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«Il governo Meloni si ispira agli Stati illiberali. Le proposte su premierato e fisco lo dimostrano»
L'esecutivo rivela la sua natura nelle riforme in materia di imposte, che strizzano l'occhio agli evasori e agevolano le frodi. E nell’esaltazione per il nuovo assetto costituzionale
La dichiarazione della premier Giorgia Meloni – «non penso e non dirò mai che le tasse sono una cosa bellissima; sono bellissime le donazioni e non i prelievi imposti per legge» – contrasta con la precipua funzione dello Stato. Bastano le parole di Antonio De Viti De Marco, un grande economista, per confutare detta dichiarazione: «Lo Stato è un fattore della produzione e l’imposta è la remunerazione dei servizi che esso rende» (“Lezioni di Scienza delle finanze” di Sergio Steve, pag. 283). I contribuenti, pertanto, non sono chiamati a pagare il medesimo importo dell’imposta sui redditi, bensì a pagare una somma di denaro che renda uguale e proporzionato il sacrificio dell’uno rispetto all’altro.
È sulla base di questa realtà che vanno valutate le proposte sia sul trattamento fiscale delle partite Iva sia sul riordino dei testi unici in materia tributaria.
La possibilità per le partite Iva che si trovino in «comprovate difficoltà economiche» di ottenere una rateizzazione fino a 120 rate mensili (10 anni) per il pagamento delle imposte, pur non essendo un vero e proprio condono, strizza l’occhio a quegli elettori che evitano coscientemente di pagare multe e imposte, sapendo che, prima o poi, il legislatore interverrà per attenuare o cassare le pendenze. Va nella stessa direzione lo stralcio delle cartelle inesigibili dopo cinque anni, il cui ammontare ha raggiunto la cifra di 1.200 miliardi di euro, di cui 100 incassabili. Un’operazione che alleggerisce il lavoro dell’Agenzia delle Entrate, ma che getta un’altra ombra sulla disparità di trattamento che il governo riserva ai contribuenti che rispettano lo Stato, pagando regolarmente le imposte.
Queste proposte, caratterizzate, da un lato, dalle «comprovate difficoltà economiche» e, dall’altro, «dall’inesigibilità della riscossione dei tributi dopo cinque anni», data la difficoltà nell’interpretazione oggettiva, salvo casi lapalissiani, sono un chiaro ammiccamento verso quei contribuenti che aggirano il pagamento delle imposte.
Il riordino accennato di oltre 3.000 disposizioni normative che regolano l’azione dell’Agenzia delle Entrate costituisce un punto di partenza essenziale per addivenire alla semplificazione della legislazione fiscale. È previsto, infatti, di riunificare in nove testi unici il sistema delle imposte sui redditi relative agli adempimenti e all’accertamento, all’Iva, all’imposta di registro, ai tributi erariali, alla giustizia tributaria e alle sanzioni tributarie. La semplificazione proposta non sembra, però, possa incidere sul «nocciolo politico» della questione. Al riguardo Luigi Einaudi sosteneva che «all’errore della legge tributaria fa contrappeso la frode fiscale. Chi non vuole la frode non deve volere l’errore».
Il governo, passo dopo passo, si allontana sempre più dalle regole dello Stato liberale. La materia fiscale ne è una controprova. Le proposte non possono essere definite liberali in quanto tendono ad agevolare le frodi fiscali, che invece gli Stati liberali perseguono duramente. In America i contribuenti temono l’infedeltà fiscale. Al Capone fu sconfitto per i reati fiscali, ad esempio, non per quelli di sangue. La democrazia liberale non sembra essere il principio costitutivo del governo della premier Meloni, altrimenti non si esalterebbe con la bandiera del premierato.