Intervista

Giuseppe Santalucia: «La politica non sopporta il controllo della magistratura. Ma la nostra Costituzione non va cambiata»

di Emilio Carelli   1 luglio 2024

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Separazione delle carriere, sorteggio per il Csm, controllo politico. Il presidente dell’Anm Santalucia boccia il disegno di legge costituzionale. E a Nordio dice: tiepido con i reati dei colletti bianchi

Presidente Giuseppe Santalucia, la sua contrarietà e quella dell’Associazione nazionale magistrati che lei guida alla separazione delle carriere non arriva adesso. Il no al disegno di legge costituzionale parte da lontano. Di questa opportunità si discute da anni ma la vostra opposizione è netta. Perché?
«Intanto per una osservazione semplice: il nostro impianto costituzionale ha accompagnato la Repubblica dal ’48 in poi e ha dato ottima prova di sé per quanto attiene all’assetto della giurisdizione e all’equilibrio con gli altri poteri dello Stato. Ricordo agli innovatori di oggi che grazie a questo impianto costituzionale la magistratura ha saputo svolgere in pieno il suo compito in momenti tragici nella storia della Repubblica, dall’emergenza terrorismo, alla mafia. E lo ha fatto con questo assetto, tenendo alto il livello della tutela delle garanzie individuali».

 

Lei ritiene che questa sia l’opinione anche della maggioranza dei magistrati giudicanti che pur vedrebbero potenziato il ruolo di garanti dei diritti del cittadino?
«Siamo assolutamente compatti perché si tratta di un evidente abbassamento del livello di autonomia e indipendenza di tutto l’ordine giudiziario. La Costituzione oggi prevede un Consiglio superiore a prevalenza numerica dei cosiddetti togati; dentro l’Alta Corte disciplinare non sarà così! Con la riforma, il momento della verifica disciplinare vedrà i magistrati sia giudicanti sia inquirenti in minoranza».

 

Crede che l’attuale governo e l’attuale ministro della Giustizia siano in qualche modo mossi da una volontà di rivalsa nei confronti della magistratura. Che ci sia una volontà quasi punitiva?
«Non riguarda solo la nostra classe politica. È un po’ una linea di tendenza che attraversa molte democrazie occidentali. Nella mia relazione al congresso di Palermo ho citato Israele ma anche Stati dell’Unione europea come la Polonia. C’è una certa insofferenza verso un controllo penetrante di legalità. Ed è questa la ragione per cui l’Unione europea sta tenendo molto alta l’attenzione e la vigilanza sulle riforme in tema di giustizia in molti Paesi».

 

Da tempo, in Italia, il rapporto tra magistratura e politica sembra perennemente conflittuale. Cosa determina questa distanza?
«Da Mani pulite in poi il controllo di legalità senza ambiti di impunità per nessuno è stato vissuto come una invadenza del potere giudiziario nei confronti della politica. Ma non è tagliando le unghie ai giudici che la politica si riappropria del primato che le spetta. Qualcuno vorrebbe chiudere quella stagione immaginando di riportare i giudici nei loro confini. E questo è scritto nelle relazioni illustrative di alcuni disegni di legge costituzionali sulla separazione delle carriere, quelli di provenienza parlamentare. È un grossissimo equivoco che comporterà uno squilibrio tra i poteri dello Stato».

 

il ministro della Giustizia, Carlo Nordio

 

Lei ritiene possibile che la terzietà, che è caratteristica esclusiva del giudice e non del pm, possa davvero esistere all’interno di un sistema in cui giudici e pubblici ministeri condividono la stessa carriera, i medesimi organismi associativi e il medesimo concorso? Non sarebbe favorevole a un percorso di formazione comune all’esito del quale poi ciascuno decide qual è la sua professione?
«Dal ’97 in poi si è investito sulle scuole di specializzazione per le professioni legali e sono fallite non per colpa dei magistrati ma per una certa insipienza nella costruzione di quell’esperienza. Quanto alla terzietà dei giudici, se si intende perseguirla con la separazione delle carriere, perché nessuno ha mai pensato finora di sollevare la questione davanti alla Corte costituzionale? Sarebbe come dire che fino a oggi abbiamo vissuto con giudici che non hanno una delle caratteristiche essenziali della giurisdizione ovvero la terzietà. Che si ha dentro il processo e non necessariamente costruendo due consigli superiori diversi e due concorsi separati diversi. Si tratta di un artificio retorico, quello che fa leva sulla terzietà dei giudici, per alterare un equilibrio che finora ha consentito al nostro Paese di avere un alto tasso di democrazia».

 

Pensa che il concorso per l’accesso in magistratura come è strutturato oggi sia ancora valido o che vadano modificati le modalità, i criteri di arruolamento? E se sì, in quali termini?
«Il concorso è stato modificato più volte nel tempo e finora ha dato buona prova di sé perché ha consentito di mettere insieme il rigore selettivo che è fondamentale per l’assunzione dei magistrati e garanzie di anonimato della prova e quindi impossibilità di manipolazione dei risultati, e questo al di là di qualche piccolo incidente avvenuto nel passato, veramente residuale e comunque subito neutralizzato. Si può migliorare la prova, ma la legge Cartabia da ultimo è intervenuta proprio sulle prove scritte per definire meglio contenuto, struttura e finalità. Io credo che grandi modifiche sul concorso non se ne debbano fare. Assolutamente sbagliata l’ultimissima di inserire i test psicoattitudinali in quel momento».

