A Gaza l'Onu sospende le operazioni umanitarie. Macron respinge l’ipotesi di un governo di sinistra. Ultima settimana per proporre i nuovi Commissari Ue. I fatti del giorno da conoscere

Roberto Calderoli: "Del referendum non me ne frega niente"
"Ho letto Tajani con attenzione. E la mia priorità è appunto quella di fare i Livelli essenziali delle prestazioni il prima possibile: i primi arriveranno entro l'anno". Così il ministro per gli Affari regionali e le Autonomie Roberto Calderoli in un'intervista al Corriere della Sera. I "più vicini alla definizione - spiega - sono ambiente, sanità, tutela dei diritti del lavoro, governo del territorio. Anche istruzione". Calderoli poi parla del referendum contro l'autonomia: "Non me ne frega niente. Io temo che, qualunque sia il risultato, la frattura del Paese ce l'avrai. In ogni caso. Ammesso e niente affatto concesso che il referendum si celebri e passi l'abrogazione, diventerebbe automaticamente il Referendum del Sud contro il Nord. Qualcuno vuole assumersi la responsabilità di spaccare il Paese?".

Sulle questioni sollevate da Forza Italia, dalle carceri all'Autonomia e allo Ius scholae, invece risponde che non sono un problema per il Governo: "Nooo... Ogni agosto ci sono le stelle cadenti, i temporali e i fuochi d'artificio nelle sagre. A fine agosto, tutti se ne dimenticano". Però, anche sullo Ius scholae, viene fatto osservare, la posizione di FI richiama al Silvio Berlusconi degli ultimi anni. "Silvio Berlusconi era un amico - sottolinea Calderoli-. È venuto, tra i pochissimi politici, anche al funerale di mia mamma. Glielo dico: quando se ne è andato, ho pianto, ho sentito che qualcosa sarebbe mancato. Tutto per dire che il richiamo a questi diritti, se viene da Silvio Berlusconi, lo ascolto con la massima attenzione. Se viene da altri, ne discutiamo, come di tante altre cose".

 

Tajani punge la Lega, i lep prima dell'Autonomia
Sull'indicazione di Raffaele Fitto come commissario europeo dell'Italia sono tutti d'accordo. Su altri temi si annuncia meno scontato l'esito del vertice di venerdì fra Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani. Il clima frizzante è reso anche dalla battuta con cui il leader di Forza Italia, in coda a un'intervista a Rtl, ha difeso dalle critiche degli alleati le proprie prese di posizione sullo Ius Scholae: "Anche Quota 41 non è nel programma di governo ma ne discutiamo...".

Il riferimento è alla riforma delle pensioni su cui punta la Lega. E al partito di Salvini sono fischiate le orecchie anche quando, poco prima, il ministro degli Esteri ha ribadito la necessità di applicare l'Autonomia differenziata solo dopo aver approvato i Lep, ossia i livelli essenziali delle prestazioni. Il suo partito ha fatto approvare un ordine del giorno per impegnare il governo in questo senso, e da tempo ripete che continuerà a "vigilare" affinché la riforma "garantisca tutti i cittadini italiani, da nord a sud".

"Ma vigilare su cosa?" storcono il naso i leghisti, mentre si avvicina il momento, a cavallo fra settembre e ottobre, in cui - chiariscono fonti dell'esecutivo - potrà essere avviato ufficialmente il negoziato fra il governo e le quattro Regioni (Veneto, Piemonte, Liguria e Lombardia) che hanno chiesto l'assegnazione di materie non riferite ai livelli essenziali delle prestazioni. Sullo sfondo le opposizioni puntano a bloccare la legge Calderoli con il referendum o l'impugnazione delle Regioni a guida centrosinistra, ora quattro dopo il ricorso alla Corte costituzionale notificato dalla Campania. Ma Tajani si smarca da questo fronte: "Non siamo per il referendum, non ci sarà mai un governo composto da Forza Italia e M5s o da Forza Italia e Pd. Noi - ha spiegato ancora - siamo il centro del centrodestra. Per sostenere il centrodestra, il nostro compito è occupare lo spazio fra Meloni e Schelin: non dobbiamo lasciare alla sinistra lo spazio su alcune grandi questioni". Con una precisazione: "Non c'è nessuna possibilità che il governo cada".

