Elezioni in Abruzzo

La vittoria del centrodestra in Abruzzo è il segno che il campo largo è ancora un rebus

di Susanna Turco   11 marzo 2024

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All'ombra di Marco Marsilio si rafforzano i partiti di governo: FdI primo, sale FI, tiene anche la Lega. Nel centrosinistra bene il Pd, male i Cinque stelle, ma l'opposizione non riesce a mobilitare in misura sufficiente nonostante gli sforzi della campagna elettorale. E ora tocca alla Basilicata

Per il centrodestra è un successo a tutto tondo. Nel centrosinistra, dove il Pd sale e i Cinque stelle scendono, il campo largo è ancora lontano dal tempo del raccolto: «Bene, va coltivato ancora», dice Romano Prodi. Finisce 53, 5 a 46,5 per l’uscente Marco Marsilio il voto in Abruzzo che per due settimane, dopo la vittoria di Alessandra Todde in Sardegna, aveva fatto ipotizzare l’inizio di un’onda dall’opposizione in grado di far tremare il governo. Niente di tutto ciò: di qua resta la muraglia cinese di un centrodestra che alla fine si puntella, di là si raccolgono buoni segnali di un’attesa che però si prospetta ancora lunga (e intanto regala sconfitte).

 

Insomma il titolo del “Manifesto” era ottimista: non è vero che “Ci vorrebbe un D‘Amico” per il campo largo. O, per lo meno, un D’Amico non basta. Così come non basta, al centrosinistra, presentarsi con tutte le carte in regola: l’attenzione nazionale, un’alleanza unitaria, un buon candidato. ll rettore dell’università di Teramo prende infatti un punto percentuale in più (1,3 per cento) delle liste che lo sostengono: sono 22 mila voti, non abbastanza per fare il ribaltone, tanto più in una regione dove a differenza della Sardegna non c’è il voto disgiunto (Todde ne aveva raccolti +40 mila). Non è in effetti una questione di volti, o di nomi. Anche Marco Marsilio, il governatore riconfermato, prende circa undicimila voti meno delle liste che lo sostengono: ma neanche questo fa la differenza.

 

Il punto è invece la forza dei partiti, e un elettorato che l’opposizione non riesce a mobilitare in misura sufficiente nonostante la politicizzazione e gli sforzi della campagna elettorale. Per il centrodestra è un successo a 360 gradi. Va bene tutta la coalizione di governo, Fdi è primo partito al 24,1, Forza Italia addirittura al 13,44 (+3 punti percentuali rispetto alle politiche 2022, + 5 rispetto alle regionali 2019). Persino la Lega di Matteo Salvini può dire di aver mantenuto i risultati delle politiche 2022: ha preso il 7,56 per cento, un anno e mezzo fa era all’8 (alle regionali 2019 al 27,5).

 

Dall’altra parte a far notizia è il raddoppio del Pd, che è secondo partito e arriva al 20,3 per cento (nel 2019 era all’11, alle politiche al 16 per cento). E il crollo del Cinque stelle: dal 19,7 per cento del 2019 (118 mila voti), al 7 per cento di oggi (40 mila voti), il partito di Giuseppe Conte perde due voti su tre. Anche rispetto alle politiche 2022, quando aveva totalizzato il 18,5 per cento (115 mila voti). Dove saranno andati a finire? C’è in ogni caso una forbice che si allarga pericolosamente, tra i primi due partiti di quella che dovrebbe essere l’alleanza dell’opposizione. E il bilancio si fa ancora più grave se a questo si somma il risultato smilzo dell’area moderata dei Renzi e Calenda; Azione fa il 4, i Riformisti il 2,8. Come a dire che neanche questa offerta convince l’elettorato potenziale del centrosinistra, che dunque si rifugia ancora nel non voto. Un rebus che viene consegnato in mano ai leader, che a brevissimo dovranno decidere con chi e come presentarsi in Basilicata: la soluzione non era stata trovata prima del voto abruzzese, e adesso si prospetta ancora più complicata.