’isola di Batteria è l’esempio in scala 1-1 di quello che sarebbe potuto succedere a tutto il territorio se non si fosse intervenuti per tempo», spiega Giancarlo Mantovani, presidente del Consorzio di Bonifica del Delta del Po, ancora oggi punteggiato dall’archeologia estrattiva: pozzi chiusi, fabbricati per lo stoccaggio e magazzini abbandonati. A fine novembre il Tar del Lazio ha accolto i ricorsi che chiedevano il blocco delle attività attorno alla piattaforma Teodorico. Le Ong si dicono soddisfatte e sperano che questa decisione crei un precedente anche per le altre attività estrattive nel Po veneto. Mentre nel Parco del Delta del Po la possibilità di nuove estrazioni rimane per ora sulla carta, in un altro luogo incontaminato della Penisola l’opposizione delle comunità e delle municipalità non è bastata a fermare un progetto con potenziali impatti devastanti. A Sulmona, nella Valle Peligna abruzzese, i lavori per la centrale di compressione lungo il nuovo gasdotto Linea Adriatica sono iniziati a settembre 2024 e avanzano velocemente. Questo gasdotto di 425 chilometri servirebbe a trasportare 10 miliardi di metri cubi di gas in più dalla Puglia, dove arriva la Tap, fino a Minerbio in Emilia-Romagna, ed è stato ideato nel lontano 2004. Dopo anni di stallo, il progetto è stato scongelato da Snam per rispettare le tempistiche dei fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), 375 milioni su 2,5 miliardi totali per il gasdotto, vincolate alla chiusura dei lavori entro agosto 2026.
A pochi chilometri dal cancello del cantiere della nuova centrale, si staglia il Monte Morrone, habitat dell’orso marsicano, specie protetta a forte rischio di estinzione, che ha come corridoio di passaggio proprio questa vallata. Questa conca verdeggiante è abitata da millenni, conserva i reperti archeologici dell’età del bronzo ed è abbracciata dalle montagne del Parco Nazionale della Maiella. «Questa è una valle chiusa e tutte le sostanze inquinanti ristagneranno nell’atmosfera e inquineranno acqua e suolo», denuncia Mario Pizzola, attivista del comitato No Hub del Gas Sulmona. Ma non solo: Sulmona è classificata in zona sismica 1, il livello di sismicità più elevato. La sua storia è puntellata da terremoti che hanno continuamente riconfigurato il territorio, oggi a forte rischio di spopolamento. Interrogata da L’Espresso, Snam afferma che i suoi impianti sono progettati sulla base delle norme internazionali «che garantiscono l’esercizio in condizioni di massima sicurezza, anche in presenza di eventi sismici. Snam in particolare effettua gli studi [...] volti a definire la risposta sismica locale di dettaglio delle aree attraversate, nell’ottica di individuare le soluzioni costruttive più idonee». Ma, come nota il geologo Francesco Aucone, «gli studi sono stati effettuati solo nell’area della centrale di compressione di Sulmona e sottovalutano di molto il rischio sismico». Anche l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia ha criticato gli studi di Snam (Rapporto Accordo Operativo 2018 Ingv-Mise.Dgsaie - Versione 10), tanto da spingere il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, a incaricare lo stesso Ingv di effettuare nuovi studi. Inoltre, il Presidente dell’Ingv Carlo Doglioni ha dichiarato a Presa Diretta che gli studi di dettaglio non sono ancora stati effettuati per tutti i cinque tratti del gasdotto e tali valutazioni non saranno pronte prima di due anni.
«Noi non ci fermiamo», continua Pizzola mentre perlustra il perimetro della centrale dove si reca molto spesso per controllare lo stato di avanzamento dei lavori. «Agricoltura e turismo sono la ricchezza del nostro territorio e saranno danneggiate dalla centrale. Non porterà opportunità di lavoro e i giovani continueranno ad andarsene. Quest’opera non serve: i dati sul consumo del gas ci dicono che le infrastrutture presenti nel Paese sono già abbastanza». Francesca Andreolli del think tank energetico Ecco spiega che «la Linea Adriatica sarebbe necessaria solo se la domanda di gas rimanesse ai livelli del 2023. Ma questo scenario è altamente improbabile». Il consumo di gas in Italia, infatti, è passato da una media di 73.366 miliardi di metri cubi tra il 2016 e il 2021 a 61.520 miliardi nel 2023, toccando il punto più basso negli ultimi vent’anni. «La diminuzione è costante a causa della crescita delle rinnovabili e dell’elettrificazione dei consumi, in Italia come in Europa», continua Andreolli. Anche la speranza di importare più gas per esportarlo nel resto d’Europa risulta poco fondata. «Anche gli altri Paesi si sono dotati di simili infrastrutture e sono stati più veloci di noi», commenta Filippo Taglieri di Recommon, associazione attiva nella promozione della giustizia sociale e ambientale. Un’opera, quindi, che secondo gli esperti rischierebbe di venire sottoutilizzata, a fronte di spese enormi. «Snam ha tutto l’interesse a realizzare il gasdotto, anche se dovesse essere dismesso subito», aggiunge Taglieri, poiché Snam riceverà comunque delle entrate fisse da Arera, l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, anche in caso di scarso o mancato utilizzo, dal momento che l’opera è considerata come servizio pubblico. Secondo le previsioni ministeriali le nuove trivellazioni nell’Alto Adriatico dovrebbero contribuire alla produzione nazionale di gas, per un valore complessivo di circa 10 miliardi di metri cubi in 15 anni: a fronte di enormi rischi per l’ecosistema e le comunità, si tratta di numeri esigui. «Il gas estratto nell’Alto Adriatico coprirebbe l’equivalente di circa un anno del fabbisogno nazionale», conferma Andreolli. Mentre rimane in dubbio la reale utilità di queste opere, ciò che è sicuro è il loro grande impatto ambientale e la tensione sociale che stanno già creando.
Questo articolo è stato realizzato con il contributo di Journalism Fund Europe
“Io preciso che” - La replica di SNAM
Gentile Direttore,
con riferimento all’articolo “Chi dice no a trivelle e gasdotti”, pubblicato su L’Espresso il 6 dicembre 2024, Snam intende precisare quanto segue.
A fronte di una ricostruzione che restituisce solo in minima parte, e non del tutto correttamente, lenumerose informazioni veicolate in riscontro a una generica richiesta pervenuta mesi fa da parte delle giornaliste firmatarie dell’articolo, non possiamo che ribadire d’aver già dato ampie e dettagliate risposte alle domande e alle perplessità sollevate, senza che a queste sia stato dato un rilievo sufficiente. Siamo quindi gentilmente a chiedere che ai lettori dell’Espresso venga data la possibilità di consultare, quantomeno online e con particolare riferimento al progetto LineaAdriatica, il dossier fornito a questo esatto scopo, che potete trovare riassunto qui di seguito. Grato per la sua attenzione, le porgo i miei più cordiali saluti.