Fuoriluogo

«L'Europa ritrovi la via indicata dal Manifesto di Ventotene. O sarà la fine di un sogno»

di Franco Corleone   26 marzo 2024

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Ottanta anni dopo il testo di Spinelli e Rossi, la guerra e il militarismo, il nazionalismo e il razzismo mostrano la necessità di una riforma delle istituzioni dell’Unione nel solco dei valori antifascisti. O non resterà altro che un'impalcatura burocratica

Il 9 giugno, in coincidenza con la ricorrenza dell’assassinio di Giacomo Matteotti compiuto da sicari fascisti cento anni fa, si terranno le elezioni per il Parlamento europeo. Sarà una prova decisiva per la tenuta delle istituzioni dell’Unione che ha bisogno di una profonda riforma, altrimenti sarà la fine di un sogno e sopravviverà solo un’impalcatura burocratica.

 

Per i federalisti il riferimento è stato sempre il Manifesto di Ventotene per il fascino che emanava una proposta avveniristica nata tra un gruppo di antifascisti al confino. Il testo attribuito ad Altiero Spinelli e a Ernesto Rossi era nato da una discussione con Eugenio Colorni e il contributo di Ursula Hirschmann, Dino Roberto, Enrico Giussani, Giorgio Braccialarghe, Arturo Buleghin e Milos Lokat che costituiranno la “mensa federalista” (i confinati si ritrovavano per appartenenza politica anche a tavola). Il titolo originale era “Per un’Europa libera e unita. Progetto d’un manifesto” ed era composto da tre capitoli: I. La crisi della civiltà moderna; II. Compiti del dopoguerra. L’unità europea; III. Compiti del dopoguerra. La riforma della società. Fu pubblicato a Roma nel gennaio 1944 con il titolo “Problemi della Federazione Europea” con la prefazione, non firmata, di Eugenio Colorni e con le iniziali A.S. e E.R. come autori.

 

È davvero stupefacente che un gruppo di militanti politici e antifascisti imprigionati in un’isola in piena guerra, con il nazismo che occupava uno dopo l’altro tutti i Paesi europei, ripensassero criticamente il passato e individuassero una idea nuova, quella dell’ordinamento federale del continente come priorità assoluta.

 

Colorni sottolineava che questo ideale che poteva apparire «lontana utopia ancora qualche anno fa», rappresentava invece un’impellente, tragica necessità proprio per le caratteristiche e le conseguenze della guerra mondiale, dal rimescolamento di popoli provocato dall’occupazione tedesca alla ricostruzione dell’economia distrutta, dai confini politici alle minoranze etniche. Stabiliva i punti essenziali di una libera Federazione Europea elaborati da un Movimento che aveva operato nella clandestinità sotto l’oppressione fascista e nazista e impegnato nella lotta armata per la libertà: esercito unico federale, unità monetaria, abolizione delle barriere doganali e delle limitazioni all’emigrazione tra gli Stati appartenenti alla Federazione, rappresentanza diretta dei cittadini ai consessi federali, politica estera unica.

 

Il terzo capitolo, scritto da Ernesto Rossi è assai intrigante perché poneva i temi che saranno al centro della sua attività nella Repubblica, dalla lotta ai monopoli alla cancellazione del Concordato, dalla abolizione della miseria alla distruzione del baraccone del corporativismo. Nel maggio 1944 Ernesto Rossi pubblicava a Lugano con la firma Storeno un volume, “Gli Stati Uniti d’Europa”, come primo quaderno delle Nuove edizioni di Capolago, con la dedica a «Leone Ginzburg e a Eugenio Colorni, capi del Movimento Federalista Europeo in Italia che durante l’occupazione tedesca di Roma, hanno fatto olocausto della loro vita per la nascita della nuova Europa».

 

Ottanta anni dopo, la guerra in Ucraina e il militarismo, l’allargamento a nuovi Paesi, il nazionalismo e il razzismo, indicano la via da percorrere non facile, né sicura.