Il commento
La solita minestra (elettorale) del "pericolo migranti"
L’estrema destra agita le sue parole d'ordine per raccogliere consensi senza mai dare soluzioni sensate. Perché siamo in campagna elettorale permanente
L’«usato sicuro». Si potrebbe chiamare in questo modo la tematica dell’immigrazione per le varie destre populiste, a ogni latitudine d’Europa. Specialmente in quel laboratorio permanente di creazione di nuovi populismi che è, ormai da un secolo e mezzo, l’Italia. Anche a dispetto dei dati è sempre lì, infatti, che insiste la comunicazione dei partiti di destra; e in materia, peraltro, la lingua batte dove il dente duole, dal momento che alcuni dei picchi negli sbarchi si sono verificati proprio sotto il governo Meloni, senza dare quindi seguito alle ripetute (e mirabolanti) dichiarazioni di averli fermati. D’altronde, come noto, la realtà ha una sua consistenza e una sua “cocciutaggine” incoercibili, ed è molto più complessa delle semplicistiche promesse di problem-solving che i populisti immancabilmente agitano in chiave elettoralistica.
Se il centrosinistra chiede da tempo il superamento totale della legge Bossi-Fini (entrata in vigore nel 2002, «un’era geologico-politica» fa) e la creazione di un sistema europeo di gestione dei flussi migratori, il destracentro ribadisce a ogni piè sospinto un approccio di tipo sicuritario ed «eccezionale». Giustappunto perché l’emergenza rende parecchio in termini di consenso e sostegno (ancorché coatto). E se i numeri degli aspetti più critici dell’immigrazione risultano minori di quanto viene sostenuto dallo storytelling populista, si può tranquillamente lavorare sulla percezione per allargarli; e qui sta pure una severa lezione per la sinistra che, per contro, tende a volte a liquidare le percezioni, sulla base delle quali (e dei bias cognitivi) gli individui fondano spesso le loro scelte di voto, con un eccesso di sufficienza.
Il «pericolo migratorio» si rivela, pertanto, una minestra (elettorale) riscaldata che ha il vantaggio, per chi la propone, di essere (pre)cotta e mangiata in quattro e quattr’otto. Si tratta di un issue tipicamente interpretabile secondo la legge della domanda e dell’offerta politiche. Sotto il profilo della domanda, raccoglie le paure di riduzione dello status e del reddito dei settori popolari e dei ceti medi che sentono di scivolare più in basso nella scala sociale, al pari delle inquietudini riguardo la «contaminazione» e il «meticciato» delle società complesse e multiculturali. Dal punto di vista dell’offerta, le destre populiste (ed estreme e radicali) stanno infatti cavalcando da tempo una certa versione della politica dell’identità e rigettano i valori liberali e quelli del pluralismo – adottati dai progressisti – presentandosi quali campionesse della «tradizione».
Nello schema della campagna elettorale permanente, applicato in maniera particolarmente marcata proprio dai leader populisti, la concezione repressiva delle politiche migratorie costituisce, dunque, un combustibile perfetto (e poco costoso). E si inquadra nel paradigma più generale della sicurezza quale dimensione identitaria delle destre, che l’esecutivo Meloni sta riproponendo in ogni occasione, e in maniera tanto più intensa, come surrogato simbolico rispetto alle difficoltà di realizzare policies concrete, soddisfacenti ed efficienti. Dalla sanità all’occupazione. E l’«annuncite» di maggiore sicurezza, per l’appunto, paga sempre, come mostra pure la vittoria del destracentro nelle Regionali dell’Abruzzo.