“Se ne sono sempre fatte. Si discute il metodo per oscurare il merito”. Il direttore del giornale online risponde alle polemiche dopo l’indagine su Gioventù Nazionale

Un terremoto con una lunga sequenza di scosse di assestamento. “Gioventù meloniana”, la video-inchiesta in due puntate di Fanpage, ha scoperchiato il verminaio della formazione giovanile di Fratelli d’Italia: inni al Duce e a Hitler, saluti romani, razzismo e antisemitismo. E ha suscitato un vortice di interesse da parte del pubblico: oltre 15 milioni di visualizzazioni tra YouTube, giornale online e social. Gli effetti non si sono fatti attendere: se alcuni dirigenti del primo partito italiano si sono smarcati e due militanti hanno lasciato i propri incarichi (Flaminia Pace, presidente di Gioventù Nazionale pinciano, ed Elisa Segnini, ex capo segreteria di Ylenja Lucaselli, capogruppo del partito in commissione Bilancio alla Camera), il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha minimizzato e si è detto più preoccupato per l’antisemitismo nelle piazze. Nel frattempo la commissione parlamentare contro l’intolleranza, il razzismo e l’antisemitismo, presieduta dalla senatrice a vita Liliana Segre, su richiesta dell’ex parlamentare Elio Vito ha acquisito i video dell’inchiesta. Mentre la premier, Giorgia Meloni, riferendosi all’inchiesta ha prima parlato di «metodo di regime», poi ha scritto una lunga lettera indirizzata ai dirigenti del partito, in cui è scritto: «Non c’è spazio, in Fratelli d’Italia, per posizioni razziste o antisemite, come non c’è spazio per i nostalgici dei totalitarismi del ‘900, o per qualsiasi manifestazione di stupido folklore». Del "metodo Fanpage" parliamo con Francesco Cancellato, direttore responsabile del giornale online e autore del libro “Nel continente nero. La destra alla conquista dell’Europa” (Rizzoli).

 

Quali sono le vostre regole, il vostro paradigma? Viene in mente il Boston Globe con Spotlight, l’unità specializzata in inchieste che scoprì i casi di abusi su minori nella Chiesa Cattolica americana…
«Mi sembrano paragoni un po’ azzardati. Restiamo coi piedi per terra, con tutto il rispetto possibile per i mostri sacri del giornalismo mondiale. Di sicuro, abbiamo la fortuna di avere un editore indipendente e puro che ci supporta in questa attività, che finanzia e tutela l’attività giornalistica e che ci consente di essere molto ambiziosi nella nostra attività d’inchiesta».

 

L’unità investigativa di Fanpage si chiama Backstair. Come funziona?
«È stata creata nel 2019. Il nome l’ha scelto il nostro predecessore, assieme all’editore, e rimanda al sottoscala, al retrobottega, a tutto ciò che è segreto. E in fondo è un nome con una duplice accezione: quella di un gruppo che opera in autonomia rispetto al resto della redazione. E quella di ciò che vogliamo far vedere, ossia tutto ciò che sta dietro le quinte e non si dovrebbe sapere».

 

Alcuni esponenti di Fratelli d’Italia hanno criticato duramente il vostro giornalismo sotto copertura. Il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri ha sminuito l’inchiesta e la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha parlato del vostro come «metodo da regime» perché la giornalista si è infiltrata in un partito. Come risponde alle critiche?
«Di inchieste sotto copertura se ne fanno dal 1887 in tutto il mondo, e gli esempi sono innumerevoli: negli ultimi mesi, solo per citare inchieste undercover, ci sono state un’inchiesta di Channel 4 in Inghilterra sul partito di Nigel Farage, un’inchiesta di Correctiv su Alternative für Deutschland in Germania e una su TV4, in Svezia, sulle fabbriche dei troll dei Democratici svedesi. Sulla legittimità di questo metodo si sono espressi giuristi, esperti di giornalismo, persino la Corte europea dei Diritti dell’Uomo. Con tutto il rispetto per la presidente del consiglio Meloni, non vedo nessun “metodo da regime”. Solo un metodo che, in determinate circostanze, può far emergere notizie di interesse pubblico».

 

Francesco Cancellato, direttore responsabile di Fanpage

 

Esiste un limite deontologico per il giornalismo sotto copertura?
«Il supremo interesse del lettore, la rilevanza pubblica della notizia e la continenza giornalistica, per quanto ci riguarda. Siamo molto sicuri e sereni in relazione al fatto che il metodo giornalistico che utilizziamo rispetti tutte le regole della deontologia della nostra professione. E il dibattito sul metodo, a mio avviso, non deve distogliere l’attenzione dal merito delle questioni».

 

E rispetto alla Costituzione, ci sono confini da rispettare?
«La Costituzione dice che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure, e a questo stiamo. Ulteriori interpretazioni sono materia per giuristi».

 

La senatrice a vita Liliana Segre ha espresso profonda preoccupazione per la deriva antisemita di molti esponenti e militanti di Gioventù Nazionale. In particolare, la vostra inchiesta contiene diversi insulti antisemiti rivolti a Ester Mieli, senatrice di FdI, da parte dei militanti. Che effetto le fa?
«Fa sicuramente effetto, così come fanno effetto gli insulti razzisti e le apologie al fascismo, al nazismo e al terrorismo nero. Comprendo il disappunto e le preoccupazioni di Liliana Segre, in questo senso, così come quelle dei molti che si sono sentiti offesi dalle frasi pronunciate da militanti e quadri del primo partito italiano».

 

Giorgia Meloni e un gruppo di giovani alla festa di Atreju

 

Avete già realizzato inchieste sotto copertura che hanno dato fastidio al potere. Qual è stata la più scomoda?
«La prossima che faremo. Scherzi a parte, ogni inchiesta è scomoda per sua natura, non me la sento di stilare una gerarchia».

 

Nella consueta classifica di Reporter Senza Frontiere sulla libertà di stampa, l’Italia è passata dal 41esimo al 46esimo posto, con una citazione per la possibile vendita di Agi «a un parlamentare della maggioranza», riferendosi ad Antonio Angelucci, deputato della Lega. Negli ultimi anni ha riscontrato un peggioramento dello stato dell’informazione nel nostro Paese?
«Noi dobbiamo fare il nostro mestiere di giornalisti al meglio delle nostre possibilità. In questo senso siamo tutti, in parte, corresponsabili della qualità del nostro sistema informativo. Di sicuro, se c’è un deficit importante del giornalismo italiano – e in questo Fanpage è una fortunata eccezione – è relativo alla scarsa indipendenza dei suoi editori».

 

Il giornalismo investigativo costa: cronisti dedicati per settimane o mesi a una inchiesta, alto rischio di denunce per diffamazione, richieste stellari di risarcimento per danni. Chi è il vero nemico della libertà di informazione?
«La libertà di stampa ha molti nemici. Nel nostro piccolo, ci tocca combattere il nemico che è dentro di noi: la paura per il potere altrui, che spinge molto spesso all’autocensura. Più in generale, sottolineerei la diffusa tendenza alla querela temeraria a scopo intimidatorio con cui molti giornalisti si ritrovano a dover fare i conti. Noi abbiamo le spalle larghe: siamo un grande giornale con un editore che ci supporta. Ma per un piccolo giornale, o per un giovane giornalista, la minaccia della querela in arrivo – con relative spese legali e tempi lunghissimi per la soluzione della controversia – rischia di essere un enorme deterrente all’attività d’inchiesta».