 

I cittadini, secondo lei, hanno fiducia in chi li deve giudicare e nel sistema giustizia nel suo complesso?
«Hanno fiducia nonostante le campagne denigratorie che sistematicamente vengono svolte. Da quando si è avuta notizia dell’inchiesta della Procura genovese sul governatore della Liguria leggo di pesanti accuse ai magistrati e di pm eversivi, toni e parole che turbano me, che sono del mestiere. Nonostante questa campagna denigratoria, credo che i cittadini sappiano formarsi idee e opinioni in maniera assolutamente coerente con i fatti».

 

L’inaugurazione dell’anno giudiziario a Milano, lo scorso gennaio. I

 

Uno degli argomenti ricorrenti per il no alla separazione delle carriere è il rischio che il pm possa diventare dipendente dal potere esecutivo. Però il disegno di legge e i promotori lo escludono. Lei lo ritiene un pericolo reale?
«Sui pubblici ministeri c’è questa forte preoccupazione. Nell’immediato, questa riforma accrescerà il potere dei pubblici ministeri perché nel loro Consiglio superiore della Magistratura avranno i due terzi di rappresentanza. Un paradosso che creerà un eccesso di autoreferenzialità nella gestione delle carriere e quindi uno squilibrio. Per porvi rimedio, l’unico modo che le democrazie occidentali conoscono è il controllo della politica sui pm e sull’azione penale».

 

La scelta dei componenti togati per sorteggio nei due Csm e nell’Alta Corte è davvero, secondo lei, l’elemento più ritorsivo nei confronti della magistratura?
«Molti politologi ci vedono addirittura uno strumento di recupero della democrazia diretta ma il sorteggio viene proposto da una parte politica, l’attuale maggioranza, che è assolutamente avversa rispetto a tutti quei tentativi di recupero della democrazia diretta. Lo inserisce solo per i magistrati e per che cosa? Per deprimere la loro presenza all’interno del Consiglio superiore della Magistratura. Non c’è altra spiegazione perché all’interno di un organo assembleare dove i titoli di legittimazione devono essere uguali, si diversificano i modi di composizione: i politici saranno eletti e i magistrati sorteggiati».

 

Tuttavia, ai mali della giustizia bisognerebbe porre rimedio, in che modo secondo l’Anm?
«Questa non è una riforma della giustizia, è una riforma della magistratura, una cosa totalmente diversa. Questa riforma si disinteressa totalmente del servizio e guarda al momento del potere, alla relazione con il potere esecutivo e il potere legislativo. Ci sarebbe molto bisogno invece, più che di riforme, di un ministro della Giustizia molto più attento alla gestione delle risorse. Ogni mese rappresentiamo le inadeguatezze dell’intervento ministeriale. Per esempio, all’istituzione del Tribunale della persona, dei minori e della famiglia mancano 120 giorni, nell’assoluta carenza di risorse e di strumenti di programmazione da parte del ministero. Il pericolo è un inceppamento della giustizia in uno dei terreni più fragili, quello della tutela dei diritti dei minori. Sul versante della telematizzazione dei processi scontiamo inadeguatezze storiche che non vengono assolutamente recuperate. E sono questi i temi con cui guardare alla giustizia in termini di servizio; ma c’è grande distrazione del ministro. Il legislatore di oggi sta costruendo un diritto penale più tenero nei confronti dei pubblici poteri e molto, molto più arcigno nei confronti di fasce deboli e marginali della società».

 

Lei è favorevole o contrario alla discrezionalità dell’azione penale?
«Sono contrario per le ragioni espresse più volte dalla Corte costituzionale. Un’azione discrezionale introdurrebbe principi di diseguaglianza governati discrezionalmente dalla politica. L’azione penale può essere in mano ai pubblici ministeri fino a quando sarà obbligatoria. La ritengo una riforma sbagliata ma se la si vuol fare, che la si faccia chiaramente e si apra un dibattito su questo».

 

 

Le carceri scoppiano, è favorevole a un ampliamento della liberazione anticipata e dei provvedimenti di clemenza quali amnistia e indulto?
«Il sovraffollamento è un dato emergenziale e qualche misura va adottata. Non abbiamo avuto l’ardire di suggerire uno o più interventi. Si possono fare alcune cose per ridurre il sovraffollamento senza introdurre surrettiziamente meccanismi di indulgenza. Una liberazione anticipata retroattiva, per esempio, ma si tratta di scelte della politica. Non credo, ma qui parlo a titolo personale, che in questo momento parlare di amnistia e indulto sia realistico. Però se la situazione delle carceri è quella che tutti sappiamo con 45 suicidi da inizio anno, io credo che anche su quel tipo di intervento bisognerebbe avviare una riflessione».