A quarant’anni dalla sua morte, il mito che circonda il più amato leader del Pci alimenta la retorica. Bisogna, invece, ricordarne le vere scelte. In cui fu tanto innovativo quanto isolato

Le commemorazioni, si sa, rischiano di sfociare in celebrazioni. E le celebrazioni sono spesso rituali, affrettate, miopi. Inevitabile che lo stesso destino toccasse anche a Enrico Berlinguer – che mito lo fu forse da subito – ora che sono quarant’anni da quel tragico palco di Padova, dall’ultimo comizio che per dovere e passione cercò di portare a termine nonostante il male che lo devastava, che gli impediva di profferire verbo, che lo avrebbe ucciso poche ore dopo. E certo quella “morte sul lavoro”, a conclusione di una vita politica sofferta e difficile, contribuì non poco a rafforzare la leggenda. Senza contare il presidente partigiano Sandro Pertini, che corre al capezzale del “fratello” e lo accompagna nell’ultimo viaggio a Roma a bordo dell’aereo di Stato, e Giorgio Almirante, che, accolto da Giancarlo Pajetta, gli rende onore alla camera ardente allestita al Bottegone, e le centinaia di migliaia di italiani che seguono il feretro negli imponenti funerali filmati da un pool di registi, come era stato solo per Palmiro Togliatti.

 

E però il mito non aiuta, è vano come una rimozione. Piuttosto questo rinnovare la memoria dovrebbe aiutare a interrogarsi, capire, spiegare perché si voglia di quella figura riproporre oggi valori, idee, magari stili di vita. Una mano viene dai molti volumi appena piovuti in libreria. Marcello Sorgi, per esempio, si ripropone fin dal titolo – “San Berlinguer”, Chiarelettere, pp. 180, euro 16,60 – di mettere in guardia dalle facili santificazioni; Giovanni Fasanella e Corrado Incerti ripropongono, aggiornato con molta documentazione (“Berlinguer deve morire”, Fuoriscena, euro 17), il giallo dell’incidente stradale, piuttosto un fallito attentato, occorso a Berlinguer in Bulgaria il 3 ottobre 1973 mentre, a bordo di una Chaika nera, lasciava Sofia dopo un ruvido incontro con il leader bulgaro Todor Zivkov; utili elementi sulla vita interna del Pci si ricavano anche da “Casa per casa. L’Unità una storia centenaria” (All Around, euro 18) di Franca Chiaromonte e Graziella Falconi.

 

La politica, invece, commemora e tace. Non sappiamo per esempio, non ce l’ha spiegato, perché Elly Schlein abbia deciso di stampare una foto del compagno Enrico sulla tessera del Pd: forse per via della «questione morale» della famosa intervista a Eugenio Scalfari (luglio 1981, dopo il terremoto dell’Irpinia – devastazione fisica, morale e politica – e l’esplodere del grande scandalo dei petroli), bandiera da sventolare ai cacicchi che imperversano in periferia e ai 5 Stelle che vorrebbero impadronirsene? O invece per indicare l’attualità della politica berlingueriana: il compromesso storico o l’alternativa democratica? E se fosse solo una trovata comunicativa? Chissà. Così come non sappiamo cosa abbia spinto Giorgia Meloni a visitare la mostra su Berlinguer al Testaccio di Roma o Ignazio La Russa a sollecitare un pubblico, caloroso applauso alla memoria del leader del Pci: malintesa «egemonia culturale» o marketing? Va’ a sapere.

 

Certo, la tormentata stagione di Berlinguer è stata segnata dalla volontà di dare al suo Pci una diversa collocazione internazionale fino a portarlo su una strada europea del tutto autonoma da Mosca; ma questa strategia ha a sua volta pesato sulle questioni di politica nazionale e nei rapporti con gli altri partiti, costringendo il segretario a fare i conti all’interno del Pci con la coriacea ala restia a rompere del tutto con Mosca, ma anche con quella altrettanto robusta che invocava amicizia con il Psi del Midas e una svolta decisamente socialdemocratica che forse Berlinguer non ha mai avuto in animo di fare. Spesso, insomma, il più amato dei leader del Pci è stato nelle sue scelte tanto coraggioso quanto solo. Da subito.

 

È ancora il vice di Luigi Longo quando nel 1969, un anno dopo il «vivo dissenso e riprovazione» per i carri armati a Praga, parlando alla conferenza internazionale dei partiti comunisti osa respingere l’idea di un unico modello di società socialista: per la ferrea legge della guerra fredda era come dichiararsi nemico dell’Urss. Nel settembre del 1973, segretario da un anno, scrive per “Rinascita” il primo dei tre articoli con i quali lancia la strategia del compromesso storico: ma la possibilità che il Pci entri nell’area di governo preoccupa sia Mosca sia Washington, mette in discussione delicati equilibri. Pochi giorni dopo, su un viadotto alla periferia di Sofia, un camion si lancia contro la Chaika di Berlinguer, che ne esce vivo per miracolo. Convinto si tratti di un attentato, quando torna a Roma confessa i suoi sospetti solo alla moglie e a Emanuele Macaluso: una pubblica denuncia avrebbe portato come conseguenza la rottura definitiva con Mosca che non tutto il partito condivideva. Addirittura vent’anni dopo, nel 1991, quando Macaluso svela il giallo bulgaro in un’intervista a Fasanella, i big del partito – Natta Galluzzi Bufalini – non vogliono crederci.

 

Berlinguer in fondo è solo anche quando nel 1976 confessa a Giampaolo Pansa di sentirsi più tranquillo sotto l’ombrello della Nato o quando un anno dopo, il 31 ottobre 1977, a Mosca, dinanzi ai big del Pcus rivendica il valore universale della democrazia. Fino al crescendo finale e al fatidico 1981: la «seconda svolta di Salerno» (copyright Macaluso), cioè l’abbandono del compromesso storico per l’alternativa democratica (novembre 1980); l’intervista a Scalfari sulla questione morale, la denuncia in tv su «l’esaurirsi della spinta propulsiva dell’Urss» (dicembre 1981). La prima irrita l’ala migliorista  che vede allontanarsi il dialogo con i socialisti, la seconda preoccupa i più conservatori. È di nuovo solo, tanto che a ottobre, in una drammatica riunione della direzione del partito in cui propone la nomina di una squadra più coerente con la svolta, Berlinguer va in minoranza, addirittura con un voto, prassi assai rara.

 

Alla fine la spunterà, ma gli ultimi anni saranno travagliati assai e vedranno un Pci tutto nuovo, dilaniato da insanabili contrasti interni e dal volto più radicale: scala mobile, diritti, pacifismo, scontro feroce con i socialisti di Bettino Craxi (che poi lo accoglieranno al loro congresso di Verona con una salva di fischi). Un altro Pci, un altro Berlinguer. Già, ma quale stiamo commemorando?