Le sortite di Tajani sulla cittadinanza hanno "felicemente sorpreso" l'ex compagna di Silvio Berlusconi, Francesca Pascale, che ora fa "il tifo" per lui, "orgogliosa che tenga la schiena dritta su questo tema seguendo l'eredità" del Cavaliere. L'attivismo di Tajani ha prodotto scintille con Salvini mentre Meloni si è tenuta distante dalla dialettica fra i due, limitandosi a far emergere dal suo partito irritazione per le fughe in avanti del leader forzista. In attesa del suo rientro a Palazzo Chigi dopo un paio di settimane di relax in Puglia, la premier avrebbe dato la linea da seguire: la riforma della cittadinanza non è all'ordine del giorno. E secondo i ben informati lo chiarirà anche nel vertice di venerdì: "Bisogna concentrarsi sul rispetto del il programma di governo". Anche alla luce di questo sono letti i toni più cauti di Tajani: "Il tema della cittadinanza va affrontato, ma non è centrale in questi giorni", e "non lo sarà al vertice di governo". Gli alleati sono curiosi di capire come si comporterà FI quando le opposizioni rilanceranno. Come annunciato da Alessandra Maiorino, ad esempio, il M5s alla prima riunione dei capigruppo del Senato chiederà la calendarizzazione della propria proposta di legge sullo Ius Scholae. Venerdì potrebbero essere più chiare le deleghe (Bilancio e coesione al momento la casella più probabile) del commissario Ue italiano: Meloni sta trattando direttamente con Ursula von der Leyen il ruolo ormai destinato a Fitto. Nel vertice fra i tre leader si parlerà anche dei principali capitoli di una manovra che il governo vorrebbe da 25 miliardi di euro. Le risorse sono poche: per evitare che le tensioni già latenti generino scosse sismiche, sarà necessario condividere da subito le priorità. Le pensioni sono un tema caldo. La Lega starebbe lavorando a una proposta. FdI in questi giorni sta sottolineando la necessità di interventi a favore del ceto medio. Forza Italia rilancia sull'aumento a mille euro delle pensioni minime, anche se "non sarà facile", ha ammesso Tajani, indicando fra gli obiettivi anche il "rifinanziamento del fondo per garantire ai giovani i prestiti per la prima casa e il diritto allo studio".

 

Biden: "La Russia non avrà mai successo in Ucraina"
Joe Biden condanna in una nota "nei termini più forti possibili, la continua guerra della Russia contro l'Ucraina e i suoi sforzi per far sprofondare il popolo ucraino nell'oscurità". "Voglio essere chiaro: la Russia non avrà mai successo in Ucraina e lo spirito del popolo ucraino non sarà mai spezzato", aggiunge. "Gli Stati Uniti - prosegue - continueranno a guidare una coalizione di oltre 50 paesi a sostegno dell'Ucraina", promette. "Questa coalizione - ricorda Biden - sta fornendo all'Ucraina equipaggiamento militare di fondamentale importanza, tra cui sistemi di difesa aerea e intercettori. Come ho annunciato al vertice della Nato a luglio, gli Stati Uniti e i nostri alleati hanno fornito all'Ucraina l'equipaggiamento per altri cinque sistemi di difesa aerea strategici e ho ristabilito la priorità delle esportazioni di difesa aerea degli Stati Uniti in modo che vengano inviate prima all'Ucraina. Gli Stati Uniti stanno inoltre inviando in massa apparecchiature energetiche all'Ucraina per riparare i suoi sistemi e rafforzare la resilienza della rete energetica Ucraina". "Come ho detto al presidente Zelensky il 23 agosto - conclude il presidente - il sostegno degli Stati Uniti all'Ucraina è incrollabile. Da febbraio 2022, il popolo ucraino si è difeso coraggiosamente dall'invasione russa, riprendendo più della metà del territorio che le forze russe avevano sequestrato nei primi giorni della guerra. L'Ucraina rimane una nazione libera, sovrana e indipendente e le forze ucraine combattono ogni giorno per difendere la loro patria e la loro libertà. Gli Stati Uniti staranno al fianco del popolo ucraino finché non prevarrà". 

 

A Gaza l'Onu sospende le operazioni umanitarie
Il giorno dopo l'intenso scambio di missili tra Israele e Hezbollah, che ha fatto temere l'inizio della minacciata escalation in Medio Oriente, tutto è tornato alla routine militare degli ultimi 325 giorni. Nessun dettaglio è emerso sui danni effettivi di una mattinata di guerra con centinaia di proiettili scagliati sul nord di Israele e sul sud del Libano. Così come, dopo la mancata svolta e la mesta partenza dal Cairo dei capi negoziatori dell'accordo sulla liberazione degli ostaggi e il cessate il fuoco a Gaza, i "passi avanti" e gli "incontri costruttivi" dichiarati dagli Usa appaiono pallidi risultati diplomatici.

L'Onu ha invece annunciato di aver sospeso le operazioni umanitarie nella Striscia a causa di un nuovo ordine di evacuazione israeliano su Deir al-Balah, nel centro del territorio palestinese: dall'inizio della guerra in ottobre, ha osservato un alto funzionario del Palazzo di Vetro, le Nazioni Unite hanno dovuto talvolta "ritardare o mettere in pausa" le operazioni, "ma mai fino al punto di dire concretamente che non possiamo più fare nulla" come invece avviene ora.

