Analisi

Europee, soffia il vento di destra ma la «maggioranza Ursula» regge

di Chiara Sgreccia   10 giugno 2024

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Ursula von der Leyen

Il Parlamento europeo si sposta verso Ecr e Id. Non abbastanza, però, da permettere loro di governare a scapito dell’Alleanza progressista

«Abbiamo vinto», ha commentato la presidente della Commissione Europa Ursula von der Leyen poco dopo che sono stati diffusi i primi exit poll dalla Germania sui risultati delle elezioni europee nella notte tra il 9 e il 10 giugno: «Costruiremo un bastione contro gli estremisti al Parlamento». La «maggioranza Ursula», infatti - cioè quella formata dal Partito popolare europeo (Ppe), i Socialisti e Democratici (S&D) e Renew Europe che ha guidato il parlamento di Strasburgo/Bruxelles nella scorsa legislatura - ha i numeri per reggere: 186 al Ppe, 135 S&D, 79 Renew, per un totale di 400 seggi, secondo i risultati ancora provvisori (per avere la maggioranza assoluta ne servono 361). Anche se le alleanze tra i partiti devono ancora essere formalizzate e resta l’incognita di che cosa ne sarà di coloro che non sono ancora iscritti in nessuno dei 7 principali gruppi.

 

A perdere i voti sono stati soprattutto i liberali e verdi che da quarto gruppo dell’Europarlamento diventano il sesto, sorpassati dai Conservatori e Riformisti Europei, Ecr, (73 seggi) e da Identità e democrazia, Id, (58) che beneficia del grande successo del Rassemblement National di Marine Le Pen e del giovane presidente Jordan Bardella in Francia, dove Emmanuel Macron dopo che la coalizione che guida, Renaissance, ha ottenuto quasi 18 punti in meno rispetto al Rassemblement National, ha annunciato lo scioglimento del parlamento e nuove elezioni legislative per il prossimo 30 giugno.

 

Ma le destre estreme non trionfano solo in Francia. In Austria, il Partito della Libertà (FPÖ), è il primo del Paese con il 25,7 per cento dei voti. In Italia, Fratelli di Italia è stato quello più votato, con il 28,83 per cento e la possibilità di inviare al parlamento 24 deputati. Seguito dal Pd al 24 per cento. In Germania l’Afd è arrivato secondo, superando il 15 per percento dei voti. (Primo è l’Unione Cristiano-Democratica, CDU, di centrodestra). I suoi eurodeputati però, per adesso, non potranno entrare a far parte di Id, vista l’espulsione dopo le frasi controverse sulle SS dette dal membro del Parlamento europeo Maximilian Krah, di Afd. Aprendo così alla possibilità che i partiti di estrema destra creino un nuovo gruppo europeo ultranazionalista, euroscettico e filorusso

 

Nei Paesi Bassi, invece, al contrario delle aspettative, il gruppo di destra estrema, Partito delle libertà (il cui leader è Geert Wilders che guida il paese da pochi mesi) è arrivato secondo. A vincere è stata una colazione formata da Sinistra verde e dal Partito del lavoro che ha guadagnato 8 seggi al Parlamento Europeo. Anche in Finlandia e Danimarca i partiti di sinistra hanno preso più voti degli altri, al contrario di quanto prevedevano i sondaggi.

 

In Belgio dove si sono svolte sia le elezioni europee sia le politiche, il primo ministro Alexander De Croo ha annunciato le dimissioni nella serata del 9 giugno: «Domani sarò un primo ministro dimissionario e mi concentrerò sulla gestione degli affari correnti» ha detto senza riuscire a trattenere le lacrime poco dopo la chiusura dei seggi, visto il crollo del suo partito liberale, che ha ottenuto il 5,9 per cento dei consensi.

 

In Spagna, dopo una campagna elettorale molto movimentata, al primo posto è arrivato il Partito Popolare (PP), di centrodestra, con il 34,2 per cento dei voti. Segue il Partito Socialista (PSOE) del primo ministro Pedro Sánchez, in calo rispetto al 2019. Al terzo posto il partito di estrema destra Vox con il 9,6 per cento dei voti.

 

Nonostante l’exploit, quindi, i dati confermano che le destre non hanno i numeri per governare il Parlamento europeo, neppure se alleate con il Ppe a scapito dell’Alleanza progressista e liberale. Conquisterebbero in totale 315 seggi su 720. La maggioranza che supporta l’attuale presidente della Commissione europea, quindi, resiste. Ma se sarà ancora Von der Leyen, che si è ricandidata, a guidare l’organo esecutivo dell’Ue è da vedere. Tra i compiti del Parlamento europeo, infatti, c’è anche quello di eleggere il presidente della Commissione sulla base dei candidati indicati dalla maggioranza qualificata dal Consiglio Europeo, composto dai capi di Stato o di governo degli Stati membri. Che si riunirà il prossimo 17 giugno in maniera informale. Ufficialmente, invece, tra il 27 e il 28 giugno, quando potrebbe uscire il nome del candidato che poi dovrà trovare la maggioranza al Parlamento.

 

Si conclude così un’elezione importante per il futuro dell’Unione, i cui eurodeputati eletti si insedieranno nelle prossime settimane: in gioco c’è moltissimo, come la strada da perseguire per contestare la crisi climatica (secondo il servizio europeo di monitoraggio del clima, Copernicus, l’Europa è il continente che si scalda più di tutti). O la posizione da portare avanti nei confronti della guerra in Ucraina e, a guardare la realtà con uno sguardo più ampio, per la definizione di una politica estera comune ai 27 stati membri dell’Unione. Probabilmente resa ancora più necessaria visto l’inasprirsi del conflitti del mondo e la possibilità che le prossime presidenziali Usa, di novembre 2024, possano essere dominate da Donald Trump.