La separazione delle carriere nasconde un'iperproduzione di norme, spesso contraddittorie. Mentre rimangono i vuoti d’organico in tutti i settori del sistema giustizia

La cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario si è svolta in un momento in cui è molto alta l’attenzione della pubblica opinione sullo scontro tra magistratura e politica, determinato dalle scelte legislative in materia di ordinamento giudiziario, prima fra tutte quella della separazione delle carriere fra magistratura giudicante e requirente.

 

Nelle relazioni in Cassazione e nelle Corti d’appello si possono rinvenire informazioni utili sullo stato della giustizia nel nostro Paese e sulla congruità delle risposte legislative in cantiere. Sulla capacità del sistema di rispondere alle richieste di giustizia in tempi ragionevoli, con decisioni coerenti al principio della certezza del diritto, garantendo l’accesso alla giustizia per tutti i cittadini in condizioni di parità.

 

In Cassazione si dà atto della consistente diminuzione delle pendenze sia in ambito civile che penale, addirittura anticipando i tempi previsti nel Pnrr, e della significativa diminuzione della durata dei processi. Ma si denuncia che in entrambi i settori sono in controtendenza la giustizia minorile e quella dei giudici di pace, che vedono aumenti di pendenze e di durata dei procedimenti. Il dato viene spiegato «con la grave scopertura degli organici» e con l’ampliamento della competenza del giudice di pace sia in ambito civile che per effetto delle riforme legislative in materia penale.

 

Tuttavia la durata media di un processo (sia civile che penale) è ancora troppo alta e la diminuzione delle pendenze avviene a macchia di leopardo in tutto il territorio nazionale ed è rallentata dalle gravi carenze organizzative e di personale amministrativo e ausiliario e della magistratura onoraria, cui la legislazione attuale affida un ruolo decisivo per la celerità dei procedimenti.

 

Le carenze d’organico della magistratura, intorno al 20 per cento, non hanno impedito il conseguimento di risultati soddisfacenti, anche a dispetto del flop dei programmi di informatizzazione denunciato in tutte le Corti d’appello. Ciò è avvenuto per effetto di uno «sforzo inedito» della magistratura, nonostante le criticità e gli effetti della legislazione sia in ambito civile che penale susseguitasi nel tempo. Si tratta di quella «produzione legislativa particolarmente intensa e spesso a cadenze ravvicinate sullo stesso ambito di materia che non ha eguali nel panorama europeo», dalla quale deriva il rischio di «provocare disorientamento nella collettività, di inviare messaggi confliggenti a seconda del contingente momento politico, di perdere la sua capacità di ordinare in modo efficace e razionale una certa comunità di persone».

 

Il numero elevato di leggi, adottate sotto la pressione della pubblica opinione, e il loro mancato coordinamento con le altre leggi vigenti ha reso il quadro normativo poco chiaro, rendendo difficoltosa l’attività dei magistrati costretti a scegliere tra il non decidere e il trovare parametri costituzionali per rispondere ai casi concreti derivanti dalle nuove richieste di una società dinamica. Con «l’autorità giudiziaria costretta a fungere da impropria sede per l’elaborazione di principi etici su cui fondare la convivenza civile» o «a riempire di contenuto» leggi infarcite di clausole generali, spesso frutto di delicati compromessi politici.

 

Queste significative e oggettive caratteristiche delle regole che la magistratura deve applicare ai casi concreti sono difficili da spiegare alla pubblica opinione, il cui sguardo si sofferma sull’esito dei casi più dibattuti e controversi (pensiamo alla vicenda della identificazione dei “Paesi sicuri” per i migranti) senza avere gli strumenti per comprendere fino in fondo le ragioni delle decisioni, sulle quali quasi mai si sofferma l’attenzione dei media.

 

La descrizione della magistratura che viene fatta nelle relazioni non è, quindi, un immotivato encomio autoassolutorio, ma la costatazione delle difficoltà che si incontrano nell’impegno dei singoli magistrati dettato dalla consapevolezza che «la testimonianza offerta nella trattazione del singolo caso sarà assunta dalla persona interessata come paradigma del funzionamento dell’intera struttura giudiziaria e che, quindi, sempre alto e costante deve essere il rigore etico professionale».

 

Questo quadro del sistema giustizia mostra chiaramente che “il re è nudo”, nel senso che le riforme ordinamentali non sono la risposta all’esigenza di giustizia che promana dai cittadini: occorre piuttosto un impegno forte della politica per rendere agevole e affidabile il lavoro della magistratura.

 

Leggi chiare, comprensibili, applicabili senza necessità di ricorrere a interpretazioni sistematiche o analogiche; strumenti idonei, appropriati e, soprattutto, dal funzionamento verificato; ripianamento dei vuoti di organico: sono questi gli unici percorsi efficaci per restituire ai cittadini fiducia nella giustizia.

 

Le modalità di elezione dei membri del Csm e la separazione delle carriere tra pm e giudici sono argomenti, a mio avviso, fuorvianti e suggestivi, idonei solo a far credere alla pubblica opinione che la responsabilità della mancanza di risposte alle crescenti esigenze di giustizia siano da attribuire a ragioni proprie dell’istituzione magistratura, e non anche alle scelte e all’opera di coloro che, rappresentando il potere legislativo, hanno il dovere di mettere la magistratura in condizioni di rendere al meglio il suo servizio.