Politica
3 novembre, 2025La doppia lista a sostegno di Fico. L’equilibrismo con Mastella e De Luca, la tregua con Appendino. In Campania il leader Cinque Stelle si gioca anche la tenuta nazionale
Con il sigillo anche di Clemente Mastella, il centro-sinistra campano si è perfettamente rinsaldato solo nelle ultime ore decisive della presentazione delle liste elettorali. Rassicurato dagli accordi, il sindaco di Benevento come prova di fedeltà al campo largo e al candidato governatore si è spinto fino a definire Roberto Fico «il più democristiano dei Cinque Stelle». Dal punto di vista del vecchio centrista è il massimo dell’elogio all’esponente dell’antipolitica grillina che ottenne nella scorsa legislatura la presidenza della Camera all’insegna del Parlamento che doveva essere aperto «come una scatola di tonno». Tempi passati, se Fico può guidare in Campania una coalizione che tiene dentro anche Mastella, sempre abile nella trattative e notoriamente capace di capire dove tira il vento, così come è avvenuto prima del fischio d’inizio della campagna elettorale, quando l’ex ministro ha rivelato un corteggiamento da parte dello schieramento rivale.
La candidatura di Edmondo Cirielli alla presidenza della Regione è la mossa con la quale Fratelli d’Italia ha reso il centro-destra competitivo in una sfida elettorale considerata dal centro-sinistra vinta in partenza, fino al punto di concedersi il lusso di non intervenire in modo risolutivo e rapidamente sul braccio di ferro aperto da Vincenzo De Luca con il Pd del Nazareno e con Fico. Solo dopo l’irruzione sulla scena elettorale del viceministro meloniano agli Esteri, il campo largo è stato costretto ad accelerare, evitando che restassero nell’alleanza alcune pericolose crepe. E che l’edificio potesse sgretolarsi nelle poche settimane che separano i partiti e gli schieramenti dal voto del 23-24 novembre.
Così, la rinuncia del governatore uscente a candidarsi per il Consiglio regionale in realtà è stata la “concessione” che il temibile manovriero senza il quale non si vince ha lasciato scivolare con abilità nell’ultima fase delle trattative interne in cambio di quello che a De Luca interessava di più: la presenza di una lunga schiera di fedelissimi consiglieri regionali della sua ex maggioranza non solo nella lista A Testa Alta che ha realizzato “dall’esterno” ma anche nella lista del Pd, cioè del partito alla cui guida in Campania non a caso c’è il figlio Piero, come previsto da uno dei punti irrinunciabili posti a Elly Schlein. Dalla “sua” Salerno - dove punta ad essere rieletto sindaco nel 2026 – il Cacicco potrebbe condizionare i giochi regionali, in un intreccio fra vecchio e nuovo che Fico, per evitare rischi, non ha potuto non avallare, rinunciando anche al “codice etico” per le candidature. Linea morbida condivisa dalla leader del Pd.
Conterà però la futura composizione del Consiglio regionale, con l’interrogativo se il Pd e la lista “deluchiana” ridimensioneranno il “valore aggiunto” dei Cinque Stelle oppure se il candidato governatore pentastellato riuscirà a trascinare anche il voto di lista, e di quanto. Nel 2020 – correndo da soli e con la candidatura a governatore di Valeria Ciarambino – i Cinque Stelle raccolsero un magro 9,9 per cento. Il Pd arrivò quasi al 17 e la lista De Luca Presidente al 13,3 per cento. Ma due anni dopo, alle Politiche, i rapporti di forza nella stessa Regione si ribaltarono: con il 34,5 per cento M5S ottenne il proprio record rispetto ai voti nel resto d’Italia; il Pd si fermò al 15,6. Poi, il flop in Calabria – con la sconfitta di Pasquale Tridico, accompagnata dal crollo M5S rispetto alle Politiche – è stato un campanello d’allarme. Per dimostrare di avere ancora un seguito nel Meridione, necessario per far valere il proprio peso nella futura alleanza progressista, il Movimento di Giuseppe Conte – con le due liste, l’una ufficiale, l’altra del candidato governatore – dovrebbe superare abbondantemente la soglia del 20 per cento.
Perciò, anche la rielezione del presidente del Movimento Cinque Stelle è stata in qualche modo condizionata dalla Campania, ovvero dalla futura prova della verità. Dopo un chiarimento fra l’ex premier e l’ex sindaca di Torino sul campo largo che non deve sacrificare la connotazione al tempo stesso “progressista” e “indipendente” del Movimento nella difesa della propria identità e senza sconti, il voto pro-Conte di Chiara Appennino sancisce una tregua interna che deve durare fino alle elezioni di fine novembre. Altrimenti, se il risultato elettorale dovesse vedere un consistente ridimensionamento elettorale del Movimento – ipotesi estrema – la colpa ricadrebbe anche sui “frondisti” (Chiara Appendino che si è dimessa dall’incarico di vicepresidente un mese prima delle elezioni), nel momento stesso in cui torna a farsi vivo Beppe Grillo riaprendo le ostilità sul simbolo.
Quanto al Pd, la nuova e più combattiva corrente riformista promossa principalmente dalla vicepresidente del Parlamento europeo Pina Picierno – Crescere – attende al varco i Cinque Stelle e la stessa Schlein, dopo il voto campano e quello concomitante della Puglia, per “pesare” elettoralmente i pentastellati. Anche perché la definizione del programma comune dell’alleanza – che la leader del Nazareno propone di iniziare subito dopo le Regionali «non chiusi in una stanza ma girando il Paese» – sulla politica estera sarà molto tormentata, come ha confermato anche il recente voto del Parlamento sugli aiuti miliari all’Ucraina: i due partiti divisi, per una scelta precisa dei Cinque Stelle, la stessa che viene reiterata da oltre tre anni, estendendosi sempre più al tema della difesa europea. Ma la ricerca dell’unità a sinistra, che non sarà certo una passeggiata, passa attraverso la Campania.
LEGGI ANCHE
L'E COMMUNITY
Entra nella nostra community Whatsapp
L'edicola
Schiava virtuale - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso
Il settimanale, da venerdì 31 ottobre, è disponibile in edicola e in app