I media del Qatar, Paese mediatore tra Hamas e Israele, hanno rivelato che durante gli incontri nella capitale egiziana di domenica si sono intraprese nuove strade per affrontare i problemi più urgenti, vie alternative per spingere le parti a una tregua umanitaria dai quattro ai sette giorni per distribuire i vaccini antipolio a Gaza. Con Israele che ha consegnato dosi per 1,255 milioni di persone, pochi giorni dopo che un caso di poliomielite è stato identificato nella Striscia per la prima volta in 25 anni. Sul tavolo al Cairo sono rimaste insolute le questioni che stanno bloccando le trattative da settimane prima di arrivare all'accordo vero e proprio: il controllo del valico di Rafah, confine internazionale tra Gaza e il Sinai egiziano, e del Corridoio Filadelfia, di cui il varco fa parte. Fonti israeliane hanno fatto trapelare che essendo un punto delle trattative troppo spinoso, la sua trattazione è stata rinviata a un momento successivo. Infatti Hamas, che in Egitto era presente ma senza partecipare ai colloqui, ha continuato a chiedere che si attui il piano Biden del 2 luglio, rifiutando che l'Idf resti a Gaza.

Benjamin Netanyahu ha ceduto sullo spostamento di qualche centinaio di metri delle truppe dall'Asse Filadelfia, ma respinge una smobilitazione totale. L'Egitto ha ribadito lunedì attraverso dichiarazioni anonime dei suoi funzionari ai media locali che "non accetterà una presenza israeliana al valico di Rafah o sul Corridoio Filadelfia". Secondo un report del quotidiano libanese al Akhbar, affiliato a Hezbollah, gli sforzi dei mediatori si sono concentrati su "un ritorno al precedente accordo che Yahya Sinwar ha sottoscritto ma con piccole modifiche, compreso un ritiro graduale e non completo dell'Idf dalla Striscia, in cambio di una flessibilità israeliana sul ritorno degli sfollati nel nord dell'enclave". Tra quelle che vengono definite "concessioni" figurano "il ritiro graduale di Israele dall'Asse Filadelfia nella prima fase dell'accordo". Intanto oggi il primo ministro del Qatar, lo sceicco Mohammed bin Abdulrahman Al Thani, ha incontrato il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi a Teheran, dopo aver preso parte al vertice del Cairo. Mentre sul fronte nord, i miliziani sciiti del partito di Dio sono stati in pausa per una trentina di ore prima di ricominciare a lanciare i razzi quotidiani contro il nord di Israele. L'Idf ha invece ripreso con gli omicidi mirati colpendo nella città costiera di Sidone, in Libano, un quadro palestinese di Hamas, probabilmente Nidal Hleihil. Tutto come prima, 24 ore dopo la dimostrazione di forza e il cielo che "bruciava come l'apocalisse", come ha detto un testimone libanese. Nessun dettaglio, come detto, è emerso sugli effettivi danni in Libano e in Israele. Indiscrezioni stranamente non ce ne sono state. Con gli attori principali che scelgono il silenzio sul nuovo stallo dei negoziati, come sugli obiettivi della guerra di Israele a Gaza e contro Hezbollah. Un immobilismo che fa infuriare le amministrazioni delle comunità della Galilea, ridotte a un luogo fantasma dopo l'evacuazione di centinaia di migliaia di abitanti. "Questo governo non verrà mai, mai perdonato. Il fatto che ci abbandoniate e ci bruciate vivi sarà registrato per sempre", ha urlato lunedì il presidente del Consiglio regionale di Mateh Asher, Moshe Davidovitch scagliandosi contro il ministro dell'Istruzione Yoav Kisch e il capo del comando del fronte interno in visita al nord.

 

Francia: Macron si rifiuta di nominare Castets, candidata Nfp
Il Presidente francese, Emmanuel Macron, ha rifiutato di nominare la candidata della sinistra Lucie Castets come prima ministra in nome della "stabilità istituzionale" e ha indetto un nuovo giro di consultazioni con partiti e "personalità'" per superare l'impasse politica. "Un governo basato unicamente sul programma e sui partiti proposti dall'alleanza con il maggior numero di deputati, il Nuovo Fronte Popolare, sarebbe immediatamente bocciato" nell'Assemblea, ha sottolineato in un comunicato il Capo dello Stato.

Macron ha sconvolto la Francia anticipando le elezioni legislative previste per il 2027 al 30 giugno e 7 luglio per chiedere un "chiarimento" agli elettori in seguito alla vittoria dell'estrema destra nelle elezioni europee. Ma questo scenario ha portato la Francia in uno stallo politico, poiché nessuno dei tre principali blocchi emersi dalle elezioni - sinistra, centro-destra ed estrema destra - raggiunge la maggioranza di 289 deputati. Il NFP, formato da socialisti, comunisti, ecologisti e dal partito di sinistra radicale La France Insoumise (LFI), si è imposto alle elezioni con 193 deputati e ha proposto come primo ministro l'economista trentasettenne Lucie Castets. L'alleanza di centro-destra di Macron ha ottenuto 166 deputati, seguito dal partito di estrema destra Rassemblement National (RN) e i suoi alleati (142) e dal tradizionale partito di destra Les Re'publicains (LR, 47). Quasi due mesi dopo le elezioni, Macron ha avviato venerdì un ciclo di consultazioni con i partiti e, in base a queste, ha ritenuto che "la stabilità istituzionale" della Francia "impone di non mantenere questa opzione" di Castets, dice la dichiarazione. Il Presidente ha annunciato un nuovo ciclo di consultazioni martedì con i capi dei partiti e "personalità con esperienza al servizio" della Francia. Tuttavia, poco prima, il NFP ha detto che non lo incontrerà di nuovo, se non nominerà Castets.

 

Ultima settimana per proporre i nuovi Commissari Ue
Mancano quattro giorni alla scadenza stabilita dalla presidente Ursula von der Leyen per presentare i candidati commissari che siederanno nella prossima Commissione Europea. I pesi massimi hanno già fornito i loro campioni. Dalla lista però manca l'Italia, unica tra i big a non essersi ancora espressa ufficialmente. Raffaele Fitto, si sa, è in pole position. Ma il suo nome non è ancora stato formalizzato a Bruxelles (caso simile peraltro alla Spagna, dove sembra scontata la nomina di Teresa Ribera ma la raccomandata, per così dire, non è ancora pervenuta ai funzionari dell'esecutivo Ue).

Ricapitolando. Dei 27 posti in palio due sono già stati assegnati, con von der Leyen confermata alla presidenza - la casella della Germania dunque è spuntata - e l'ex premier estone Kaja Kallas destinata a diventare la prossima alto rappresentante (previa approvazione dell'Eurocamera, nel suo caso). Restano dunque 25 incarichi. Spagna a parte, sono solo cinque gli Stati membri che ancora non si sono espressi: Belgio, Bulgaria, Danimarca, Portogallo e, appunto, l'Italia.

La composizione del nuovo collegio dei commissari è (come sempre) un complicatissimo sudoku in cui von der Leyen deve tenere conto sì degli appetiti dei Paesi nell'assegnazione delle deleghe ma pure degli umori del Parlamento, che oltre alle audizioni di ogni singolo candidato - un paio di nomi tradizionalmente vengono impallinati - si esprimerà con un voto finale sull'intera squadra. Un lavoro complesso che, nei fatti, è già iniziato. Non a caso von der Leyen era a Parigi per incontrare Emmanuel Macron.

E Giorgia Meloni? "Non esiste un calendario preciso delle chiamate ma è chiaro che la presidente è attualmente in contatto con tutti i leader", commenta un alto funzionario europeo a proposito di una possibile telefonata nei prossimi giorni con la premier italiana. In alcuni casi i ritardi sono ben comprensibili. In Belgio ad esempio le forze politiche stanno negoziando furiosamente per dar vita ad un governo dopo le elezioni dello scorso giugno - in passato ci sono voluti anche anni - e dunque il dossier del nuovo Commissario non è stato ancora toccato: circostanza che potrebbe favorire l'uscente Didier Reynders. La Bulgaria, pure, è nel pieno di una crisi politica. In Danimarca, infine, il governo di Mette Frederiksen dovrebbe combinare la nomina del Commissario con un rimpasto di governo. Ma come si diceva prima, il quadro ormai è abbastanza completo. Nonché delicato. Von der Leyen aveva chiesto alle capitali di fornire due nomi, un uomo e una donna, per favorire l'equilibrio di genere. Ebbene, nessuno lo ha fatto. Croazia, Finlandia e Svezia almeno hanno proposto donne (come ci si aspetta che faccia Madrid). Ben 16 solo uomini. Francia, Ungheria, Lettonia, Paesi Bassi e Slovacchia, confermando gli attuali Commissari, si sono cavati dall'impiccio sfruttando l'esenzione concessa dalla presidente in questo caso specifico. La nomina di Raffale Fitto - se Fitto sarà - andrebbe dunque a peggiorare la situazione sotto questo aspetto. Con un paradosso. L'idea del tandem, che nella strategia di von der Leyen avrebbe dovuto favorire le quote rosa, finirà per produrre una Commissione con meno donne della precedente. Aprendo la strada ad un possibile contenzioso con l'Eurocamera.